giovedì 30 dicembre 2010

Caro segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani

Così comincia un'audiolettera di un ottimo giornalista di Controradio, Raffaele Palumbo, sul tema della comunicazione. Si prende spunto da una recente affermazione di Pier Luigi Bersani che, secondo Palumbo, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: "Darsi una trama istituzionale che sia coerente con le esigenze di governance di questo problema qua, che va messo in orizzontale, come abbiamo detto, ma che può avere anche verticalmente delle strumentazioni che possono essere messe a disposizione di un ben inteso federalismo."
L'audiolettera prosegue riportando altri esempi di comunicazione politica, da quella della vecchia Tribuna Elettorale, ad Aldo Moro nel 1966, alla volgarità dei leghisti, alla rozzezza di Di Pietro, all'arroganza di La Russa, alle barzellette di Berlusconi, alla retorica di Vendola, all'amabilità di Renzi. Il tutto accostato alla supercazzola di Amici miei.
Questa audiolettera mi è piaciuta molto sia come elettrice del centrosinistra sia perchè il tema mi sta molto a cuore (e ne ho già scritto in un accorato post precedente), tanto che mi sento di sottoscriverla punto per punto.
Non ho niente contro Bersani che, anzi, mi sembra una persona seria e preparata, ma quando lo sento parlare mi fa pena (anche rabbia, ma soprattutto pena). Non vi faccio il solito riassuntino perché vorrei davvero che ascoltasse l'audio qui (dura circa 18 minuti).
Che succede quando la politica parla così? Si chiede Palumbo e me lo chiedo anch'io da tempo.
"Rigorose, chiare, giuste, necessarie, comprensibili e magari emozionanti sono le parole di una politica perseguita con onestà e spirito di servizio."

lunedì 27 dicembre 2010

C'è chi dice no, c'è chi fa il suo mestiere e c'è chi ci marcia

Vincenzo Cenname si è fatto il giro di tutte le trasmissioni di Rai3: da Le storie di Corrado Augias a Report (nella rubrica "C'è chi dice no"), ad Ambiente Italia (puntata del 4.12.2010).
Durante la campagna elettorale per sindaco di Camegliano (provincia di Caserta, 1900 abitanti) il giovane ingegnere ambientale ricevette minacce. Appena eletto andò a mettere il naso in una cava in cui si scavava da trent'anni senza controllo e ben al di là di quanto autorizzato e fece sospendere i lavori. Poi si mise contro la lobby dell'eolico che voleva installare un impianto ben diverso da quello approvato dai cittadini in un referendum comunale. Inoltre si oppose alla privatizzazione della rete idrica, affidata ad una azienda privata senza gara pubblica, e fece approvare lo stop al consumo di suolo oltre il perimetro attuale del paese. Ma il pezzo forte della gestione Cenname sono stati i rifiuti: la riduzione (distribuzione di pannolini lavabili alle neomamme), la raccolta differenziata (arrivata al 60% in quattro anni, con operatori e mezzi comunali, contenendo le tariffe) e lo smaltimento (ricerca degli impianti per il trattamento dell'umido che non esistono nella provincia di Caserta).
Già nel 2004 Camegliano si era rifiutato di far parte del Consorzio Provinciale per la raccolta, lo smaltimento e la tariffazione dei rifiuti (consorzio nel quale la magistratura individuò rapporti con la camorra) riuscendo a contenere le tariffe sui 90 euro/abitante/anno contro i 120/130 dei comuni che invece vi aderirono. Ma con la legge 26 del 2010 il servizio passa obbligatoriamente ad una società provinciale a cui il comune deve trasmettere l'archivio degli utenti. Vincenzo Cenname si è rifiutato e per questo (in soli 10 giorni) è stato destituito dall'incarico. Comune troppo virtuoso, sindaco pericoloso. "Ce lo invidiano in tutta la provincia di Caserta" dicono i cittadini durante la loro manifestazione di protesta.
Mi stavo accingevo a scrivere che il problema rifiuti in Campania è scomparso dalle prima pagine quando, aprendo Repubblica.it, ecco che ricompare di nuovo il tema.
Secondo Walter Ganapini, ex assessore all'ambiente in Campania, che ha risolto l'analoga emergenza a Milano nel 1994 (con 65.000 tonnellate di rifiuti per strada contro le 3000 a Napoli di un mese fa) "tecnicamente il problema non esiste". Ganapini afferma ad Ambiente Italia (puntata del 27.11.2010) che "La Campania potrebbe importare almeno 2-3 mila tonnellate al giorno di rifiuti perché ha impianti industriali di trattamento, che altrove funzionano benissimo, capaci di trattare 8500 tonnellate al giorno". Perché non viene saturata la capacità di questi impianti? Cui prodest?




Nella Interview di Controradio del 14 dicembre scorso sentiamo invece Paolo Stancanelli, direttore operativo di Asia, la municipalizzata che si occupa della raccolta, che spiega in modo chiaro i termini della questione dal loro punto di vista di addetti ai lavori: ogni giorno Napoli produce 1400 tonnellate di rifiuti. Asia raccoglie solo quello che può conferire, il resto rimane a terra, e così i giorni seguenti. "Il nostro compito, raccogliere i rifiuti, lo sappiamo fare bene, ma bisogna avere la garanzia di poter scaricare i camion".
Nel 2009, primo anno in cui in Campania non c'è stata emergenza, c'è stato un incremento di raccolta differenziata di 6 punti percentuali, ma la raccolta differenziata, dice Stancanelli, è un processo che si avvia nel corso di 4, 5 o 6 anni come è accaduto in tutte le città del Nord e del Centro e purtroppo nel 2010 con la nuova crisi c'è stata una battuta d'arresto.
Bisognerebbe quindi smettere di pensare in modo emergenziale, di rincorrere soluzioni tampone, di mettere toppe a breve scadenza. Ci vorrebbe un piano strutturale ad ampio respiro, un sistema industriale che smaltisca e tratti i rifiuti. Mi sembra evidente invece che ci sia l'interesse (probabilmente da più parti) di mantenere l'emergenza perché essa genera flussi di denaro.
Intanto sei compattatori di ottima qualità provenienti dal consorzio fiorentino Quadrifoglio aiuteranno fino a gennaio a ripulire le piazze di Napoli. Un bel messaggio di solidarietà. La cosa divertente è che essi hanno impressa sopra la campagna per la riduzione dei rifiuti: "Compreresti rifiuti? Lo stai già facendo". Pare che le facce dei Napoletani di fronte a questo slogan siano state piuttosto stranite.

sabato 25 dicembre 2010

Un anno più vecchia


La saggezza dei miei quarantotto anni mi ha fatto arrivare alla conclusione che c'è un modo semplice ed efficace per superare il nervoso delle feste natalizie: aspettare che passino.

A tutti auguri laici di serenità.

Artemisia

giovedì 23 dicembre 2010

Voglio vivere a Tenganan

Ludovico Guarneri si definisce "malato esperto". Ascolto sempre con interesse le sue Lezioni di stile a Controradio, brevi colloqui con Sabrina Sganga che offrono uno sguardo diverso, originale sulla malattia, sulle cure e anche su altre cose più generali.
Ultimamente ha raccontato del suo recente viaggio in India e in Indonesia, dove era stato già molti anni fa.
"Vi ho trovato una grande rilassatezza." racconta Ludovico Guarneri "Lì ho imparato che quando ci rivolge ad una persona è meglio farlo con il sorriso e parlando a voce bassa. Su un muro ho letto un motto che diceva: "il passato è la storia, il futuro è mistero, il presente è un regalo".
Il malato esperto racconta poi del villaggio Aga di Tenganan, uno dei pochi villaggi balinesi a resistere all’invasione dei Majapahit nel 1343 e dove quindi sono rimasti i balinesi originari. Per tradizione gli abitanti di questo villaggio non fanno niente tranne tessere dei tessuti sacri per le cerimonie o fare offerte agli dei. Il paese è circondato da un muro e per entrare si deve dare un'offerta. Questi Bali Aga sono quindi persone molto rilassate perché non hanno quasi niente da fare. Altri lavorano per loro. Vi ricorda qualcosa?

