venerdì 30 novembre 2012

Stato laico o scuola pubblica? Comunque sia #sulatesta

I promotori tengono a sottolineare che non sono il centosettantottesimo partitino della sinistra, né l'ennesimo candidato alle primarie.

«Su la testa: l’Italia ricomincia da te» si definisce un "gruppo di pensiero, di azione e di pressione trasversale nel quale fin dalla nascita convergono persone di provenienza, età, professione e cultura diverse, il cui obiettivo comune è stato mettersi insieme per non rassegnarsi né all’astensione né all’eterno ricatto del ‘meno peggio’".
Si definiscono anche animati da "volontà di riscatto e di coinvolgimento." Ove per "riscatto e coinvolgimento" intendono il non rassegnarsi e non arrendersi: né alla tentazione di astenersi «tanto non cambia niente», né alla presunta ineluttabilità dell’ingiustizia sociale e civile, né all’impossibilità di proporre e realizzare idee forti.
E' d'altra parte, non si può non condividere le loro idee elencate qui.

Certo, di movimenti di partecipazione civica in questi anni ce ne sono stati tanti (chi si ricorda più il Popolo Viola,  per esempio?). Ma forse il fatto di comparire e scomparire con altrettanta velocità è la loro intrinseca e inevitabile natura di strumento di pressione, più che di concretizzazione delle proposte.
Sfogliando il loro sito mi piacciono le loro proposte che vengono definite "riforme concrete, realistiche e radicali che cambino in meglio le vite delle persone. Come sono stati nel passato lo statuto dei lavoratori, la scuola media unica, il nuovo diritto di famiglia, il diritto al divorzio e all’interruzione di gravidanza." Mi piace il loro partire dalla Costituzione. Non è certo originale ma doveroso. Mi piace che ci sia qualcuno che ha ancora voglia di fare, come per esempio, distribuire adesivi davanti ai seggi delle primarie:


Domenica andrò a votare con poca fiducia e molto disincanto per "l'usato sicuro" (o per il meno peggio che dir si voglia), però l'adesivo me lo porto. Ancora non ho deciso se quello con "Io voglio lo Stato Laico" oppure "Io voglio scuole pubbliche di qualità". Magari mi porto tutti e due.

mercoledì 28 novembre 2012

A che serve la letteratura?

Mentre ero in campagna a fare i soliti lavori di manutenzione ho sentito una puntata di Fahrenheit Radio3 nella quale si citava un articolo che ha toccato corde sensibili in me.  Qui la versione originale dell'articolo (e qui la traduzione) di Michael Reist, docente di letteratura inglese, che, facendo un parallelismo con il Latino, si chiede se anche la letteratura diventerà un affascinante anacronismo.
Scrive Reist: "Quando un insegnante propone un romanzo attuale la prima cosa che gli studenti chiedono è: ne hanno fatto un film? In caso contrario la tappa successiva è SparkNotes  che ne offre la trama. Oggi leggere la letteratura non significa leggere un libro ma leggere quello di cui parla il libro. La letteratura per uno studente di oggi ha un formato noioso anche se esso viene trasferito su Ipad. Il problema è proprio la forma letteraria così come l'abbiamo conosciuta."
Posso testimoniare che, almeno per i miei figli, è proprio così. Non c'è da stupirsi. Quando eravamo giovani noi ("prima del microchip" per dirla con Reist), non c'erano tante alternative. Oggi i ragazzi hanno un'infinità di possibilità di arricchimento umano. Osservo con un po' di tenerezza i tentativi degli insegnanti di proporre loro letture abbordabili e noto che, nel vastissimo panorama possibile, stanno attenti ad assegnare libri brevi per avere qualche vaga possibilità che li leggano. Per esempio, nel programmare l'ascolto dell'audiolibro di Giro di vite di Henry James, mi sono ricordata che l'insegnante lo aveva assegnato a mio figlio un paio di anni or sono e, nell'ottica di condivisione di esperienze culturali, gli ho chiesto come l'aveva trovato: "Boh!" mi fa "Ne avrò lette appena tre o quattro pagine."
Per dirla in tutta franchezza, io li capisco. La letteratura è una cosa bellissima, arricchente ed sicuramente utile per capire il mondo, come giustamente sottolineano gli ospiti della puntata di Fahrenheit. Personalmente mi impongo di leggere perché mi piace imparare (non a caso prediligo i saggi ai romanzi) e la lettura è attività essenziale (anche se non esclusiva) per imparare. Come ho sentito dire a Vittorio Sermonti: "Se non sei disposto ad annoiarti, non impari mai niente. La noia è un coefficiente decisivo dell'avventura della conoscenza." Tuttavia nella vita frenetica che sono costretta a fare non riesco a godermi un'attività che richiede tempo. 
Non a caso Michael Reist scrive nel suo articolo: "siamo approdati nel mondo dei tre minuti. Quello che dura di più non vale la pena. E' quello il periodo massimo di capacità di attenzione."
E' vero che i ragazzi di tempo ne hanno tanto ma se ci metti un po' di compiti (pochi per carità!), lo sport, la musica, i videogiochi, i social network, gli amici e così via, quello strano oggetto che è il libro viene relegato a cinque minuti prima di dormire con gli occhi che si chiudono.
E vi prego di non citarmi i diritti del lettore di Pennac sulla libertà di leggere quello che ci pare e quanto ci pare. Temo che gli adolescenti si fermerebbero al numero uno (il diritto di non leggere) e, per dirla tutta, mi ci fermerei pure io!
Non mi entusiasmano gli aggeggi tecnologici ma la didascalia dell'immagine a corredo dell'articolo di Reist sintetizza bene la questione: Who needs novels when the smartphone has brought all of cyberspace into the palm of one hand? Chi ha bisogno di romanzi quando lo smartphone ti dà tutto il cyperspazio nel palmo di una mano?

