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martedì 31 dicembre 2013

Da "senza tetto" a "senza dimora"

Le persone si dovrebbero definire per ciò che sono, non per ciò che non hanno. Chiamare quindi "senza tetto" o "senza dimora" è già sbagliato di per sé.
Girolamo Grammatico cominciò facendo il servizio civile in un istituto di accoglienza notturna. Da questa esperienza decise di fare volontariato in questo campo ed oggi è  presidente dell'associazione di promozione sociale "La casa di cartone."  
Intervistato a Fahrenheit Radio 3, Girolamo Grammatico spiega che molte persone comuni corrono il rischio di diventare "senza tetto", cioè di perdere la casa: basta avere un mutuo da pagare, perdere il lavoro e non ritrovarlo entro sei mesi. La dimora non è solo la casa ma anche il sistema di relazioni sul quale molti di noi possono contare. 
Col tempo tuttavia può capitare che si perda anche questo punto di riferimento e da "senza tetto" si diventi "senza dimora".
I "senza dimora" sono circa il 2 per mille della popolazione italiana, circa 50.000 persone, ma nelle grandi città il fenomeno arriva a interessare l'1% degli abitanti. Girolamo Grammatico invita a non focalizzarsi tanto su quella minoranza visibile nelle stazioni in quanto la maggior parte di queste persone sono in realtà invisibili, hanno un aspetto dignitoso e nascondono la loro condizione perché se ne vergognano. Spesso si tratta di cinquantenni, troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per cercare lavoro. Il mito del barbone è fuorviante: si tratta di persone normali (talvolta anche laureati o ex imprenditori) che si sono impoverite.
Il primo problema di chi perde la casa è quello di non avere la residenza perdendo così un'identità sociale, il diritto di votare e di avere dei servizi. Si diventa quindi un oggetto, un corpo che si trasforma in "casa" in quanto ci si porta addosso tutto quello che si ha. Il "senza dimora" è colui che, essendo in strada da tanto tempo, non ha nessuno: la sua solitudine è amplificata all'ennesima potenza.
La mancanza di igiene favorisce particolarmente le malattie dermatologiche come sperimenta l'Istituto San Gallicano di Roma il quale ha constatato che dopo sei mesi le probabilità di rientrare nel tessuto sociale sono bassissime. Bisogna quindi intervenire strutturalmente prima che accada il peggio.
In questi anni Girolamo Grammatico ha visto la spettacolarizzazione del problema (tipico fare audience con la morte dei barboni per il freddo), ma non ha visto grandi cambiamenti.  "Si può discutere delle definzioni linguistiche quanto si vuole," dice "ma quello che serve sono casa e lavoro". 
Mentre in tutto il mondo si sta sperimentando il progetto housing first, In Italia si ignora tranquillamente il problema visto che riguarda persone per lo più invisibili. Eppure abbiamo 13 milioni di edifici di cui 11 ad uso abitativo, 9 appartamenti per ogni nuovo nato, tanti appartamenti sfitti da  riempire l'intera Svizzera, mentre le persone che avrebbero bisogno sono molte di meno.
Non è per buonismo, ma perché un giorno potrebbe capitare anche a noi.
Buon 2014!

venerdì 23 agosto 2013

La Pira e il diritto alla casa

Non è necessario essere marxisti per sentire l'esigenza di giustiza sociale. Giorgio La Pira era democristiano ma aveva a cuore la sorte dei suoi cittadini più poveri. Era siciliano ma fu sindaco di Firenze tra il 1951 e il 1957. Durante i suoi mandati appoggiò fortemente gli operai che occupavano la fabbrica Pignone a rischio chiusura e soprattutto fece scelte coraggiose per fronteggiare l'emergenza casa, preoccupato per il continuo aumento degli sfratti.
Oltre a deliberare la costruzione di edilizia pubblica (le cosiddette ‘case minime’), La Pira chiese ad alcuni proprietari immobiliari di affittare temporaneamente al Comune una serie di appartamenti vuoti. Dopo aver ricevuto da parte loro solo rifiuti, ordinò la requisizione degli immobili appellandosi ad una legge del 1865, che dava facoltà ai sindaci di requisire qualsiasi proprietà privata "in situazioni di emergenza o per motivi di ordine pubblico".
Da allora sono passati sessant'anni e letta oggi, tempo in cui la proprietà privata sembra una dogma intoccabile (tranne quando sulle case dei poveracci ci deve passare una grande opera) l'ordinanza del Sindaco La Pira commuove:
Considerato che gravissima è la carenza degli alloggi nel Comune di Firenze essendo pendenti richieste per alloggio in numero di 1147 da parte di sfrattati e sfrattandi, che attraverso informazioni prese attraverso normali organi di informazione risultano essere assolutamente nell’impossibilità di procurarsi un quartiere od altra sistemazione per non avere i mezzi per pagare un fitto corrente al mercato libero anche di una sola camera; considerato che sono state svolte ricerche onde accertare se esistono luoghi di abitazione disponibili da affittare senza alcun esito positivo e che ogni possibilità di sistemazione di sfrattati in luoghi di proprietà pubblica è stata esaurita; considerato che la gravità della situazione è tale che si sono verificati episodi di sfrattati che hanno portato i loro mobili nella sede comunale tanto che il fatto ha avuto eco anche in un giornale cittadino, con conseguenza evidente di far sorgere una sempre maggiore tensione nello stato d’animo non solo degli sfrattandi, ma anche dei privati cittadini verso questa pubblica amministrazione ritenuta incapace di soddisfare anche precariamente ad un diritto fondamentale del cittadino quale quello ad una abitazione; considerato quindi che possono temersi fatti di intolleranza e di ribellione, ritenuti giustificati dal fatto che innegabilmente la Costituzione dello Stato garantisce il diritto fondamentale del cittadino all’assistenza ed alla sicurezza individuale e familiare; ritenuto che il problema di un alloggio ai senza tetto riveste gli aspetti di una grave necessità pubblica, il Sindaco ordina la requisizione immediata dello stabile sito in...”