lunedì 20 dicembre 2010

Lontana è assai la Svezia

Anche se ormai (con un po' di sollievo) il tema non riguarda più la mia quotidianità, mi è piaciuta molto la puntata di Fahrenheit Radio 3 sui padri che prendono il congedo parentale per accudire i figli piccoli. Lo spunto è il provvedimento approvato al Parlamento Europeo (che dovrà poi essere recepito dai singoli paesi della UE) che estende a 20 mesi il congedo per le madri (ma in Italia è già previsto) e riserva ai padri due settimane a pieno stipendio.
Ospiti della puntata due padri in congedo: Stefano dell'Orto, dirigente d'azienda italiano che vive a Stoccolma e che racconta la sua esperienza in un blog che si chiama Diario di un papà in congedo parentale e lo scrittore Vito Bruno (autore de L'amore alla fine dell'amore. Una lettera dalla parte dei padri).
Ecco quello che apprendiamo sulla Svezia da Dell'Orto (e anche da un'ascoltatrice che interviene):
  • 480 giorni di congedo parentale di cui 60 riservati alla mamma e 60 al papà (che ne ha anche 10 lavorativi alla nascita del bebè). Durante i 480 giorni lo stato paga l'80% dello stipendio sino a 42.400 Euro all'anno. Molte aziende poi aggiungono la differenza per garantire sino al 90-100% dello stipendio nominale effettivo (più alcuni bonus introdotti recentemente). Inoltre si è spesso incoraggiati e stimolati sia dall'azienda che dalla società (famiglia, amici, conoscenti, eccetera) a prendere il congedo. "In azienda si sarebbero stupiti se non avessi preso il congedo e avrebbero pensato qualcosa come: "possiamo affidare i nostri dipendenti ad una persona che non si prende cura nemmeno della propria famiglia?"
  • l'85% dei padri usufruisce del congedo di paternità;
  • a Stoccolma ci sono i fasciatoi anche nei bagni degli uomini;
  • gli autobus sono gratuiti per chi li prende con il passeggino, hanno il pavimento alla stessa altezza dei marciapiedi ed hanno al centro dei grossi spazi dove i passeggini possono stare e fare manovra;
  • asilo nido aperto tutto l'anno e costa circa 100 euro/mese;
  • 100/120 euro al mese per ogni figlio indipendentemente dal reddito;
  • dentista gratuito fino a 19 anni (tutto questo a fronte ovviamente di un prelievo fiscale medio del 45% ma con una restituzione in servizi inimmaginabile per noi).
Ben diversa l'esperienza di Vito Bruno che racconta come sia l'unico babbo a portare e riprendere il figlio all'asilo nido e per questo è visto come un "caso singolare" (devo dire che non è tale la mia esperienza personale, risalente ormai a diversi anni fa: al nido dei miei figli i padri sviaggiavano tranquillamente).
Vito Bruno però lancia una provocazione che mi torna perfettamente: da parte del mondo femminile c'è richiesta di aiuto e collaborazione ma l'atteggiamento attivo dei padri è visto come "un'invasione di campo", c'è una resistenza da parte delle donne al fatto che i padri facciano i padri. Ho notato anch'io sovente che, pur lamentandosi della poca collaborazione del marito, tante donne nei fatti stentano a delegare la cura dei figli perché in fondo non si fidano, perché vogliono avere almeno in questo campo un ruolo prioritario e accettano al massimo un aiuto del tutto esecutivo.
Sono sincera, sarà che mi sento così poco "materna", sarà che la cura dei figli piccoli per me è una noia mortale, trovo tenero, commovente e benemerito quando sono i padri ad occuparsene con entusiasmo come si evince dal blog di Stefano Dell'Orto:
"... stare a casa è splendido, sia per il legame che si crea con Sofia, nonché con il resto della famiglia, sia perché scopro aspetti della mia persona che raramente utilizzo in altre situazioni."
"Il primo mese è passato velocissimo e sento che voglio godermi ogni momento dei tre che rimangono!"


P.S. nella foto: una giacca pensata per i babbi di figli piccoli con scomparti per pannolini ed altri accessori.

sabato 18 dicembre 2010

Qui Firenze: "la civiltà si sta sgretolando"


Ai primi straprevisti fiocchi di neve, ho irriso la mia collega che è scappata temendo di rimanere bloccata con l'auto. "Tze!", mi dicevo, "Chi, come me, viene in ufficio con i mezzi pubblici ha il ritorno garantito." Poi verso le 14 è giunta la notizia che i bus non circolavano più e che in tutta la città il traffico era bloccato. Gulp!
Così ci siamo tutti accodati, sotto la neve che continuava a scendere, al nostro collega "esperto pendolare" che viene dal Valdarno e che ci ha guidati alla stazione più vicina che dista a piedi circa un quarto d'ora. Tutti fiduciosi che su un treno ci si potesse contare.
Arrivati lì tra frizzi, lazzi e battute su quanto è "piacevole" la morte per congelamento, abbiamo notato con un filo di apprensione che la neve sui binari era intatta. "Un treno prima o poi passera!" continuava a dire il mio collega fiducioso.
Quel buontempone di mio marito continuava a scherzare: "La civiltà si sta sgretolando. Si cominciano a scorgere le prime bande armate!" E tutti a ridere. Poi quando qualcuno a provato a chiamare a casa con il cellulare e si è accorto che le linee erano inutilizzabili, ci siamo scambiati uno sguardo un po' allarmato.
Alla fine abbiamo appreso che anche i treni erano fermi. Così ognuno si è arrangiato come poteva. Io e mio marito ci siamo incamminati e siamo arrivati a casa dopo circa un'ora e mezzo di cammino sorpassando file e file di auto in colonna. La città era infatti tutta un'unica coda.
Povera nostra civiltà che conta troppo sull'auto, sulla benzina, sull'elettricità!


giovedì 16 dicembre 2010

Assaggio di Roma


Tre giorni a Roma per lavoro. Ci vado sempre volentieri in questa città, che conosco ormai così bene da girarla quasi senza cartina.
Il paradosso di imparare le astruse e bizantine regole degli appalti pubblici, in un paese nel quale le regole sono fatte per essere aggirate. Il pellegrinaggio a Piazza Vittorio per vedere il luogo del libro di Marina. L'abbraccio con lei e il capire che sarà molto improbabile rileggerla in rete. Il quartiere di San Lorenzo con la sua aria genuina e le numerose lapidi sulle case. Gli studenti che sfilano in via Cavour, così tanti e così belli che non meritano il futuro che stiamo lasciando loro. Il sapore vero del quartiere del Testaccio. La pace della Città dell'Altra Economia (che rischia di chiudere e che invece bisognerebbe salvare). Un piatto di farro con lenticchie biologico che mi ha fatto sentire a casa. Le notizie degli scontri in centro e il pensiero preoccupato ai ragazzi che ho visto sfilare al mattino. Il centro della città blindato (paura, eh?). Le signore con le borse delle shopping natalizio che dribblano le camionette della polizia. Il Pasquino censurato (ma perché non si può più appiccicarci i versi satirici?). Finalmente ho trovato dove a fare la tessera di Libera e finalmente mi sono potuta incantare davanti alla Madonna dei Pellegrini di Caravaggio. Il motivo non mi fa piacere ma posso dire, a bassa voce, che via del Corso senza auto è assai più bella? L'orrore dei negozi di via Nazionale tutti con la porta aperta a spregio di qualsiasi anelito di risparmio energetico. Ma davvero pensate che in tal modo la gente sia più invogliata ad entrare? Fossi un sindaco lo proibirei.
Ma com'è che mi fanno male le gambe? Ah già, sono cinque ore che cammino. Peccato! Se potessi, mi fermerei solo quando la capitale non avesse più segreti per me. Ma ci saranno ancora occasioni.



martedì 14 dicembre 2010

Dilemma ambientalista

Predisponendo un po' di roba da portare alla stazione ecologica, scovo nell'armadio della cantina diversi prodotti che ho acquistato tanti anni fa, prima della mia presa di coscienza ambientalista. Si tratta di prodotti fortemente inquinanti che adesso ho sostituito con sostanze più innocue per l'ambiente e anche per le mie mani e il mio naso: il fornet, lo smac per i fuochi, il vetril, il brillantante per la lavastoviglie. A questo punto però si apre un dilemma: si inquina di più a buttarli via semipieni (pur conferendoli correttamente alla ecostazione) oppure, visto che tanto nell'ambiente ci finiranno, vale la pena di utilizzarli per il loro impiego (dato che sono comunque più efficaci dell'aceto o dell'olio di gomito)?
Difficile rispondere. Tuttavia un indizio mi è giunto dalla sorte. In un attacco di casalinghitudine mi sono accinta a pulire con il fornet un piccolo forno assai sporco il quale, mentre lo maneggiavo, mi è caduto in terra rompendosi il vetro che fungeva da sportello. Ovviamente, come tutte le apparecchiature moderne, non è pensabile trovare i pezzi di ricambio e così, ironia della sorte, ho un oggetto in più da conferire in ecostazione. Ben mi sta.