domenica 25 novembre 2012

E' ora di fare qualcosa

Nel 2011, in Italia, sono state 137 le donne uccise dal partner o ex-partner. Quest'anno abbiamo già superato quota 100 ma tale dato nasconde migliaia di donne che subiscono, all'interno della propria famiglia, sopraffazione e violenze fisiche e morali.
Riccardo Iacona, con la sua consueta bravura, ha raccolto alcune testimonianze su casi di donne uccise da mariti e compagni e le ha pubblicate "perché queste donne non siano un numero tra i tanti" nel libro "Se questi sono gli uomini". Intervistato a Fahrenheit Radio 3, il giornalista sottolinea quanto casi come quello di Vanessa Scialfa, uccisa dal fidanzato per molti minuti, siano impietosi e feroci ma anche conosciuti da tempo dai vicini, dai parenti e talvolta anche dai Carabinieri. Un'Italia arretrata che sembra quella degli anni Cinquanta. Ragazze giovani che si "consegnano" al loro fidanzato e pur di stare con lui litigano con tutti, rinunciano agli amici e spesso anche al lavoro (come aveva fatto Vanessa). 
"Non sono epiloghi di un amore sfortunato," dice Iacona, "sono storie impastate di odio". Non sono raptus, ma omicidi preparati. La follia statisticamente c'entra molto poco. Una criminologa intervistata da Iacona rivela che solo nel 6% dei fascicoli relativi a sentenze definitive che ha studiato è stata accertata la mancanza di facoltà di intendere e di volere.
Non è vero nemmeno che si tratti di un fenomeno tipicamente dell'Italia Meridionale, anzi, la maggioranza delle donne uccise sono al Centro Nord. Si tratta di donne indipendenti, che lavorano, eliminate spesso perché hanno avuto uno scatto di ribellione, lasciando o denunciando il loro uomo.
Spesso siamo davanti ad un'estrema reazione degli uomini che di fronte all'indipendenza della propria donna non sanno usare altra arma. Un uomo ex maltrattante, un professionista, intervistato nel libro, parla di un momento in cui "la luce si spenge" e non si ragiona più: "Usavo la violenza come l'unica cosa che mi era rimasta perché lei era più avanti di me, aveva la lingua più veloce della mia." La luce si spenge e dopo la prima martellata ne seguono tante altre.
Riccardo Iacona si ribella all'etichetta, troppo spesso applicata, di "liti in famiglia" ed afferma la necessità di rompere questo involucro ipocrita che consegna alla famiglia, proprio il luogo dove nascono queste situazioni, il compito di recuperare. "E' lo Stato che con la forza della legge deve entrare dentro queste case-prigioni e liberare le donne e i loro figli prima che vengano uccise." Da queste case-prigioni sbuca un'ondata di sofferenza che investe anche i figli e i parenti. 
C'è ancora molto da fare nel rapporto tra uomo e donna per trovare un equilibrio che non comporti la sopraffazione dell'uno sull'altro o che uno dei due debba rinunciare alla propria vita. 
Per questo per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne vorrei lasciare la parola agli uomini. Uomini che non si ritrovano nella cultura del possesso e del controllo. Uomini che dicono



mercoledì 21 novembre 2012

Un paio di riflessioni sulle primarie


Sulle primarie del centrosinistra se ne parla fino alla nausea. A me invece la politica mi piace "farla" non parlarne. Quindi solo un paio di spunti.

1) Se qualcuno fosse interessato al parere di una fiorentina sull'operato del Sindaco Matteo Renzi, gli direi che, pur non avendoci investito grandi aspettative, è riuscito a deludere anche quelle pallide che avevo. La vivibilità di Firenze mi sembra rimasta di livello più o meno quella di prima. I servizi funzionano discretamente come prima, anzi forse un po' peggio a causa dei tagli. Matteo Renzi è un bravissimo comunicatore, un tipo sveglio, pieno di energia ma dietro lo spot continuo, la frase ad effetto (e basta con questo usare il "noi" per intendere "io"!), la sostanza lascia piuttosto a desiderare. A Firenze ha realizzato le cose facili: allungare l'orario della biblioteca delle Oblate, mettere i semafori per far capire quando si può entrare in ZTL, introdurre la macchina che pulisce le strade senza spostare l'auto  e tante altre piccole cose utili, ma marginali. I problemi più grossi (traffico, inquinamento, trasporto pubblico, rifiuti, ecc.) non è riuscito a scalfirli (probabilmente a causa della situazione generale).
Oltre alle perplessità sulla preparazione, la competenza e l'affidabilità del candidato Renzi, e oltre al fatto che sono diverse le idee che non condivido (qualcuna sì), la cosa che non gli perdono è di abbandonare la città senza finire il mandato per lanciarsi alla conquista dell'Italia (dopo averci ripetuto fino alla nausea che "fare il sindaco di Firenze è la cosa più bella del mondo"). Come si fa a fidarsi?