In verità anche allora l'iniziativa del Sindaco scatenò polemiche violentissime alle quali egli rispose con un appassionato intervento in consiglio comunale il 24 settembre 1954:
Ma, signori, io dico a voi, chiunque voi siate: se voi foste sfrattati? Se l’ufficiale giudiziario buttasse sulla strada voi, la vostra sposa, i vostri figli, i vostri mobili, voi che fareste? Se il vostro reddito, fosse, per esempio, di 30mila, 40mila, 50mila lire al mese, come fareste a procurarvi una casa dove si paga 20mila o 30mila lire al mese di pigione?
Ditemi voi, come fareste? Sapete quale è il numero degli sfratti coi quali abbiamo avuto da fare in questi tre anni? Se vi dico tremila non vi dico un numero eccessivo! Ebbene, io vi prego, signori consiglieri, potreste restare indifferenti davanti a questa marea che diventa disperante per chi ne è investito?
In una comunità cittadina non bestiale ma umana è possibile lasciare senza soluzione un problema così drammatico per la sua improrogabilità ed urgenza?
È possibile che un Sindaco, di qualunque parte sia, se ne resti indifferente davanti a tanta cruda sofferenza?
Ripeto, se capitasse a voi di essere sfrattati e nelle condizioni di non potere pagare 20mila lire di pigione avendo un reddito di 40 o 50mila lire mensili, che fareste?
Eppure è stata proprio questa una delle cause che più vi hanno irritato, signori consiglieri: ho requisito le case! Che grave colpa!
Ma che dovevo fare? Ho dato una mano di speranza -del resto sulla base di una legge!- a tante famiglie povere e disperate! […] ebbene, signori consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia!
Ma non avete il diritto di dirmi: signor sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.).
Case vecchie, ville vecchie: provvedimenti di emergenza, come si fa quando il fiume straripa e l’alluvione costringe le autorità a prendere i provvedimenti del caso!”.

La Pira rispose agli attacchi anche in una lettera aperta ad Ettore Bernabei, direttore del Giornale del Mattino:Devo lasciarmi impaurire da queste denunce penali che non hanno nessun fondamento giuridico -e tanto meno morale- o devo continuare, e anzi con energia maggiore, a difender come posso la povera gente senza casa e senza lavoro? […] un sindaco che per paura dei ricchi e dei potenti abbandona i poveri -sfrattati, licenziati, disoccupati e così via- è come un pastore che, per paura del lupo, abbandona il suo gregge'.

Altro che Renzi!

Ringrazio Altreconomia per lo spunto e la  Fondazione La Pira per i testi citati.

