giovedì 31 dicembre 2015

Oggi la mia cara amica R. si sposa

Anni Ottanta a Villa Borghese, Roma
Le nostre vite si sono incrociate molti anni fa, quando, da piccolissime, giocavamo insieme in quello che, nella nostra periferia desolata, si chiamava "il campino". Ma io non me lo ricordo e forse nemmeno tu.
Poi ci siamo ritrovate nella stessa classe alle scuole superiori. Fosti tu a riconoscermi e da allora non ci siamo mai perse di vista. Ricordo alcuni momenti in cui hai saputo toccare la parte più tenera e profonda di me.
Come quando, all'ospedale reduce da un'operazione, mi presentasti come "la tua più cara amica", io che non pensavo proprio di meritarmi questo titolo, essendo del tutto incapace di esserti di aiuto e di conforto in un momento maledettamente difficile per te.
Come non dimenticherò mai quella mattina, durante una gita scolastica, in cui tu mi svegliasti accarezzandomi il viso. Non l'aveva mai fatto nessuno e fu per me una cosa bellissima.
E così sono stata contenta di aver fatto da testimone al tuo matrimonio oggi. Contenta di apporre la mia firma per testimoniare che sì, siete davvero due persone in gamba e che finalmente ti vedo serena accanto a quest'uomo. Ti meriti davvero un po' di serenità, cara R., tu che di fortuna non ne hai avuta granché nella vita, tu che al momento del brindisi ci hai fatto piangere tutti ricordando tuo padre morto quando eri bambina.
Auguri, cara amica mia.

lunedì 28 dicembre 2015

Danza della pioggia

Per quanto la pioggia sia noiosa e provochi le imprecazioni dei più, per quanto impedisca o intralci i miei propositi di cammino, guardando la mia città dalle colline, mi rendo conto che ci vorrebbe proprio un bel lavaggio di quest'aria mortifera. 
Mentre camminavo con questa vista negli occhi, ascoltavo il presidente dell'autorità idrica toscana affermare che le riserve d'acqua nell'invaso del Bilancino ancora ci sono, ma il livello comincia a preoccupare, visto che questo è il periodo nel quale dovremmo accumularle e non consumarle.

venerdì 25 dicembre 2015

Oggi ho cinquantatre anni

Oggi compio cinquantatre anni. Tanti? Pochi? Non lo so. Sono quelli che mi sento. 
Non ho molto da dire della mia vita di questo periodo e sono arrivata ad una fase in cui mi viene da pensare che sia una fortuna non avere niente da dire, perché vuol dire che va tutto bene. In questa fase mi colpiscono soprattutto le cose che non vanno bene, chi si ammala, chi muore, ecc. Quindi è meglio che non scriva quello che mi frulla nel cervello, che non racconti le mie ansie sempre più invadenti.
Se poi guardo un po' più in là vedo sempre più ingiustizie e sempre più cose che mi fanno arrabbiare. Quindi è meglio che non guardi. Lo so che è da struzzi, lo so che non fa onore al mio senso civico, ma purtroppo mi sento talmente impotente che apprendere le notizie vorrebbe dire solo stare ancora più male. Quindi è meglio non saperle. Tanto comunque le notizie ti arrivano. Siamo talmente bombardati che ci arrivano anche se le evitiamo (e ci arrivano quelle che vogliono che si sappiano e nel modo in cui vogliono che passino).
Cinquantatre anni. Me li tengo volentieri, insieme ai miei acciacchini, ai miei indolenzimenti, alla mia ecografia al seno negativa e ai quindici chilometri percorsi stamani insieme al mio compagno (mio figlio dice che camminare "è da vecchi").
Va bene così. Grazie.

mercoledì 23 dicembre 2015

Tornando a casa

Itinerario 1

e

itinerario 2

Entrambi cominciano in ambiente rurale, con uccelli migratori che fanno compagnia e lo sguardo che spazia all'orizzonte. Entrambi purtroppo hanno tratti nella periferia trafficata.
Sono comunque i due migliori che sono riuscita a mettere a punto.

domenica 20 dicembre 2015

Odia i padroni, non gli immigrati, coglione!

Una mattina aspettando l'autobus ho visto questa scritta che mi ha colpito:



La scritta è stata presto cancellata come è giusto che sia. La seduta di una piazza non è un taccuino che chiunque può imbrattare a suo piacimento. Anche se la frase è, a parer mio, assai più acuta di tanti articoli sull'immigrazione.

(Consigliato: video di Saverio Tommasi e Giulio Cavalli: Dialoghi sull'umanità e sul terrorismo)

sabato 12 dicembre 2015

Il mio non è pessimismo, ma senso di concretezza

"Il mio non è pessimismo, ma senso di concretezza." Questa frase è scritta a grossi caratteri un cartello che mio padre ha appeso sulla sua scrivania. Non ho mai avuto occasione di chiedergli perché ha sentito il bisogno di difendere il suo carattere tendente al pessimismo in modo così esplicito. Probabilmente è frutto di una querelle con mia madre.
Che c'è di male ad essere pessimista? Anch'io lo sono tendenzialmente in quanto tendo a notare le cose che non mi vanno bene e non riesco a credere che miglioreranno.
Con le dovute proporzioni, mi sono rivista nel pensiero di Pasolini, ricordato di recente perché sono passati quarant'anni dalla morte.
Pasolini forse ha idealizzato troppo il mondo rurale pre-boom economico, però davvero  aveva capito tutto, prima e meglio degli altri. 
In questo famoso articolo sul Corriere della sera del 1 febbraio 1975 denunciò l'estinzione della vecchia cultura popolare uccisa dall'omologazione e da una nuova insidiosa forma di regime: la società dei consumi che Pasolini definì il più repressivo totalitarismo che si sia mai visto.
Ed oggi sappiamo quanto è calzante quel suo chiamare il fenomeno "la scomparsa delle lucciole".
Mi viene in mente quel passaggio del documentario  La forma della città, di cui ho pubblicato un brano in questo post, dove è anticipato e riassunto proprio quello che non riesco ad accettare del mondo che mi circonda: l'omologazione che la società dei consumi impone in modo subdolo ma potente. 
"Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione."
E siccome a me pare di avvertirla di continuo questa spinta all'omologazione, non è per snobbismo che rifiuto di stare sui social network o di comprarmi lo smartphone (con buona pace di whatsapp che pure, ammetto, è assai comodo). E' solo un piccolo esempio, ne potrei fare altri, eppure sento un'irresistibile voglia di resistere. Lo so che non servirà a nulla. Il mondo va da quella parte. 
Il "paleofascismo" di Mussolini voleva cambiare gli Italiani ma si arrestò alla superficie, mentre la società dei consumi ha guastato le radici della nostra identità, ha minato l'anima delle persone tanto che oggi si desidera tutti le stesse merci, tutti lo stesso tipo di vita. La massa si lascia corrompere e va dove il capitale vuole. 
E quindi non serve lamentarsi poi se le disuguaglianze sono sempre più ampie, i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, i diritti dei lavoratori, faticosamente conquistati, smantellati, come viene smantellata la Costituzione e la democrazia, pezzo per pezzo, giorno per giorno, decreto su decreto, finché ci accorgeremo di non avere più strumenti per contrastare il potere e ci troveremo impotenti con il nostro smartphone in mano.

"Adesso, risvegliandoci da questo incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c'è più niente da fare." diceva Pasolini in "La forma della città"


"Il mio non è pessimismo, ma senso di concretezza," direbbe mio padre.

PS Qui la puntata su Pasolini del Tempo e la Storia che ha fatto da spunto a questo post.