2) Riguardo all'operazione primarie, sarò arcaica, ma non ne posso più di questa lettura personalistica della politica impostata tutta sulla scelta del leader che ci convince a comprare il suo prodotto e a cui consegnare tutte le nostre speranze, il pifferaio magico di cui parla il buon Robecchi. Mi sento un dinosauro ma a me piace l'idea di votare un partito, una squadra, un gruppo di persone che si ritrovano in un progetto di paese e che lavorano in pool ciascuno con le sue competenze e con le sue capacità. Non mi piace votare una persona, vorrei votare un programma o comunque delle idee. Ed invece, ahimè, mi rendo conto che l'americanizzazione e la spettacolarizzazione della politica ormai è irreversibile e mi ci devo rassegnare.

2) Premesso quanto sopra, al primo turno delle primarie del centrosinistra voterò Laura Puppato perché:

A) è un'ambientalista, ha esperienza istituzionale ma non è espressione dell'apparato, mi ispira fiducia la sua serietà;

B) mi sembra una persona equilibrata e concreta, che non cerca la rissa, gli effetti speciali o la visibilità a tutti i costi e che ha affermato per esempio in questa intervista: "Servono l'energia di Renzi, la competenza di Bersani. Ciascuno faccia quello che sa fare e dica quali sono i suoi obiettivi. Mettiamo insieme le forze, non una contro l'altra"

B) ne scrisse molto bene il buon Luciano Comida (quanto mi mancano i suoi suggerimenti!) e sono sicura che anche lui la voterebbe,

D) ma soprattutto perchè è una donna. Basta continuare a votare l'uomo peggiore aspettando la donna migliore. Cominciamo ad avere il coraggio e l'orgoglio di dire che siamo più brave. Lo so che non ha speranze, però se tutte le donne del centrosinistra la votassero, non ci sarebbe storia.

Se non ora, quando?

lunedì 19 novembre 2012

Festa della legalità

Ottima iniziativa quella dei PD metropolitano di Firenze e dei Giovani Democratici della mia provincia: tre giorni di dibattiti sulle mafie con personalità di grande rilievo.
Venerdì sera mi sarebbe piaciuto sentire di più Saverio Lodato, giornalista autore di una serie di libri che sono quasi un "dizionario" degli eventi legati alla criminalità organizzata e di cui l'ultimo si intitola "Quarant'anni di mafia". Il tavolo dei relatori era però troppo affollato e l'ora troppo tarda per poter approfondire i temi.
Meglio sabato mattina quando un vulcanico Francesco Forgione ha dipinto sotto i nostri occhi un quadro di legami affaristici e malavitosi che ha come centro essenziale la piana di Gioia Tauro e che si dirama tra Milano, Roma, Caracas e il resto del mondo.
Anche Tano Grasso, ospite del dibattito di domenica pomeriggio, ha ribadito che non ci può essere mafia senza aggancio con il territorio. Il presidente dell'antiracket ce l'ha un po' con la rappresentazione mediatica della "mafia invincibile e dell'antimafia eroica", con la deformazione da fiction che rende il contrasto alla mafia più debole e deresponsabilizza. Per Grasso invece, se davvero si vuole capire il fenomeno fino in fondo, bisogna concentrarsi di più sul gesto quotidiano dell'imprenditore che paga il pizzo, sulla forza della mafia nella vita di tutti i giorni, quella che non fa notizia ma che deprime la vita sociale ed economica italiana.
Il dibattito di domenica mattina è finito per concentrarsi invece sulla vicenda della trattativa Stato-mafia legata all'inchiesta della procura di Palermo. Devo dire che su questa vicenda ho le idee piuttosto confuse. Se emotivamente mi sento dalla parte di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione Vittime della Strage dei Georgofili, e di Salvatore Borsellino che stanno investendo grandi aspettative di chiarezza sulle indagini della Procura di Palermo relative alle oscure vicende degli anni dello stragismo, devo dire che mi ha messo dei grandi dubbi la posizione di Pino Arlacchi, sociologo amico di Chinnici, Falcone e Borsellino, collaboratore del ministro Mancino, il quale non crede assolutamente all'esistenza di una vera e propria trattativa (semmai si è trattato di pezzi delle istituzioni che possono aver seguito strade diverse dal contrasto diretto con la mafia). Spero proprio che si riesca a fare chiarezza ma più che altro spero vivamente che la procura di Palermo non abbia preso un granchio prestando così il fianco a chi non aspetta altro per delegittimare la magistratura.
L'incontro più emozionante è stato quello sulle donne e la mafia. Interessanti gli interventi dello storico Enzo Ciconte sulle donne apparentemente tenute del tutto fuori dalla 'ndrangheta ma essenziali portatrici dei valori mafiosi da trasmettere ai figli, della giovane magistrata Alessandra Cerreti, che ha raccolto le soffertissime testimonianze della collaboratrici di giustizia rese, con grandi sensi di colpa verso i propri familiari nella speranza di un futuro diverso di libertà per i propri figli, della brava senatrice Silvia Dalla Monica, ma sopratutto della sindaca di Rosarno, Elisabetta Tripodi, la quale ci ha raccontato la sua esperienza di donna sindaco in un paese in mano all'ndrangheta, delle intimidazioni ricevute e dei tentativi di delegittimazione continui per ostacolare il suo operato, dettato da normalissimo rispetto delle regole, ma inaudito in quel contesto. L'incontro finisce con la lettura, di una poesia della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce alla sua bambina Angela.