domenica 12 dicembre 2010

La classe operaia e il Paradiso mancato

Feltrinelli ha ripubblicato recentemente un piccolo libro di Gad Lerner dal titolo "Operai. Viaggio all'interno della FIAT" Si tratta di un reportage, pubblicato la prima volta nel 1988, che racconta dall'interno l'universo delle grandi fabbriche automobilistiche, attraverso le storie e le vite degli operai che vi lavorano. Ho trovato molto stimolante l'intervista a Fahrenheit Radio 3 a Gad Lerner sul ruolo degli operai, durante la quale il giornalista ha confrontato tale condizione negli anni Ottanta, dopo le lotte e la famosa marcia dei Quarantamila, con quella di oggi.
Secondo Lerner negli anni caldi della contestazione c'era un sentimento di condivisione che nasceva dall'idea molto radicata che la fatica fisica fosse un valore, un valore fondativo della nostra Repubblica. Chi svolgeva un lavoro manuale meritava un'attenzione speciale ai nostri occhi ma ciò era caricato dall'ideolgia comunista, che secondo Lerner ha fatto molto male perché era strumentale. Gli operai non interessavano in quanto persone in carne ed ossa, bensì come "classe per sua natura rivoluzionaria", come lo strumento attraverso il quale si poteva cambiare il mondo prendendo il potere.
Negli anni Ottanta, con la sconfitta del sindacato, questa illusione fu archiviata e si pensò che potesse aprirsi una stagione felice per tutti superando "l'anacronistica contraddizione tra capitale e lavoro". Era la fine di un'epoca e la pace sociale prometteva di far star bene tutti più della presa del potere degli operai (miglioramenti salariali, più tempo libero, ecc.). Oggi sappiamo che non è andata così.
Delle persone che vivono la condizione operaia e svolgono un lavoro manuale oggi non interessa più a nessuno. Assistiamo alla fine del senso di comunità e al crearsi di tante nicchie scollegate tra loro. Anche i piccoli partiti che continuano a chiamarsi comunisti hanno solo mantenuto la terminologia ed i loro leader, con il loro stile di vita, hanno perso la capacità di sintonia e di frequentazione del mondo operaio.
Lerner sottolinea inoltre che in Italia tra il 1983 e il 2005 il PIL derivante dai profitti di impresa ha fatto un balzo di 8 punti. Perché questa ricchezza (che si calcola sarebbe stata di circa 7000 euro l'anno) non è finita nelle buste paghe dei lavoratori come è avvenuto in tutti i paesi industrializzati? In questo ventennio c'è stato un imponente dirottamento di ricchezza dal monte salari ai profitti e alle rendite. E' vero che la finanziarizzazione, l'esplodere dei profitti e dei compensi dei manager, c'è stata in tutte le economie industriali, ma, mentre in altri paesi si è accompagnata ad una crescita economica, in Italia, mentre gli operai perdevano quote importanti del proprio tenore di vita, l'economia si è inceppata ed ha rivelato una mediocrità della nostra classe imprenditoriale che ha puntato a piccoli vantaggi. Gli enormi profitti sono stati investiti altrove (diversificazione), nei centri commerciali, nella televisione, ecc. e sono aumentati vertiginosamente i compensi dei manager. Vittorio Valletta negli anni Cinquanta guadagnava 20 volte quello che prendeva un dipendente FIAT, oggi Marchionne guadagna 435 volte la media dei suoi operai.
La domanda che viene sempre spontanea di fronte alle ingiustizie è: perché i lavoratori non si ribellano? A questo Gad Lerner risponde cintando lo studioso Maurizio Franzini, autore di "Ricchi e poveri. L'Italia e le disuguaglianze (in)accettabili", che spiega che si crea una accettazione della disuguaglianza quando ormai non si crede più che si possa andare avanti grazie al merito ma solo per colpi di fortuna. Il vedere che sono molto ricche ed esibiscono il loro benessere persone che intellettualmente, per eleganza e cultura, non sono tanto meglio di te, ti dà l'idea che si possa andare avanti solo per caso, per un colpo di fortuna, non certo per un costante impegnativo processo di miglioramento graduale.
Negli anni Ottanta gli operai erano orgogliosi che i loro figli, così diversi da loro, vestiti alla moda, non avessero scritta in faccia la loro fatica. Oggi invece i padri si augurano che i propri figli abbiano un posto a tempo indetermitato come quello che essi hanno avuto.

venerdì 10 dicembre 2010

Auguri, mamma!

Ricordo come fui contenta alle elementari nello scoprire di avere la mamma più giovane tra le mie amiche. Ricordo anche quando, in piena fase edipica, ti prendevo in giro per attirare l'attenzione del babbo. Poi però mi dispiaceva, volevo chiederti scusa, ma lo stupido orgoglio me lo impediva.
Ci sono stati anni in cui mal tolleravo il tuo affetto protettivo ed ansioso. Come succede a tutte le figlie, ho cominciato a sentirmi donna quando, andata via di casa, non ti avevo più intorno a ripetermi "Copriti!" o "Mangia di più!" o "Mi raccomando: stai attenta!". Anche ora continui a dirmelo al telefono e mi fai sorridere perché entrambi sappiamo quanto poco sia utile, ma è il gioco delle parti e va rispettato. Alla fine è un po' come dirmi: "Ti voglio bene".
Mi dispiace che ci vediamo così raramente adesso che lavoro ed ho una famiglia mia. Per questo quei dieci minuti di telefonata in pausa pranzo sono un appuntamento quotidiano irrinunciabile per me. Qualche minuto insieme pur lontane, per scherzare, per sfogarmi sui figlioli, per avere ancora consigli da parte tua.
Oggi compi settant'anni. Ne hai ancora di strada da fare, dolcissima ragazza!

mercoledì 8 dicembre 2010

Forse non tutti sanno che...

L'avvocato Cristina Cassigoli, a Ben scavato vecchia talpa in onda su Controradio, spiega che l'istituto del patrocinio a spese dello Stato consente di avere la tutela legale alle persone (anche cittadini stranieri, pensate un po') che non possono permettersi di avere un avvocato, sia per aprire una causa che per difendersi. Riguarda sia le cause penali che civili, amministrative, contabili, tributarie ed anche le separazioni. I requisiti per poterne usufruire sono un reddito annuale del nucleo familiare imponibile inferiore a 10.628,16 Euro. Se il conflitto è contro un familiare vale il reddito personale e questo può essere utile per le casalinghe che vorrebbero separarsi ma rinunciano alla causa perché pensano di non poter permettersi l'avvocato o accettano quello del marito. Una recente normativa prevede il diritto al patrocinio gratuito senza limiti di reddito in caso di violenza sessuale. Contrariamente a quanto si può immaginare, il legale non viene assegnato d'ufficio ma si può sceglierlo in una lista molto ampia.
Si tratta di uno strumento poco conosciuto e non meraviglia apprendere che, anche se qualsiasi avvocato dovrebbe renderlo noto, spesso questo non avviene. Ci pensa invece l'associazione Prima Consulenza di cui fa parte l'avvocato Cassigoli.

