martedì 29 dicembre 2009

Parole da salvare

Nelle nuove edizioni dei dizionari ci aspettiamo di trovare i cosiddetti neologismi. E infatti nell'ultimo Zingarelli fanno la loro entrata 1200 parole nuove come videofonini, cartolarizzazione, bipartisan. Fin qui niente di speciale. Apprendo invece, con una punta di apprensione, che lo Zingarelli ha deciso di contrassegnare con un fiore (nel senso di seme di carte da gioco) 2800 parole "da salvare", dette anche "parole panda". Nella puntata di Fahrenheit Radio3 "Le parole tra noi leggere", il prof. Mario Cannella, lessicografo e responsabile delle revisioni del noto dizionario, spiega che non si tratta di ripescare parole in disuso o arcaiche come guardavia o dozzinante, bensì di salvaguardare la glottodiversità. In effetti nel linguaggio veloce odierno la lingua italiana si sta appiattendo e impoverendo con l'uso delle solite due o tremila parole rinunciando così alle sfumature e alla ricchezza che il nostro idioma può avere.
Ecco allora l'invito a non accontentarsi della prima parola che ci viene in mente ed ecco perché impegnarsi ad utilizzare termini come: beffardo, sardonico, ondivago, sornione, smargiasso, vanesio, sciatto ed altre che trovate nell'esilarante articolo di Paolo Foschini su Corriere.it.
Voi le avreste considerate parole a rischio di estinzione? Io no, francamente, ma se è così diamoci da fare (in attesa che alla nostra amica Marina torni la voglia di regalarci altri post sull'argomento).

sabato 26 dicembre 2009

La casa dei miei sogni

Si potrebbe pensare che stia per parlare di ville con piscina immerse nel verde ed invece mi sto semplicemente chiedendo come mai da anni i miei sogni (i pochi che mi ricordo, ahimè) si svolgono tutti nella casa in cui ho vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza. Talvolta nel sogno ci sono i miei genitori e allora capisco che si tratti di una scena del passato. Altre volte però ci sono mio marito e i miei figli eppure il tutto è ambientato lì, sempre in quel piccolo appartamento e in special modo in cucina.
Eppure ne ho cambiate di case da quando, verso i ventidue anni, me ne sono andata via. Dopo una breve parentesi ospite del mio partner di allora, comprai un piccolo appartamento in centro dove ho vissuto per circa otto anni fino a quando è nato il mio primo figlio e non ci stavamo più. Nella mia vita credo di aver sognato questa casa solo un paio di volte e, se mi ricordo bene, essa appariva anche semidistrutta o ridotta molto male.
Abito da circa quindici anni nella stessa casa ma non ho mai fatto un sogno ambientato in essa. E' come se il mio inconscio fosse rimasto inchiodato là, al settimo piano di un palazzo periferico degli anni Sessanta, con il balcone sul cortile, l'ascensore (spesso ho incubi in cui esso è guasto, le scale sono come un labirinto e io non riesco a tornare a casa). E' come se la donna che sono oggi sia ancora, nel suo profondo, quella bambina che stringe la sua nuova bambola reggendosi timorosa alla ringhiera del terrazzo di cucina.
Chissà perché. Capita anche a voi?

giovedì 24 dicembre 2009

Politicamente scorretto

Anche quest'anno vi tocca il post del Grinch. Pensavate di scamparvela, eh?
Che ci posso fare se il Natale con annessi e connessi mi sembra un rito vuoto di significato tranne quello consumistico?
Che ci posso fare se delle feste non me ne importa un bel nulla, anzi mi danno un po' fastidio?
A che serve intasare la posta elettronica con le catene di auguri (quelli dell'associazione dei ciclisti, quelli dei vari gruppi di trekking, quelli dei colleghi di tutt'Italia, persino quelli del PD!)?
E dire che invece ci sono auguri che davvero mi sentirei di fare: per la nostra Anna de L'Aquila e per i suoi conterranei perchè nel 2010 trovino la forza di riscattarsi da quello che stanno subendo, per il mio amico Spunto e per tutti i suoi colleghi di Eutelia-Agile perchè l'anno nuovo porti loro un posto di lavoro sicuro, per la mia amica S. perchè superi questo difficile momento e conquisti la sicurezza economica e affettiva che si merita, per i miei due colleghi a cui ,proprio in questi giorni di lustrini e di abbuffate, hanno perso una persona cara e per tutti quelli che attraversano un momento difficile.
Insomma il Natale rimane per me un periodo detestabile.
Tutte le cose hanno però il suo lato positivo. Per esempio, come la neve, che ha rotto parecchio le scatole nei giorni scorsi, si è già sciolta, così anche le feste hanno qualcosa di bello: basta aspettare e poi passano.