venerdì 16 novembre 2012

Lezioni sul bus

Ho impiegato un bel numero di viaggi in bus casa-ufficio-casa per ascoltare tutti gli interventi del Festival della mente, svoltosi a Sarzana nel settembre scorso. A dire il vero, non li ho ascoltati tutti per intero: alcuni mi sono risultati noiosi o troppo pesanti e li ho lasciati dopo qualche minuto. Molte però le lezioni davvero interessanti. Di quella di Marino Niola ho già parlato
Sempre coinvolgente lo storico Alessandro Barbero che quest'anno ha dedicato i suoi tre interventi a tre donne del Medioevo: Caterina da Siena, Chistine de Pizan e Giovanna d'Arco. Non certo tre donne ordinarie ma, come ha spiegato Barbero, non è facile trovare notizie scritte sulle donne comuni vissute in tale epoca.
Abbastanza difficile ma affascinante la lezione di Sergio Givone che ha parlato con taglio filosofico della differenza tra lo scenziato che scopre la realtà che già esiste e l'artista che invece crea qualcosa che prima non c'era.
Piacevole scoperta il linguista Andrea Moro che, in modo chiaro e piacevole, mi ha fatto riflettere sul linguaggio, sui suoi segreti, sui meccanismi cerebrali che lo determinano.
Mirabile al solito lo psicoterapeuta, specializzato in adolescenti, Gustavo Pietropolli Charmet, che ha incentrato la sua conferenza sulla necessità che la scuola offra ai ragazzi gli strumenti per formare il proprio sé sociale, per aiutarli a capire la propria vocazione, il proprio futuro. Dalla passione con cui parla il Pietropolli Charmet si capisce quanto egli sia dalla parte di questi "semilavorati educativi".
Un altro intervento che mi è piaciuto moltissimo è stato quello del bravo e coinvolgente Telmo Pievani il quale ha tentato un'affascinante ipotesi per spiegare come mai noi homo sapiens, presenti sulla terra da 200 mila anni, abbiamo avuto una "nascita culturale" (sepolture, pitture rupestri, strumenti musicali, ornamenti) solo 30 mila anni fa. Che sarà successo di particolare allora?
Infine, bello ed emozionante il monologo "Muri. Prima e dopo Basaglia", nel quale l'attrice Giulia Lazzarini presta la voce ad una infermiera che racconta il suo lavoro di tanti anni con i malati psichiatrici, le loro terribili condizioni nel manicomio e poi il cambiamento dopo il passaggio di Basaglia.
Fantastico rendere i viaggi in bus così arricchenti!
Ops, ma quelli del 2011 li devo ancora sentire! Evvai!!!

martedì 13 novembre 2012

Piccoli gesti di decrescita

Quanti bei post scrivevo quando ero un'ambientalista "fogata" (come dicono gli adolescenti di oggi)! Quanti predicozzi sulle buone pratiche quotidiane, sul risparmio di acqua, di energia, di CO2!
Gli anni passano e sono sempre convinta che è nostro dovere anche di singoli individui rendere il nostro passaggio sulla Terra più lieve possibile dal punto di vista ambientale. Tuttavia, quello mio odierno, è un ambientalismo "più maturo": mantengo, e cerco di ampliare, le mie personali buone pratiche, dalla diminuzione dei rifiuti, al loro riciclo, all'uso dei mezzi pubblici, alla sobrietà negli acquisti, ma sono molto meno fiduciosa in cambiamento di massa nelle abitudini dei paesi occidentali.
Il mio percorso verso un'impronta ecologica sempre più piccola prosegue comunque. Per esempio, dopo il gelo dello scorso inverno e dopo aver visto tante trasmissioni che decantavano gli accorgimenti per aumentare l'efficienza energetica degli edifici, ci siamo chiesti come poter migliorare la coibentazione della nostra casa senza imbarcarci però in interventi pesanti. Ho chiesto anche consulenza all'Ufficio Casa del mio comune dalla quale comunque è emerso un consumo di gas ed elettricità già piuttosto basso. La nostra infatti è una casa che ha almeno un secolo, con i muri belli spessi, ed inoltre teniamo il termostato sui 18/18,5 gradi. L'attenzione quindi è caduta sugli infissi che sono probabilmente una delle principali cause di dispersione del calore d'inverno e del fresco d'estate. Siamo stati a lungo tentati di sostituirli con dei nuovi, usufruendo così degli incentivi. Alla fine però abbiamo optato per un intervento sulle vecchie finestre, meno efficienti ma di legno buono e sicuramente di maggior fascino, ad opera di un anziano falegname, un artigiano tradizionale, il quale ci ha applicato i doppi vetri e migliorato la loro chiusura con una guarnizione di silicone. La scorsa estate abbiamo visto un discreto miglioramento ed ora siamo in attesa di vedere cosa succederà il prossimo inverno.
I nostri passi verso la decrescita non finiscono qui. Da un po' di tempo mio marito si sta cimentando nel pane fatto in casa con risultati di tutto rispetto ed infine ci siamo recentemente comprati una yogurtiera evitando così lo scarto di bicchieri di plastica. 