lunedì 6 dicembre 2010

Gli esseri umani non sono semplici

C'è stato un periodo nella mia vita in cui ho provato un grande interesse per la psicanalisi, tanto che ho accarezzato l'idea di iscrivermi a Psicologia. I complicati e misteriosi meccanismi della mente umana hanno sempre avuto per me un grande fascino, di gran lunga superiore alla comprensione dell'universo o della materia. Con gli anni ho ridimensionato le potenzialità della psicanalisi, anche a causa degli approcci e dei metodi così bizzarramente diversi praticati dagli addetti ai lavori. Rimane comunque una professione affascinante (penso al nostro blogger Giorgio e a quello che ci racconta).
Nello stesso modo ho trovato interessante l'intervista allo psicanalista Stefano Bolognini, autore di un piccolo libro dal titolo accattivante: "Lo Zen e l'arte di non sapere cosa dire".
Bolognini, con la sua bella voce calda, racconta a Fahrenheit Radio 3 che, durante il suo lavoro, "i canali comunicativi profondi che si instaurano tra persona e persona, e che vanno al di là di quello che controlliamo coscientemente, si aprono un po' alla volta e la possibilità di essere in contatto con se stessi e con l'altro cresce di ora in ora". Curiosamente succede che, quando termina la giornata di lavoro e ci si ritrova nel trambusto della vita cittadina, nei microincontri, sguardo con sguardo, con interlocutori occasionali mai conosciuti, ci siano dei momenti di contatto addirittura imbarazzanti come se si sorpassassero delle barriere di chiusura personale.
Devo dire che non tutto quello che ho sentito da Bolognini mi ha trovato concorde, però mi ha colpita il suo modo di trattare temi come le barriere, i sentimenti non ammessi, le contraddizioni.
"Negli individui", afferma lo psicanalista, "ci sono sempre delle vaste aree in cui le aspettative sono quelle di avere un trattamento di favore, un trattamento come quello che avremmo ricevuto dai nostri genitori. Come se dentro di noi ci fosse una parte cittadino e una parte figlio. Ma queste aspettative non sono ammesse consciamente dalla persona nella propria immagine di sè. Ci dichiariamo tutti correttissimi, internazionalissimi, democraticissimi, ma non è vero."
Altro elemento difficilmente accettato è il fatto di avere vincoli, legami e limiti. Mentre al tempo di Freud il problema era guadagnare l'indipendenza e liberarsi dall'oppressione del SuperIo (cioè una coscienza morale interna troppo forte), oggi, nella nostra società individualista, si tende a negare la necessaria interdipendenza tra esseri umani (vedi la tipica affermazione narcisistica "non mi sono mai piegato a compromessi") e si tende a dimenticare che il convivere sociale non è un compito semplice, ma richiede pazienza e impegno.

venerdì 3 dicembre 2010

W l'Europa


Giorni di protesta e di tensione nelle Università. C'è anche molta preoccupazione per il futuro. I fondi scarseggiano. Il ritornello quotidiano è "non ci sono soldi". Così, quando una mattina, ho visto una gru che caricava sul tetto del Dipartimento una serie di grosse strutture metalliche, ho chiesto al mio collega:
"Che stanno facendo?"
"Montano i pannelli solari."
"I pannelli solari??? E chi li paga?"
"Con fondi europei."

Meno male che l'Europa c'è. L'ho sempre pensato.

martedì 30 novembre 2010

Che tristezza le risse tra maschi alpha!

Che tristezza apprendere delle diatribe tra gli oppositori di Berlusconi! Volano coltelli dentro l'Italia dei Valori tra Luigi De Magistris e Sonia Alfano contro un tale Antonio Borghesi. Grande can can per un uscita di Beppe Grillo contro Saviano durante uno spettacolo, raccontata da Beatrice Borromeo, investita per questo da 2800 commenti arrabbiati. Ma che senso ha tutto questo?
Non entro nei particolari di queste dispute, che conosco solo superficialmente e non sono neanche sicura che mi interessi conoscerli.
Faccio solo con grande amarezza qualche considerazione:
1) Chi l'ha detto che gli oppositori all'attuale governo debbano pensarla tutti allo stesso modo? Per fortuna ognuno ha idee ben diverse su come uscire dal declino e propone alternative diverse, come è normale e augurabile.
2) Perché chi si oppone all'attuale governo non si unisce su quello che condivide perseguendo in tal modo il bene comune invece che dividersi per dimostrare chi è più ganzo? Temo che la risposta sia proprio che il fine non è il bene comune ma l'affermazione della propria personalità sotto i riflettori mediatici.
3) Perché c'è tanta gente che ha bisogno di essere "seguace" acritico e talebano di un guru, innamorandosi del messia di turno, anziché ragionare con la propria testa e saper apprezzare e/o criticare i contenuti più che il personaggio leader nel suo insieme? Credo che sia una mancanza di cultura nel senso di allenamento alla fatica di riflettere, farsi domande, porsi dubbi o anche solo approfondire gli argomenti (costa tempo e fatica approfondire, meglio aderire agli slogan).
4) Perché nessuno ragiona come un "noi" ma sembra non esserci via di uscita da una società individualista dove conta solo il proprio successo e la propria affermazione personale? Era così anche prima della caduta (con tutti i loro mali) delle ideologie novecentesche? In questo mi sento giovane e non mi ricordo. Mi piacerebbe capirlo.
Insomma queste polemiche mi fanno un gran male, non perché mi importi di De Magistris o di Grillo, ma perché danno la misura di quante poche speranze ci sia in un reale cambiamento di passo.
A questo proposito mi è piaciuto molto quanto scrive Concita De Gregorio nel suo fondo di domenica scorsa (anche se non condivido fino in fondo la lettura femminista che ne fa del fenomeno):
"Sgomenta la rissa da galli nel pollaio che si è scatenata contro Saviano fra campioni dell'opposizione mediatica. Dicevo molti mesi fa che c'è un eccesso di testosterone, in queste dispute: lotta fra aspiranti maschi alfa. Michele Serra giorni fa ha scritto: la consueta gara a chi ce l'ha più lungo. La sindrome si associa spesso alla sua gemella: ce l'ho solo io. Sono stato il primo, non metto il cappello sulla manifestazione degli altri, eccetera. Vorrei far notare alle prime donne - mai come in questo caso: ai primi uomini - che il pubblico (l'elettorato) da casa è lo stesso. Sono le stesse persone, a volte più a volte meno, e si aspettano che chi conduce la medesima battaglia sia solidale. In tv come in politica. E' quella malattia lì il cancro dell'opposizione. Spiace farne una questione di sesso, ma è una malattia maschile."

domenica 28 novembre 2010

L'invidiabile leggerezza del giocare insieme


Sabato mattina. Finalmente una pausa al brutto tempo. Ne approfitto per ritagliarmi un'oretta e andare alle Cascine a fare qualche foto ai bellissimi alberi gialli che ho adocchiato durante la settimana di cielo grigio.

Sul pratone del Quercione è in corso la consueta partitella di calcio. Fermo un attimo la bicicletta per osservarli. Chi sono questi uomini di tutte le età e di diversa provenienza che, abbigliati alla meno peggio, passano la mattina qui a tirare calci ad un pallone? Ci sono giovani e anziani con la pancetta. Fiorentini e sudamericani. Alcuni tarchiati, altri alti e un po' curvi. I più vecchi stanno davanti alle piccole porte costruite artigianalmente con dei pali. Si sente una bestemmia ogni trenta secondi, ma non c'è tensione. Vedo che battono persino le punizioni senza che ci sia un arbitro che le decreta. "Passala al Perù!" "Benissimo un c..o! Mi ha sgambettato!" Qualcuno con i capelli grigi tenta virtuosismi da ex, qualcun altro liscia la palla. Ma si divertono. Chi sono? Si trovano qui spontaneamente come i bambini ai giardinetti o c'è qualcuno che organizza?
Il calcio, nonostante tutti i soldi che ci girano, nonostante lo spettacolo obnubilante di quello professionistico, è un gran collante. Lo noto anche tra i coetanei dei miei figli.
Giocare insieme. Invidio questa capacità degli uomini di saper mantenere la propria dimensione ludica. A tutte le età. Di saper mettere da parte doveri, responsabilità, problemi e giocare. Non so chi sei ma basta che giochiamo.
Noi donne non lo sappiamo fare (salvo eccezioni). Sin da piccole il passatempo è chiacchierare, con tutte le dinamiche positive e negative che questo comporta. Ma non voglio fare la sociologa da strapazzo.
Semplicemente mi piacciono questi sfigati che, a costo zero, si divertono all'aria aperta, in questa splendida fredda mattina di sole.

giovedì 25 novembre 2010

RUP, CIG, CUP, DURC.... bum!