mercoledì 22 maggio 2013

Una casa dignitosa per tutte e tutti

Lunga vita a Controradio di Firenze (di cui sono socia da alcuni anni insieme a tutte le radio che fanno informazione non mainstream.  Recentemente ho ascoltao una diretta in occasione dell'esecuzione di uno sfratto ai danni di una pensionata. 
Mentre l'attenzione dei media è concentrata sul falso problema dell'IMU, nessuno parla di chi la casa non ce l'ha, di chi non ce la fa a pagare l'affitto e rischia di finire per strada. E' chiaro, in un paese dove l'80% delle persone possiede la casa dove abita, si tende a pensare che gli sfrattati siano persone sfigate, ai margini della società, degni di finire sotto i ponti o in un centro di accoglienza. A parte il fatto che la Repubblica Italiana dovrebbe aiutare i ceti più bassi, che sono quelli che hanno meno strumenti di tutela e quindi più bisogno (tanto per dire ancora una cosa di sinistra), è allarmante sentire da Lorenzo Bargellini, del Momento di lotta per la casa, di quanto sia frequente, quasi quotidiana, la scena a cui assistiamo (circa sette esecuzioni di sfratto al giorno, 130 nel mese di maggio) e del sempre maggior numero di persone impossibilitate a pagare l'affitto per aver perso il lavoro.
Di solito mi viene da pensare anche a chi sta "dall'altra parte", cioè provo ad immaginare il proprietario che magari ha bisogno di quella casa, comprata con i propri risparmi, per sistemarci il figlio o la figlia. Ma non è sempre così, anzi. La storia della signora italo-francese in questione (in Italia dal 1971) fa montare di rabbia. La pensionata, 66 anni, sola con quattro gatti, infatti  ha pagato per una casa di 45 mq un affitto a nero di 500 Euro dal 1982 finché, un anno e mezzo fa, ha chiesto al proprietario di riparare gli impianti elettrici e idrici che sono fatiscenti (8000 euro di luce e 2000 di acqua, mura bagnate, ecc.) ma egli si è rifiutato e le ha mandato lo sfratto.
Per fortuna l'episodio finisce bene: l'ufficiale giudiziario concede altri due mesi di proroga e pare di capire che ci siano buone possibilità di ottenere un alloggio popolare. Così l'anziana ma energica signora, probabilmente per lo sciogliersi della tensione, scoppia in lacrime ed esclama: "Sarebbe bene che non pensassi più a me, che vivo sola con due gatti, ma a tutta la gente che ho qui intorno [altri sfrattati che vengono regolarmente per solidarietà a tutte le esecuzioni] e che hanno delle situazioni molto più penose della mia, hanno bambini. Non è giusto! E' una situazione che mi era del tutto ignota. Non immaginavo che ci fosse tutta questa gente a spasso."
Ribadisco quanto scritto in un precedente post: un tetto dignitoso per tutti e per tutte. Altro che IMU!
Tanto per dire un'altra cosa di sinistra.

martedì 12 ottobre 2010

Un tetto per tutti

Ascoltando l'intervista che Claudio Fantoni, Assessore alla Casa del Comune di Firenze, ha rilasciato a Controradio, sono giunta alla conclusione che il diritto alla casa sia, insieme al diritto al lavoro, un tema sul quale veramente dovremmo fare la rivoluzione. Devo dire che riguardo al lavoro ci sono aspetti che non mi fanno essere "egalitaria" fino in fondo. Per esempio temo l'appiattimento e credo nel merito, cioè, fermo restando la necessità di trovare un meccanismo equo per determinarlo, credo che la società dovrebbe premiare i più bravi soprattutto se sono anche quelli che si impegnano di più. Riguardo alla casa invece mi sento proprio comunista e penso che non andrebbe lasciata, se non in piccola parte, al libero mercato.
Ha ragione Domenico Guarino, il giornalista che ha condotto l'intervista, quando afferma che "oggi la casa è diventata un moloch intorno al quale si costruisce la fortuna o la disgrazia di un'esistenza (mutuo trentennale o casa di proprietà, possibilità di pagare un affitto o sfratto sulla testa)".
L'intervista offre spunti interessanti. Perché le cosiddette "case popolari" devono essere per forza brutte? Chi l'ha detto che lo spazio da offrire a chi ha bisogno debba essere un casermone buttato in una periferia cittadina? Perché non fare un intervento come quello che il Comune di Firenze ha fatto nel complesso dell'ex carcere delle Murate?
Fantoni però è molto chiaro: le case popolari non si fanno con i soldi del Comune, né a Firenze, né altrove. Se il governo non destina i fondi all'edilizia sociale il problema non si risolve. Basta pensare che l'Italia ha una media di affitti sociali del 4% contro paesi come l'Olanda che destinano a questo scopo il 34% del patrimonio complessivo.
Nell'intervista si affrontano anche temi delicati come il doppio fenomeno della morosità: accanto ai "professionisti della morosità" ("veri farabutti", li chiama Fantoni), cioè chi si installa in una casa di piccoli proprietari e dopo un paio di mesi non paga più, dall'altra parte ci sono persone che fanno il massimo sforzo possibile per pagare l'affitto ma finiscono in morosità perché non ce la fanno, perché i canoni sono troppo alti e il loro reddito troppo basso.
Ribadisco che questo tema smuove la comunista sopita che c'è in me. Hai soldi? Benissimo, ti compri una bella villa, un castello, dei magnifici appartamenti per i tuoi figli e stop. Non dovrebbe essere permesso di speculare sopra le case o di affittarle a nero stipandoci studenti o di tenerle sfitte.
A ciascuno dovrebbe essere garantito un tetto sulla testa.