domenica 11 novembre 2012

La stupidità dei calciatori e dei tifosi



15 maggio 2011, ultima giornata del campionato di serie A. Nel derby Bari-Lecce, Andrea Masiello segna un autogoal che sancisce la vittoria al Lecce, salvandolo dalla retrocessione. Sembra non volersi rialzare da terra da quanto è scioccato ed amareggiato. “Lui che ha dato tanto, non voleva [sic] che finisse così male” afferma ingenuo il cronista. Ma i giornalisti Giuliano Foschini e Marco Mensurati, ospiti di questa puntata de Le storie  Diario Italiano e autori del libro “Lo zingaro e lo scarafaggio”, ci spiegano che il calciatore era stato pagato 200.000 Euro dall'altra squadra per tuffarsi il quel preciso momento e spingere la palla in porta. Masiello, che pure è un calciatore di indiscutibile talento e che aveva firmato per l'anno successivo un contratto da un miliardo l'anno, ha confessato agli inquirenti che accasciato a terra non era affatto abbattuto ma stava ridendo per l'incredibile facilità con la quale era riuscito a portare a termine l'operazione.
Intorno ai vent'anni ero una tifosa appassionata, frequentavo la curva Fiesole e sono andata anche a qualche trasferta della Fiorentina. Mi sono divertita tantissimo e capisco quindi perfettamente i miei figli che non si perdono una partita della Viola. Per quanto mi riguarda, il calcio professionistico ha chiuso con la tragedia dell'Heysel. Rimasi disgustata del fatto che la partita si disputò ugualmente nonostante i morti. Ma quella fu solo la goccia che fece traboccare il vaso e che sancì la mia presa di coscienza di quanto il calcio professionistico fosse solo un grande spettacolo mediatico che muoveva tanti (troppi) soldi. La quinta azienda italiana, secondo il giornalista Foschini.
L'inchiesta lunga un anno di Foschini e Mensurati, raccontata in modo romanzesco ma del tutto veritiero nel libro, porta alla luce scenari ancora più inquietanti, se mai ce ne fosse bisogno.
I due giornalisti raccontano il loro incontro a Skopje con Hristiyan Ilievski, bandito macedone latitante, un essere che definito su tutti i verbali “brutto e terrificante”, “capace nel giro di 23 secondi di far fare a un milione di Euro due volte il giro del mondo sull'asse Ascoli-Singapore, andata e ritorno. Un giro geniale, che investiva i soldi degli altri sul bene più trascurato dai mercati internazionali: la stupidità dei calciatori e dei tifosi.”
Nel libro infatti si legge che il criminale “aveva capito che i calciatori sono una massa di bambini avidi e viziati, gente convinta che il proprio tenore di vita sia un diritto, qualcosa di scontato, e non una variabile che dipende, come qualsiasi altra catergoria, da cose come il tempo che passa, il talento, la fortuna. Uomini diseducati alle sofferenza fin da ragazzini.” 
L'immaturità dei "moderni gladiatori” (salvo le dovute eccezioni che ci sono sempre in tutte le categorie) non mi meraviglia. D'altra parte, nella maggior parte dei casi, sono ragazzi che si sono trovati con troppi soldi per le mani da giovanissimi e che si lasciano corrompere così facilmente, pur essendo ricchi, perché devono mantenere sempre un tenore di vita connesso con le aspettative del ruolo.
Il fatto inquietante è che figuri come Ilievski fanno soldi grazie ai tifosi che hanno una sorta di rimozione. Questi criminali guadagnano di più scommettendo su una partita di calcio come Albino Leffe - Piacenza (12 milioni di Euro nel giro di tre minuti, spostandoli su conti correnti di Singapore) che con una partita di droga, rischiando così molto di meno (al massimo un anno e sei mesi di carcere). Questo alibi è dato dai tifosi che fanno finta di non vedere. Anche la mafia italiana utilizza le scommesse calcistiche per riciclare capitali illeciti. Infatti se lo Stato si presenta a sequestrare i beni di un mafioso, egli, mostrando la ricevuta di una scommessa, può evitare il sequestro. 
Io capisco la passione. Il gioco del calcio è bellissimo ed emozionante, ma una volta apprese queste cose, non potrei continuare a far finta di nulla. Se proprio non si riesce a farne senza, perchè allora non seguire i provinciali degli esordienti? Almeno finché non inquineranno anche quelle.