Basta, sono stufa! Nei quasi trent'anni che faccio questo lavoro ho visto cambiare le regole amministrative che riguardano gli approvvigionamenti tante di quelle volte che ho perso il conto. Negli ultimi anni mi sembra che questi cambiamenti siano sempre più fitti e le regole sempre più complicate e farraginose. Basta! Come cittadina rivoglio indietro lo stipendio del ministro della semplificazione e di tutti gli addetti al suo ministero!
Sono stufa delle circolari dei miei dirigenti che si limitano a fare il riassunto della legge appena uscita. Il riassunto lo so fare anch'io. Voglio indicazioni PRATICHE su cosa fare. Mi sento sotto il fuoco incrociato delle circolari. Ogni dirigente manda la sua. Non ne posso più di quelle dove si fa sfoggio di burocratichese:
"...approccio di tipo sistemico potenzialmente in grado di dispiegare capacità di contrasto dei fenomeni psicosociali in oggetto e teso ad andare oltre la mera previsione del disposto normativo..."
Siamo veramente sicuri che se un ricercatore ha bisogno di un bullone per il suo apparato sperimentale debba essere nominato RUP, debba acquisire un CIG, indicare un CUP e noi in amministrazione ottenere un DURC? Serve davvero a contrastare la mafia, il riciclaggio di denaro sporco, il lavoro nero?
Sono furiosa.

lunedì 22 novembre 2010

Piove sulla blogger malinconica, svogliata e anche un po' obsoleta

In questo piovoso pomeriggio domenicale mi pervade una certa malinconia. L'autunno mi mette tristezza, le feste natalizie che si avvicinano, l'inverno davanti da passare, l'attualità politica, i miei colleghi, tutto contribuisce a deprimermi.
Apro il PC portatile e mi accingo a fare il mio compitino domenicale di trascrizione-riassunto di qualche trasmissione ascoltata o vista tra le mie preferite. Ho vari file nella cartella "dapostare" ma improvvisamente mi prende la pigrizia di chi avrebbe voglia solo di andare in letargo.
Penso agli amici blogger e mi accorgo che tanti hanno smesso di aggiornare il blog per i motivi più diversi, alcuni noti, altri solo immaginati. Marina non si è ripresa dalla morte del marito, i due giovani Pandoro e Lorenzo hanno comprensibilmente ben altro per la testa, Belphagor è emigrato, Giangiacomo, Equipaje, Licia Titania hanno altro da fare o si sono scocciati. Un po' assenti anche Verrocchio, Marco-Senza traccia, Erica, Julo. In giro per blog noto che scarseggiano anche i commenti e non ci sono più quelle belle discussioni di qualche tempo fa'. Probabilmente il blog è una moda che sta passando.
Trovo nel mio file di appunti un link ad un articolo del Corriere della Sera nel quale, già dal febbraio di quest'anno, si titolava "I blog sono già vecchi". In realtà nell'articolo si parla più che altro di giovani e si indica come causa del declino la necessità di qualcosa di più veloce e immediato. Gli intervistati nell'inchiesta in questione (tutti sotto i 30 anni) definiscono il blog troppo "macchinoso, complicato e prolisso". (Come non mi piace la parola prolisso!) Probabilmente, dal loro punto di vista, hanno ragione. Dipende tutto da ciò che si cerca. Capisco che oggi non si abbia voglia di spiegare concetti e sensazioni per mezzo di un testo scritto e articolato, di prestare un minimo di attenzione alla forma, alla sintassi, all'ortografia. E questo non vale solo per i giovani. D'altra parte si può essere tentati di vedere l'affermarsi dei social network, con la loro immediatezza a danno del pensiero ponderato e formulato con un minimo di accuratezza, come un "imbarbarimento".
Stefano Maruzzi, capo di Google Italia, intervistato da Marino Sinibaldi a Fahrenheit, afferma a ragione che si è sempre parlato di imbarbarimento quando nella storia abbiamo avuto una discontinuità tecnologica significativa, come per esempio quando si è diffusa la macchina per la stampa di Gutenberg. Anche allora la diffusione più veloce dei libri è stata vista come un imbarbarimento perché si è avuto un abbassamento del livello qualitativo del prodotto come accade quando la tecnologia apre spazi a chi fino ad allora faceva altri mestieri. (Chi di noi blogger si può dire indenne da piccole inconfessate velleità letterarie o giornalistiche? "Vanity publishing" si chiama in USA l'attività di stampare libri a spese proprie per il piacere di pubblicare qualcosa di proprio).
Temo di star divagando. Quindi, visto che siamo sull'autocoscienza blogger e che non vuole smettere di piovere, ci sta bene una curiosa poesia che ho trovato in rete diverso tempo fa'. E' di una blogger che si firma "DolceLei" e che, a quanto pare, a dispetto di quanto detto sopra, tiene il suo blog, carico di banner e di cuoricini, da ben quattro anni.

oh..ohhh...ohhhh ...ascoltate voi blogger dispersi latitanti e depressi.
Piove sui blogger a macchia di leopardo.
Piove e tuona sopra i loro blog con ghigno beffardo.
Piove sui derelitti blogger afflitti.
Piove sulle loro teste balzane e le loro menti scrivane.
Piove sui loro volti bizzarri e stanchi.
Piove sui loro sinistri scritti e i loro
volti avvizziti
Piove e diluvia sui blogger senza l'Adsl e la connessione.
Piove sul postatore di professione e sul suo capoccione.
Piove senza sosta sul blogger che posta.
Piove a catinelle e forse a tinozze sul blogger che festeggia le terze nozze.
Piove a dirotto sul blogger che ha rotto.
Piove insistentemente sul blogger assente
Piove sui loro commenti sempre poco presenti.
Piove senza indugio sul blogger deluso.
Piove senza ritegno sul blogger ottimista, scherzoso e altruista
Piove semplicemente
su questa Dolcelei fetente
che vi dedica questa poesia.
Chiedo venia per le possibili inondazioni,
gli straripamenti e le alluvioni.

sabato 20 novembre 2010

Un caffè al chiosco degli sportivi

Sabato mattina. Sono in anticipo di qualche minuto per la visita guidata a Palazzo Pitti con gli Amici dei Musei. Quasi quasi mi prendo un secondo caffè della giornata (uno strappo alla regola per me). Passo davanti ad un piccolo chiosco, famoso punto di ritrovo per attempati tifosi viola, e mi viene in mente che tempo fa una signora mi segnalò che qui il caffè costa solo 80 centesimi. Ma sì, mi fermo qui. Non tanto per il risparmio, quanto perché preferisco un ambiente meno pretenzioso degli eleganti caffè di via Tornabuoni.
Entrando ci si trova davanti una televisione sintonizzata su MTV, a sinistra il banco del bar e a destra un altro con la cassa e la vetrina dei panini. A quest'ultimo un ragazzo biondo sta preparando dei sandwich con il tonno e chiacchiera amabilmente con la ragazza che sta al banco di fronte. A quanto capisco, parlano del padrone che sarebbe dovuto passare con le provviste e ancora non si è visto. La ragazza ha la pelle un po' scura, i capelli nerissimi tirati su e veste una divisa impeccabile. Non riesco a capire la sua provenienza ma parla un fiorentino con accento straniero che trovo delizioso.
Entrambi i ragazzi sono gentili ed educati con me, ma la loro attenzione è molto assorbita dalle loro schermaglie. Mi sento quasi di troppo mentre bevo il mio caffè. Così pago e li saluto lasciandoli soli nella loro tranquilla mattinata di sabato. Anche se il loro capo non arrivasse mi pare che stiano proprio bene così.