giovedì 8 novembre 2012

Homo edens

Non tutto quello che ho sentito dall'antropologo Marino Niola, autore del libro "Non tutto fa brodo", mi ha convinto. Trovo che spesso e volentieri "ricami" su un po'. Tuttavia è sicuramente densa di stimoli sia la sua intervista a Fahrenheit sia, soprattutto, la sua lezione al Festival della mente "Fra bio e dio. Il cibo tra conoscenza, resistenza e penitenza" ed invito chi è interessato al significato culturale e antropologico del cibo e della gastronomia ad ascoltarle entrambi.
Il cibo non solo come nutrizione o come scienza esatta ma anche come cultura, come "cattedrale del gusto", curiosità, estetica, fantasia. Il cibo come "vero carburante della storia" per ragioni naturali e culturali, "si mangia per vivere ma anche si vive per mangiare" (su questo ultimo punto non mi ci rivedo tanto).
I tabu legati al cibo hanno tutti una ragione culturale e storica. Noi pensiamo che il gusto sia una cosa soggettiva ed invece sono categorie mediate culturalmente. Per esempio, da noi non si mangia il cane ma altrove lo fanno senza problemi. Noi mangiamo il cavallo mentre nei paesi anglosassoni è inconcepibile.
L'antropologo culturale guarda con favore le commistioni con culture diverse. Le forme di protezionismo dimostrano cecità e ottusità di fronte a quello che succede. La cucina è meticcia da sempre. Se ci pensiamo, gli ingredienti base delle nostre gastronomie vengono da lontano (pomodoro, peperoncino, patate, mais, ecc.).
Niola recrimina invece il fatto che quasi il 25% del cibo venga buttato, mentre nella cucina povera tradizionale vi erano diversi eccellenti piatti di riciclo degli avanzi.

Interessante apprendere che la tendenza alla cucina vegetariana, oggi auspicata soprattutto per motivi ambientali, ha in realtà origini molto antiche. Il prof. Niola a Sarzana ha citato infatti le raccomandazioni di Socrate tratte dal secondo libro de La Repubblica di Platone (tra il 390 e il 360 a.C.): "In futuro gli uomini si nutriranno di fiocchi d'orzo, di farina di grano, di focacce genuine e pane posato su canne e su foglie ben pulite." Il dialogo su quale sia la migliore alimentazione di una città ideale da fondare si svolge tra Socrate, che auspica un regime di  "abbondanza frugale", e Glaucone che insiste sull'importanza della carne e delle comodità, e richiama incredibilmente un dibattito attuale. Per fortuna Socrate aggiungerebbe anche "sale, olive, formaggio e bulbi come si usa fare in campagna, pasticci di dolci, fichi e fave, bacche di mirto e di ghiande arrostite sotto la cenere, moderato vino. In questo modo ciascuno vivrà di più e potrà trasmettere ai propri discendenti un analogo modo di vivere." E, antesignano della decrescita, accusa Glaucone: "Tu non stai cercando l'origine di una semplice città di sussistenza bensì di una città del lusso." 
Pitagora metteva  matematicamente d'accordo la salute del corpo con la salvezza dell'anima (evitando cioè lo spargimento di sangue) ed aveva una tabella dietetica ineccepibile persino per un vegano di oggi: "pane e miele al mattino, verdura fresca la sera, molti cereali, legumi e fibre".  Mangiare carne, secondo Pitagora, rende feroci e spietati. Non per nulla la dieta vegetariana era chiamata "regime pitagorico".

Ogni cucina, afferma Marino Niola, è lo specchio della società a cui appartiene. La storia delle cucine mediterranee è inseparabile dalla storia dei tre grandi monoteismi. Musulmani ed ebrei, per esempio, sono accumunati dall'avversione per la carne di maiale e per la carne al sangue. Il Levitico è denso di divieti. I Cristiani hanno invece un atteggiamento onnivoro ma temperato. San Paolo disse: "nessuno vi separi in base a ciò che mangiate e ciò che bevete." E' infatti la moderazione il vero precetto del Cristianesimo a tavola ed è un atteggiamento che permane anche nella nostra società secolare di oggi che raccomanda di mangiare di tutto ma poco. L'ascetismo di San Paolo riaffiora nella nostra ricerca spasmodica del mangiar sano, della leggerezza che redime (qui mi ci rivedo). La nostra società tanto appesantita dall'abbondanza ha trasformato l'astinenza in un'etica e la magrezza in un segno di superiorità. Il paradosso è che viviamo in un mondo diviso tra poveri, che cercano disperatamente di mangiare, e ricchi, che cercano disperatamente di non mangiare. 

Secondo l'antropologo oggi chiediamo al cibo ciò che non gli apparterrebbe: non solo la salute del corpo ma anche la salvezza dell'anima. E' singolare aprpendere che negli USA il 30% del mercato alimentare è occupato da cibi kosher mentre gli ebrei sono meno del 2% della popolazione. E' come se ad un'esigenza di genuinità si associasse l'idea di purezza. In un mondo come il nostro, preda di mille insicurezze e paure, contaminazione ambientale, OGM, pesticidi, diossina, grassi idrogenati, sostanze cancerogene, non sapendo "a che santo votarsi" ci buttiamo sulla "vacca sacra come antidoto alla mucca pazza". "Se non è bio che ci pensi Dio", afferma provocatoriamente Niola. 
Un'altra caratteristica ci porta a preferire cibi SENZA: senza grassi, senza zucchero, senza calorie, senza latte, senza glutine, ecc. Siamo ossessionati da un ideale di purezza e di leggerezza è tutto un levare. Non si trratta tanto di sacrosanta educazione alimentare, quanto di un misto di ascetismo e di disciplina, di astinenza e di continenza, di etica e dietetica. 
L'obesità è solo l'altra faccia della medaglia. I grandi obesi, presenti in particolar modo nella provincia americana, sono prima presi per la gola dal junk food e poi condannati come onnivori compulsivi, come parassiti, soggetti senza volontà, insostenibili per il sistema sanitario. In una società dell'efficienza e della velocità e della leggerezza non c'è posto per le taglie forti.
La criminalizzazione della pinguedine è antica ma la differenza la fanno i pesi e le misure che cambiano nelle epoche. Nell'europa medievale il grasso era segno di ricchezza e di prestigio e talvolta di bellezza. Con la rivoluzione industriale il sovrappeso smette di essere un marchio morale e razziale e diventa un segno individuale di quella persona. Nasce l'idea che il peso esteriore abbia un contrappeso interiore. Incredibile apprendere che fino ai primi del Novecento nessuno si pesasse.

A dir la verità, personalmente, non ho un palato molto raffinato né una grande passione per la gastronomia. Sono d'accordo con la mia amica blogger Alchemilla quando scrive che "diamo troppa importanza al cibo". Per quanto mi riguarda, prediligo la semplicità e la genuinità del cibo anche a discapito del gusto. Mi interessa molto di più il "cibo della mente" e difatti ho trovato discretamente "appetitosa" la lezione di Marino Niola.

martedì 6 novembre 2012

Il Colombo pensiero sulla corruzione

L'ex magistrato Gherardo Colombo, intervistato al Festival di Mantova da Marino Sinibaldi, su cosa sia rimasto dell'esperienza di Mani Pulite visto che ci troviamo di fronte agli stessi (se non peggiori) problemi spiega:
"E' un problema culturale. Nella cultura degli Italiani la corruzione c'è. La vicenda di Mani Pulite è finita perché gli Italiani l'hanno voluta far finire. Finché le prove ci portavano a coinvolgere persone che stavano troppo in alto perché ci si potesse identificare, tutti esultavano.
Poi quando le indagini hanno cominciato a portare verso il vigile urbano che fa la spesa gratis in cambio di non controllare la bilancia o il finanziere che non controlla il garagista o l'ispettore del lavoro che chiude un occhio sui dispositivi di sicurezza del cantiere o cose simili, allora cominciarono a sparire i documenti e le corde vocali divennero aride."

Cosa fare allora?

"Il campo è quello dell'educazione ma è molto complicato. Siamo abituati a procedere attraverso un modello che non consente e che addirittura ostacola l'effettività della nostra Costituzione.
Siamo abituati, perché così siamo stati educati, all'obbedienza attraverso la promessa di un premio o la minaccia di un castigo. Con questi strumenti si educa all'obbedienza, non alla libertà e conseguentemente alla responsabiltà. Chi obbedisce non capisce il perché di quello che fa perché gli viene imposto e non può sviluppare una propria autonomia, non può maturare una capacità di discernere. Alla fine continuamo ad osservare le regole vecchie, quelle che esistevano prima della Costituzione ed organizzavano, anche legislativamente, la società attraverso la discriminazione, attraverso un sistema di sopraffazione reciproca ove il più debole stava in basso e il più forte stava in alto.
Nonostante la Costituzione abbia rovesciato questa struttura, il nostro modo di intendere la relazione continua ad essere quello di una società piramidale, ove chi sta al vertice "può" e chi sta in basso "deve"."

Mi pare che non ci sia altro da aggiungere.