giovedì 18 novembre 2010

Ma come diavolo si usa questo affare qua

L'altro giorno ascoltavo una delle puntate di Fahrenheit dedicate alla scuola. Erano ospiti Girolamo De Michele, insegnante di storia e filosofia in un liceo di Ferrara e autore di La scuola è di tutti. Ripensarla, costruirla, difenderla, e Piero Cipollone, economista e autore di Capitale umano. Sulla scuola i due ospiti non hanno detto niente che non sia condivisibile ma anche niente di nuovo, però alcuni spunti di riflessione mi sono parsi interessanti.
De Michele, per esempio, ha evidenziato come il divario Nord-Sud (che pare sia di ben 70 punti OCSE-PISA equivalenti a due anni di scuola) non sia solo un problema di scuola ma di società. L'istruzione di un ragazzo dipende infatti anche da altri elementi come quanti libri ci sono in casa, quante biblioteche e librerie ci sono nel paese in cui abita (13 milioni di Italiani vivono in paesi dove non c'è neanche una libreria).
Durante la trasmissione si sono poi soffermati sui cambiamenti epocali del Ventunesimo secolo per i quali c'è bisogno di imparare competenze diverse da quelle che la scuola tradizionalmente insegna. In effetti se ci guardiamo intorno in ufficio vediamo quasi tutte apparecchiature non c'erano dieci anni fa e ciò ci dà l'idea di quanto saremo costretti ad imparare nei prossimi dieci anni. Chi non sarà in grado di utilizzare macchine complesse che diventeranno quotidiane sarà tagliato fuori. Questo però non significa che ci vogliano più insegnanti e più materie tecniche. Quello che la scuola deve fare non è insegnare ad usare il computer di oggi, che tra dieci anni sarà antiquariato (e qui mi sono venute in mente le polverose macchine che usavamo durante l'ora di Calcolo Computistico) ma deve dare l'elasticità mentale che mi consentirà tra dieci anni di imparare ad usare la macchina che ci sarà allora senza avere il blocco dell'apprendimento che capita ad una certa età.
L'analfabetismo di ritorno è un altro dei temi affrontati nella puntata dimostrato da quante persone hanno difficoltà a fare un biglietto del treno allo sportello automatico o addirittura a capire il tabellone dell'orario dei treni o da quante persone che non sanno fare da soli la dichiarazione dei redditi.
Viviamo in una società molto complessa e, se negli anni Sessanta il diploma di Scuola Media Inferiore era sufficiente per affrontarla, oggi come base bisogna avere quello che si impara a diciott'anni finito il liceo.
Dall'altra parte invece c'è una precisa volontà politica di creare un ceto di cittadini di serie B, incapaci di essere attivi e di leggere un contratto di lavoro. Nell'odierna giungla dei contratti di lavoro, afferma sempre De Michele, avremo dei cittadini che firmeranno inconsapevolmente e che saranno incapaci di far valere i propri diritti a fianco di un'elite del 10% della popolazione che, per tradizione familiare (siamo il paese con il più alto grado di rigidità sociale), può accedere all'istruzione.

martedì 16 novembre 2010

Il presente con gli occhi dello storico

Adriano Prosperi, professore ordinario di Storia Moderna, ha una bella voce calda e parla in modo pacato con quel suo lieve accento toscano ed un linguaggio curato e chiaro. Assistetti l'anno passato ad una sua conferenza organizzata da Laterza che, a dire il vero, fu un po' pesante. Ospite a Le Storie in un puntata dal titolo "Un presente non facile" ha espresso, sull'attuale classe politica italiana, giudizi inaspettatamente netti e implacabili ma sempre con una visione ad ampio spettro tipica dello storico e per questo particolarmente interessante.
"Lo stato di degrado delle istituzioni è reso evidente dal fatto che gli Italiani più consapevoli si stringono intorno alla magistratura come ultimo garante dei diritti costituzionali. Ciò fa sorridere pensando che nel Sessantotto la magistratura era considerata un'istituzione borghese da travolgere. Oggi abbiamo capito che la giustizia riguarda soprattutto i più deboli."
Alla richiesta di Augias di qualche elemento consolatorio da attingere da altri momenti di crisi della nostra storia, Prosperi risponde:
"L'Italia è un paese che è stato unito malamente a spese delle classi popolari. E' cresciuto sulle tragedie delle due guerre mondiali e sulla violenza del fascismo. Dopo un periodo considerato "miracoloso" in cui la popolazione era unita sui punti essenziali, adesso assistiamo al disastro che è avvenuto perchè negli anni delle vacche grasse nessuno ha provveduto ad ammodernare veramente le istituzioni che sono rimaste fondamentalmente quelle del ventennio fascista. I difetti antichi ci vengono davanti nella veste modernissima di un regime seduttivo basato sul monopolio dell'informazione."
Una ragazza del pubblico gli chiede se l'attuale legge elettorale gli sembra degna di una democrazia:
"Durante il fascismo il Parlamento divenne una Camera delle Corporazioni con candidati decisi dall'alto. Ci stiamo tornando. Il carattere della società democratica in cui viviamo è tale che coloro che hanno fatto l'attuale legge Corsivoelettorale sghignazzino allegri perchè sono fieri di quello che hanno combinato. Il regime fascista in questo senso era più pudico. Ora ci si può gloriare delle porcherie instillando l'idea che la prepotenza funziona e che la sopraffazione è un diritto."
"Abbiamo il privilegio di vivere in un paese dalle tradizioni culturali altissime, che si è arricchito di tesori che lo rendono il principale possessore della memoria dell'umanità e che è ancora un paese capace di straordinari frutti dell'intelligenza. Il nostro problema è che tutta questa potenzialità non si traduce in istituzioni civili."
Ed alla "banda di sciagurati che non sa quello che fa" (i militanti della Lega che bruciano il tricolore), lo storico risponde con il motto risorgimentale: Liberi non sarem se non siam uni.

sabato 13 novembre 2010

Sindrome da deficit motivazionale

Nella filiale della banca che frequento per motivi di lavoro sono passati diversi impiegati (e diversi direttori). Essa rappresenta la mia cartina di tornasole per capire se certi meccanismi che vivo nel mio ambiente lavorativo di ente pubblico si ritrovino anche nel privato. E' il mio piccolo laboratorio antropologico. Ci sono periodi come questo in cui la stanchezza mi fa tollerare poco i miei colleghi che, pur lavorando, si lamentano di tutto, la cui principale preoccupazione è avere assegnati meno compiti possibili e verificare che la propria mole di lavoro non sia superiore a quella degli altri, con un capo, gradevolissima persona, ma che non sa assolutamente gestire i propri sottoposti.
Così quando esco per portare i documenti in banca, un po' mi consolo perché vi scopro dinamiche simili. C'è l'impiegato con l'aria scostante a cui è bene non chiedere nulla perché non sa nulla e ti farà capire che non si sforzerà di un centimetro per darti le informazioni di cui hai bisogno. C'è la cassiera gentile che, nonostante i suoi modi educati, non ti sarà utile perché di tesoreria di enti pubblici non ne ha mai sentito parlare. C'è la corpulenta impiegata, che è da più tempo in quella filiale, che si muove come un bradipo e la cui unica preoccupazione è quanto manca alla pausa caffè, alla fine dell'orario e alla pensione. Poi c'è il giovane rampante, capelli pieni di gel e modi confidenziali, che alla tua domanda sulla tesoreria ti risponde che non ne sa nulla perché "si occupa di borsa".
E infine c'è L., giovane madre, carina, magra, lo sguardo vispo, un modo di fare accogliente ma non servile. Se gli fai una domanda capisce subito il problema. Se non sa come risolverlo, alza il telefono e cerca qualcuno a cui chiedere. Ci sarà un motivo se il direttore delega tutto a lei quando non c'è.
Ieri le chiedevo se sapeva qualcosa delle diatribe tra l'ufficio tesoreria e l'ufficio estero di Roma. "Non ne so niente", mi ha risposto, "ma fondamentalmente il punto è che la gente non c'ha voglia di lavorare".
Pare che tra le tante malattie inventate dalle industrie farmaceutiche per vendere farmaci ci sia la sindrome da deficit motivazionale che, come dice L. nella sua mirabile sintesi, sta diventando un'epidemia.

martedì 9 novembre 2010

Forza ragazzo mio!

Spesso mi dite che sul blog "vi infamo", cioè parlo male di voi raccontando i fatti vostri. Non è proprio così e poi comunque la cosa vi turba talmente tanto che il mio blog non lo leggete mai.
In questi giorni tentiamo, anzi, TU stai tentando un esperimento per risolvere un problema che ti fa soffrire, un problema troppo intimo e delicato per parlarne qui.
Volevo solo dirti che sono con te. Io e il babbo siamo con te. Facciamo il tifo per te.
Coraggio!

domenica 7 novembre 2010

Prossima fermata?