domenica 4 novembre 2012

Analfabeti nascosti

Che bella testa ha Tullio De Mauro! Quest'estate sono andata a sentirlo alla festa del PD e sono rimasta colpita dalla sua lucidità, nonostante gli anni, dalla sua cultura ed anche dal suo senso dell'umorismo. Il professore non si è mai stancato di ripetere l'importanza dell'istruzione ed anche la necessità di continuarla per tutta la vita.
Intervistato nuovamente a Fahrenheit Radio 3, De Mauro ribadisce quanto poderose ricerche dimostrino che "più alto è il livello di istruzione di una popolazione, migliori sono le capacità produttive e, di conseguenza, il reddito." Ed aggiunge: "nei paesi ricchi del mondo (e l'Italia lo è), usciti di scuola, lo stile di vita porta a dimenticare quello che si è imparato in modo anche molto grave." Indagini denunciano da tempo il fenomeno della dealfabetizzazione o analfabetismo funzionale. Non bastano le capacità di leggere, scrivere e far di conto che la scuola ci aveva insegnato a suo tempo e questi "analfabeti di ritorno" non sono censiti dall'ISTAT il quale registra solo chi si dichiara espressamente analfabeta.
Accurate indagini sociologiche ci dicono che in Italia c'è una dealfabetizzazione che coinvolge più del 40% della popolazione ed in modo grave. Ma dove sono queste persone incapaci di leggere e di scrivere? Apparentemente non le notiamo anche perché di solito l'analfabeta di ritorno sviluppa delle capacità incredibili per mascherare la sua condizione che sente come un deficit.
D'altra parte certe capacità mentali vanno esercitate continuamente, esattamente come quelle muscolari, e se gli Italiani presentano deprimenti indici di lettura, un qualche campanello d'allarme dovrebbe suonare. Secondo l'ISTAT infatti solo il 51,6% delle femmine e il 38,5% dei maschi legge almeno un libro all'anno (media che sale al Centro Nord ma scende al Sud). I "lettori forti", cioè chi ha letto dodici o più libri in un anno, sono solo il 13,8% del totale.
E' vero che lo stile di vita che conduciamo non invoglia: siamo sempre di corsa, la sera siamo stanchi e leggere è faticoso, richiede tempo e concentrazione. E' molto più facile spaparanzarsi sul divano e accendere la TV, possibilmente con un programma di intrattenimento che richieda poco impegno. Inoltre, a meno che non lo si debba fare per lavoro, ormai non serve più scrivere, nel senso di mettere insieme un discorso logico, coerente e corretto sintatticamente. Si va avanti a SMS, chat, al massimo email dove la cura ortografica va a farsi friggere. Probabilmente ho delle fissazioni da maestrina, ma che fitte al cuore quell'uso casuale degli accenti sui monosillabi e quanti ormai scrivono "pò" con l'accento invece che con l'apostrofo!
A proposito di mascheramento delle proprie difficoltà di espressione scritta (non proprio di analfabetismo in questo caso) mi è venuto in mente un mio collega, un giovane e valente impiegato amministrativo, un ragazzo di provincia ma informato, il quale da sempre fa delle fortissime resistenze ad esporre i malfunzionamenti del nostro sistema informatico di contabilità sul sito dell'assistenza. Vuole a tutti i costi esporli per telefono quando la nostra dirigenza ha previsto invece l'apertura di segnalazioni scritte su questo sito proprio perchè venga lasciata una traccia del lavoro che essa fa (si tratta di una ditta esterna). Ho sempre interpretato queste sue resistenze come sintomo del suo temperamento estroverso ed esuberante, alieno alla fredda comunicazione scritta, quando un giorno (di malavoglia) ha scritto un email di protesta al capoprogetto. Pur non essendoci errori ortografici (a parte il solito "pò"), era esattamente la trascrizione di una veemente protesta verbale, con espressioni colloquiali, manciate di punti esclamativi e di sospensione e con scarsa chiarezza espositiva del problema in questione. Il mio collega non è certo un analfabeta di ritorno però, facendo le dovute proporzioni, non oso pensare come possa ridursi una persona che per lavoro non ha mai  occasione di leggere o scrivere un testo.
D'altra parte che dire di me che non so più fare un banale calcolo a mente?

venerdì 2 novembre 2012

Siamo in mano alle macchine

Se c'è una cosa che mi fa perdere un sacco di tempo in ufficio sono i pagamenti verso l'estero anche perché la nostra banca ha una struttura talmente complicata, farraginosa e parcellizzata che ormai tutto è automatico e se qualcosa si inceppa non si riesce a capire il motivo e tanto meno come rimediare (temo comunque che sia così in tutte le grandi banche ormai). Sono arrivata al punto che considero già una gran fortuna se mi arriva un qualche avviso dei bonifici esteri che per qualche motivo non sono andati a buon fine (invece di doverlo scoprire da me rovistando sul portale della banca).
Come l'altro giorno quando la signora che ho di riferimento a Roma (una signora gentilissima ma veramente poco preparata professionalmente), per avvertirmi che un bonifico SEPA (cioè in area europea) era stato scartato, mi manda una schermata dove c'è scritto solo testuale: "BANCA NON RAGGIUNGILE" (N.B. i bonifici esteri li eseguono in Romania).
Che vuol dire "banca non raggiungibile"? E' sbagliato l'IBAN? Il numero di conto? Non è una banca in grado di ricevere bonifici in Euro? L'operatore ha trovato occupato e si è scocciato di riprovare? La banca ha staccato il telefono? Insomma che devo dire al beneficiario che mi ha fornito i dati? Dovrò spiegargli cos'è che non va, no?
La signora candidamente mi dice che il messaggio le è arrivato pari pari da un altro impiegato (un nome mai sentito) il quale nemmeno lui era in grado di spiegare il motivo dello scarto. Alla fine mi suggerisce di riproporre il bonifico tale e quale confessando che, per altre strutture del nostro ente, facendo così la seconda volta è andata bene. Tralascio la spiegazione tecnicistica e farneticante ("il collega ha fatto una MOC, allora io le ho fatto una CARA, si può provare a fare con il codice 69 invece che con il codice 73" ecc.).  Tradotto: si procede a tentativi!
Non mi sento di trattare male questa impiegata che è vittima quanto me di un sistema perverso e allora la butto sullo scherzo: "Eh, signora mia, siamo in mano alle macchine. Ormai fanno tutto loro e noi abbiamo completamente perso il controllo della situazione!"
"Non me ne parli, signora mia!" mi fa lei, "Non me ne parli!"
Ci lasciamo così, autocommiserandoci. Peccato che sarebbe lei, come rappresentante suo malgrado della banca, a dover fornire a noi, quali clienti, un servizio degno di questo nome. Sbaglio?