La curiosità ed il banalissimo fatto che il luogo è a dieci minuti a piedi da casa mia mi ha spinto a mettere il naso alla Stazione Leopolda dove, come saprete, si è svolta in questi giorni l'iniziativa "Prossima fermata Italia". Sono contenta di poter scrivere "come saprete" perchè la manifestazione ha avuto, per fortuna, (oltre ad un bel successo di partecipazione) una discreta copertura mediatica e quindi non c'è bisogno che mi dilunghi a raccontarla.
Mi limiterò ad alcune impressioni del tutto personali:
- La formula del centinaio di interventi di cinque minuti l'uno mi ha lasciata un po' perplessa. Adoro la sintesi ma in cinque minuti si dice davvero poco e si rischia ridurre temi importanti in spot. Per esempio, avrei voluto saperne di più dell'esperienza raccontata da una giovane consigliera in un comune del nord dove il PD si è alleato con la Lega.
- Alcuni interventi mi sono piaciuti molto come quello di Cristiana di Latina, dove da anni si contendono le primarie i soliti due candidati, tra l'altro anche con qualche ombra. Altri meno, soprattutto quelli dei politici più consumati.
- Hanno parlato molti giovani sindaci di tutte le parti d'Italia. Ricordo Giovanni, giovane sindaco campano, che si è guadagnato con la sua buona amministrazione il secondo mandato nonostante il PD locale non ne abbia confermato l'appoggio o Giuseppe Catizone, sindaco di Nichelino, eletto al secondo mandato con il 75% dei voti in un comune del nord dove la lega è al 4%. Ciò dimostra che ci sarebbe un bel vivaio di persone nuove (anche non necessariamente giovani) ma con una bella esperienza alle spalle da proporre invece di passarsi le candidature tra i soliti (Vi prego ditemi che non è vero che vogliono candidare Fassino a sindaco di Torino!).
- Ho sentito tante belle idee sul fisco, sul lavoro, sull'ambiente, sulla cittadinanza agli stranieri, sulle donne, sulla necessità di diffondere la banda larga in tutto il paese, ecc. ma sono rimasta fino all'ultimo con un bel punto interrogativo: tutto bello ma ora che facciamo? Qual è la proposta concreta finale, a dire la verità, non l'ho capito (nonostante la cosiddetta Carta di Firenze).
Dubbi e perplessità a parte, alla Leopolda c'era una bella atmosfera, propositiva, speranzosa, per niente sfiduciata o aggressiva. Ha fatto male, secondo me, Bersani a non venire dimostrando di non capire ancora una volta che ovunque ci siano elettori, ex-elettori o potenziali elettori del PD, il segretario dovrebbe farsi vedere almeno interessato ad ascoltare.
Tanto di cappello alla capacità oratoria di Renzi che si dimostra, aldilà di tutto, un ottimo comunicatore per chiarezza e per capacità di coinvolgere.
Per usare le parole del costituzionalista e deputato del PD Salvatore Vassallo: “Una bella boccata d’ossigeno in tempi amari”

sabato 6 novembre 2010

Prossima fermata Italia


La diretta su www.ilpost.it oppure su L'Unità

Prossimamente su questi schermi le impressioni di Artemisia.

martedì 2 novembre 2010

Siamo quello che costruiamo

L'Osservatorio Nazionale sui Consumi di Suolo ha rilevato che tra il 1999 e il 2005 nella sola Lombardia è scomparso (cioè è stato sottratto alla vegetazione) ogni giorno l'equivalente di una dozzina di campi da calcio (dai 12 ai 20 ettari). Tra il 1990 e il 2005 l'Italia si è "mangiata" 3,5 milioni di ettari di suolo, una superficie pari a Lazio e Abruzzo messi insieme, ogni anno 240.000 ettari contro gli 11.000 della ben più estesa Germania. E non è vero che questa edificazione serve per soddisfare le esigenze abitative della crescente popolazione (lo illustrava bene una puntata di Report dell'anno scorso) perché in Liguria, per esempio, dove la popolazione sta diminuendo, sono in costruzione 3 ML di metri cubi.
Non sono un'amante delle cifre ma quelle tratte dal libro "La colata", scritto da cinque giornalisti appassionati di architettura, sono impressionanti. Ferruccio Sansa, uno degli autori, ospite insieme a Marco Preve di Augias, ha dichiarato di essere partito dalla frase Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia: "Tutte queste speculazioni sono realizzate per mancanza di affetto". Anche oggi la mancanza di attaccamento al nostro paese purtroppo balza agli occhi. Sansa e i suoi colleghi elencano casi e responsabili del saccheggio: dalla Riviera del Brenta che ispirò Tiziano riempita di centri commerciali, alla Langhe di Fenoglio deturpate da una fila di capannoni industriali, al progetto Minneapolis che sta devastando la conca morenica di Ivrea, al progetto di costruire case a Modena per altri 50.000 abitanti su una popolazione attuale di 100.000, all'interramento di 100.000 mq di mare davanti a Siracusa dove nel 400 a.C. i Siracusani sconfissero gli Ateniesi, e tanti altri ancora.
Un saccheggio che vede diversi colpevoli: speculatori edilizi, imprese legate alla criminalità organizzata che riciclano nel cemento i proventi delle loro attività illecite, politici di tutti gli schieramenti, amministratori locali che, strozzati da esigenze di bilancio, non riescono a dire di no agli oneri di urbanizzazione, architetti di chiara fama che mettono il proprio nome su progetti nefasti e anche i cittadini che vedono il vantaggio immediato di una casa pur abusiva senza pensare nè ai pericoli di dissesto idrogeologico nè ai costi per la collettività nel fare i servizi che si rendono necessari.
Il business del cemento e del mattone è illustrato in modo più efficace di tante parole nella provocatoria scenetta di Antonio Albanese, tratta da Che tempo che fa, nella quale il suo strepitoso Cetto La Qualunque dice:
"Sai quante palazzine ci verrebbero al posto di quella catapecchia del Colosseo?"
"Ma è di un valore inestimabile!", gli fa da spalla Fabio Fazio.
"Macchè, ti faccio subito la stima. Ci verrebbero 16 palazzine con 44 appartamenti ciascuna. Risparmiando sul verde, parco giochi e rete fognaria (che non servono a niente) a 10.000 euro al mq, perché siamo in centro, fa un totale di 762 ML di Euro." Più chiaro di così.
Oggi, risentendo storia a mio figlio, notavamo come balza agli occhi la differenza tra la raffinata ed eterea civiltà minoica e l'austera e guerresca civiltà micenea, confrontando quello che ci hanno lasciato (il colorato e fantasioso Palazzo di Cnosso al confronto con le ciclopiche mura di Micene). Come dice giustamente Ferruccio Sansa, "noi siamo quello che costruiamo". Cosa lasceremo a chi verrà dopo di noi?
Questo tema mi ha fatto venire in mente anche Riccardo Carnovalini, che da 25 anni fotografa il paesaggio italiano e le sue modificazioni durante i suoi viaggi a piedi. L'estate scorsa, durante un convegno sul camminare, mi aveva infatti molto colpito l'intervento del Carnovalini ed in particolare questo passo:
"Vista la condizione del nostro paese così straordinario ma così straordinariamente calpestato, ho pensato che, se dovevo continuare a camminare in Italia, dovevo farlo con un taglio decisamente più politico, visto che i politici non fanno politica ma affari. Ho capito allora che il cammino può essere rivoluzionario. Se noi riusciamo con il nostro cammino a proporre nuovi stili di vita e a rifiutare il massimo simbolo del progresso (cioè l'automobile), facciamo qualcosa che può veramente cambiare le carte in tavola in questa nostra società e può riallacciare i fili tra il territorio e i suoi abitanti. Ritengo che il male principale rimanga la mancanza di amore e di conoscenza del territorio e dei suoi abitanti. Bisogna che il cammino ridiventi protagonista della nostra vita perché è l'unico strumento che abbiamo per riappriopriarci del nostro territorio prima che altri ne facciano uno strumento per i loro affari e per la loro ricchezza, a danno della ricchezza di tutti noi."

Ferruccio Sansa a Fahrenheit
Sansa e Preve a Le Storie - Diario Italiano

sabato 30 ottobre 2010

Alieni su Rai 3

Come mi ero ripromessa quest'estate ascoltando l'intervista a Piero Dorfles, ho cominciato a seguire la trasmissione "Per un pugno di libri" che va in onda su RAI3 la domenica alle 18 (orario tabù per i patiti del calcio). In passato ne avevo visto qualche frammento distrattamente e invece l'ho trovata interessante, garbata e anche divertente. Non sono un'appassionata di quiz. Trovo un po' banali quelli tipo "Chi vuol esser milionario?", che vede anche mio figlio. "Per un pugno di libri" è diverso perché i concorrenti sono intere classi di ragazzi dalla scuole di tutta Italia (Nord e Sud, città e provincia, con esiti per nulla scontati), perché le domande hanno come oggetto libri e soprattutto perché in palio non ci sono soldi ma proprio libri, oggetti i quali vengono considerati dalla gran parte degli Italiani (lo dicono le statistiche) utili al massimo come zeppa da mettere sotto i mobili barcollanti.
Come mamma di due adolescenti, sono piacevolmente stupita dai concorrenti. Ragazzi e ragazze che sarebbero bollati subito come secchioni dall'entourage dei miei figli ma che a me invece fanno rimanere a bocca aperta per come sanno rispondere alle domande, alcune facili ma altre che richiedono una certa cultura che gli adolescenti di mia conoscenza si sognano. Sono davvero mosche bianche? Sono marziani? Eppure hanno l'aspetto di normalissimi ragazzi di oggi. Sembrano anche loro fatti di carne, ossa, jeans, gel e brufoli.
Per favore, ditemi che ce ne sono tanti di giovani così!

mercoledì 27 ottobre 2010

Vegetariana fallita

Giorni or sono mi cade l'occhio su un titolo di Repubblica online: "Il vegetariano si converte: la carne fa bene al pianeta". Gulp! Mi sono sentita un po' tirata in causa ripensando al mio percorso da aspirante vegetariana del 2007, al quasi del tutto vegetariana del 2009, fino alla condizione odierna di vegetariana fallita.
Nessun pentimento, sia chiaro. Sono ancora convinta che l'eccessivo consumo di carne dei paesi sviluppati sia una jattura per il pianeta (e in particolare per il Sud del mondo). Sono sempre del parere che bisognerebbe demolire il mito della fettina e adottare per la nostra salute un consumo moderato di alimenti di origine animale. Putroppo però la combinazione ciclo mestruale, donazione di sangue e dieta vegetariana mi hanno fatto scendere il livello di ferritina (cioè le scorte di ferro) sotto il livello di guardia. Così ho dovuto prendere delle fiale di ferro e quindi mi sono detta che, piuttosto che intossicarmi con integratori alimentari, è meglio ricominciare a consumare moderatamente un po' di carne (e un po' di pesce).
D'altra parte non vedo perché si debba essere fondamentalisti. Tra chi elimina del tutto alimenti animali e chi mangia la fettina a pranzo e a cena ci sono sicuramente salutari ed ecocompatibili vie di mezzo.

lunedì 25 ottobre 2010

Dietro le quinte de Le Nozze di Figaro

Insolita visita con gli Amici dei Musei sabato scorso al Teatro Comunale di Firenze guidati da Alida Cavallucci, dipendente della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino. La sig.ra Cavallucci ci ha raccontato brevemente la storia del teatro (nato nel 1862 per "smuovere i pigri fiorentini"), ci ha accompagnato negli ambienti riservati agli addetti ai lavori e soprattutto ci ha trasmesso il suo entusiasmo per un mondo straordinario, spiegandoci che, per poter mettere in scena un'opera lirica, è ingrediente necessario la passione che deve animare tutti gli addetti, dall'ultimo macchinista al direttore artistico. Purtroppo non abbiamo potuto vedere il palcoscenico perché stavano montando le scenografie per Le Nozze di Figaro in programma dal 2 novembre prossimo (diretta su Radio3 per chi è interessato).
Pertanto ci siamo aggirati parecchio nei corridoi (piuttosto fatiscenti e trascurati devo dire) lungo i quali erano posteggiati alcuni costumi, grandi bauli e delle grandi scatole di cartone contenenti le parrucche per l'opera di Mozart.
Interessante è stato poter entrare nella sala dove erano in corso le prove del corpo di ballo e vedere questi ballerini dai corpi scolpiti magnificamente, vestiti nei modi più diversi, provare e riprovare i passi. Chissà quante ore e anni di studio per farne un mestiere!
Infine siamo andati in platea dove stava provando l'orchestra diretta dal norvegese Arild Remmereit. Mentre ascoltavo il direttore fare le sue osservazioni in buon italiano ho pensato con una punta di orgoglio che almeno in questo campo la nostra lingua la fa da padrona, segno che nel passato abbiamo avuto anche noi i nostri periodi gloriosi, almeno dal punto di vista artistico (tant'è che, come ho appreso in questa occasione pare il melodramma sia nato proprio a Firenze alla fine del '500).
Dovremmo ricordarcelo più spesso. Come dovrebbe ricordarselo chi ci governa e sta tagliando i fondi al Maggio Musicale (e a tutti gli altri enti lirici), tanto che la programmazione della stagione arriva fino a dicembre e poi c'è un grande punto interrogativo. "Con la cultura non si riempie la pancia" pare abbia detto il ministro Tremonti. Il sospetto è che si voglia lasciare vuote sia la pancia che la testa.

venerdì 22 ottobre 2010

Alla conquista de Le Città Invisibili

La definizione che avevo sentito da uno scrittore a proposito di un'opera letteraria come di qualcosa che "oppone resistenza" calza perfettamente per il libro che ho appena finito di leggere: Le città invisibili di Italo Calvino. Un libro molto particolare e originale. L'ho comprato quest'estate perché mi sono ricordata che l'amico blogger Belphagor (temporaneamente emigrato all'estero ma spero torni presto in rete perché mi manca molto) lo aveva citato come uno dei suoi libri preferiti. In effetti a leggere i pareri su Anobii su quest'opera sembra che essa abbia estasiato tantissimi lettori.
Quando ho cominciato a leggerlo io invece mi sono spaventata perché mi è sembrata una lettura faticosa, piena di significati profondi ma estremamente criptici e che comunque richiede una concentrazione di cui sono notoriamente carente. Si tratta infatti di brevi descrizioni di città (ciascuna con un insolito nome di donna) che Calvino immagina raccontate da Marco Polo a Kublai Khan.
Dopo qualche pagina volevo chiudere il libro e archiviarlo delusa ma, come mi è già successo per altri volumi in passato, ho sentito come se esso mi lanciasse una sfida. E come non raccoglierla? Inoltre, tra i giudizi che ho trovato su Anobii, ho letto qualcuno che consigliava di tenerlo sul comodino e leggerne una città ogni sera. Così ho fatto e inaspettatamente quando ho finito il libro l'ho rivalutato. La fantasia di Calvino nell'immaginare le città è veramente strepitosa: Fedora che ha in ogni stanza di un palazzo una sfera con dentro un modello ideale di essa stessa, Zenobia costruita su altissime palafitte, Armilla fatta solo di tubature d'acqua, rubinetti e zampilli, Valdrada che sorge su un lago e ha la sua gemella riflessa nelle acque di questo, Ottavia città-ragnatela appesa su un precipizio tra due montagne scoscese.
Rimane comunque un libro difficile, a mio avviso, però sono contenta di aver vinto la sua resistenza tanto che voglio riportare qui una delle città che mi è piaciuta di più perché mi sembra una descrizione molto attuale in questo periodo di crisi e di decadenza.

Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: «Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere».

mercoledì 20 ottobre 2010

Capitalism, a love story

Mi sono piaciuti tutti i film di Michael Moore anche se più che film sono inchieste. Mi piacciono perchè mescolano ironia a tragedia, mi piacciono anche perchè, diciamolo, un po' ci si consola nel vedere che anche oltre oceano ci sono tante cose che non vanno e magari si rivaluta un po' la nostra vecchia e malandata Italia. Talvolta, secondo me, Michael Moore cade nel medesimo nostro errore e vede troppo roseo quello che succede nei paesi diversi dal suo.
In ogni caso Capitalism, a love story è un film da vedere sia perchè spiega bene il potere che hanno le grandi banche e la finanza in genere (potere che influenza e domina le istituzioni), sia perchè mostra efficacemente a cosa ha portato l'amore incondizionato degli Americani per il libero mercato e per il profitto a qualsiasi prezzo.
Alcune scene sono un pugno nello stomaco come le interviste ai familiari che hanno perso un parente sul quale l’azienda per cui lavoravano ha messo a loro insaputa un’assicurazione sulla vita (io comunque avrei risparmiato i primi piani sulle lacrime dei figli). Altre sono divertenti come quando il registra si presenta con un furgone blindato e dei sacchi di tela davanti alla sede di Bank of America o di City Bank reclamando "i soldi del popolo americano".
Su Obama mi pare che Moore metta un punto interrogativo mostrando come da un lato le major non si siano fatte problemi a finanziare anche la sua campagna elettorale, dall'altro ha preso posizione a favore dei lavoratori che occupavano la fabbrica reclamando le paghe arretrate.
Un film probabilmente populista e semplicista ma perchè le cose semplici e chiare non devono essere apprezzabili?