mercoledì 23 dicembre 2009

Il mercato del venerdì

Tempo fa ho raccontato la soddisfazione provata a comprare frutta e verdura al mercato della filiera corta che si tiene una volta al mese nel centro della città.
Il problema è che una volta al mese è poco e poi andare in centro in auto non si può (giustamente) e il trasporto della spesa in bici con lo zaino non è il massimo.
Per fortuna proprio davanti alle finestre del mio ufficio (nella desolata piana) da questa estate fanno un mercatino della Coldiretti tutti i venerdì (un ottimo giorno tra l'altro perché il venerdì il frigo di casa mia è desolatamente vuoto).
Vi si trovano formaggi, verdure, salumi, olio, miele e il banco della carne bio del Mugello.
Aspetto con piacere il venerdì per farci una scappata prima di andare in ufficio. A parte la soddisfazione di comprare da aziende locali (noto con piacere che alla fine la Coop l'ha capita di segnalare i prodotti locali ma solo dopo le proteste dei coltivatori toscani), imparo anche tante cose che mantengono un filo di collegamento con quell'attività essenziale quanto dimenticata che è coltivare la terra.
Ultimamente per esempio ho imparato che le puntarelle sono la parte superiore della cicoria, che le galline con l'accorciarsi delle giornate smettono o quasi di fare le uova, che il radicchio "scoltellato" si chiama così perché va raccolto con il coltello.

domenica 20 dicembre 2009

Pacchetto "Crollo del muro"

Se penso che nel 1989 avevo ventisette anni mi chiedo davvero dove ero. Il ricordo della caduta del muro di Berlino è nebuloso quasi come quello dell'atterraggio sulla luna che ho vissuto all'età di sei anni. Come scrivevo qualche post fa, negli anni ottanta io ero assai ripiegata in me stessa e troppo presa dai fatti miei per chiedermi cosa stesse succedendo nel mondo.
Così ho approfittato del ventennale per farmi un'idea degli eventi di quel periodo:

- Ho cominciato ascoltando la serie di Alle Otto della Sera "La Stasi sopra Berlino" di Paolo Soldini, per anni corrispondente da Berlino per L'Unità, il quale racconta di una città divisa in due, delle difficoltà quotidiane dei suoi abitanti, del clima di sospetto e di paura nella DDR, delle speranze legate alla caduta del muro. Il giornalista si sofferma soprattutto sull'operato della Stasi e in particolare sul come spiassero la vita delle persone anche attraverso i cosiddetti "Informeller Mitarbeiter", cioè persone comuni che venivano costrette con il ricatto a fare gli informatori. Il caso più eclatante fu quello dell'apparente dissidente Ibrahim Böhme sul quale c'è un bell'articolo di Soldini sul L'Unità di oggi.
Le puntante mi sono sembrate interessanti anche se il tono con cui parla Soldini non è dei più avvincenti e il procedere del racconto è un po' disordinato con salti temporali non aiutano a seguire.

- Poi ho visto il bel film "Le vite degli altri", che hanno dato recentemente su RAI1, nel quale è raccontata una storia emblematica di spionaggio della Stasi. Un capitano di questa organizzazione, molto diligente e convinto del suo lavoro all'inizio del film, si deve occupare di spiare uno scrittore ma finisce per mettere in discussione quello che fa perchè capisce quanto sia assurdo e ingiusto entrare in modo subdolo e vigliacco nella vita degli altri.

- Molto carino e per niente banale il film "Goodbye, Lenin!", anch'esso su Berlino prima e dopo la caduta del muro. La protagonista del film, convinta sostenitrice del regime della DDR, entra in coma proprio la sera della caduta del muro e si risveglia dopo mesi ma il medico raccomanda ai figli di evitarle assolutamente ogni shock. Poichè la città è completamente cambiata, i figli fanno i salti mortali per ricostruire davanti alla madre, in modo anche divertente e rocambolesco, una realtà che non c'è più. Nel film si sottolineano anche gli aspetti negativi della riunificazione della Germania e dell'occidentalizzazione fulminea che ha subito la DDR (e che ha generato quel fenomeno, di cui accenna anche Soldini, chiamato Ostalgie).

- Infine come non vedere le due puntate di La storia siamo noi Il crollo del muro:diplomazie e segreti? Molto interessanti, soprattutto la prima anche se io avrei tagliato gli intermezzi di Gorbaciov e Kohl che parlano amabilmente ricordando gli eventi mostrati nel documentario.

Insomma come direbbero nelle agenzie di viaggio, un bel pacchetto che mi ha aiutato a capire un pezzo di storia che mi era scivolata addosso.

Aggiornamento: mi era sfuggita la puntanta Ostalghia di La Storia Siamo Noi: molto interessante.

venerdì 18 dicembre 2009

Quando anche le finestre vogliono dire la loro

L'altro giorno pensavo a quanti cenci ho appeso alle finestre di casa mia (sfidando il regolamento comunale che lo vieta). Mi ricordo, ai tempi della guerra in Iraq, il lenzuolo bianco con la scritta NO ALLA GUERRA o quell'altro con la scritta RIFORMA MORATTI BOCCIATA. Vi abbiamo appeso varie volte la bandiera della Fiorentina e per un lungo periodo quella della PACE.Ripensandoci mi sono venuti in mente gli stracci dei colori più diversi che hanno penzolato fuori dalle mie finestre:

- il verde in solidarietà dei manifestanti iraniani


l'arancio antiGelmini


ed infine il viola del NoBday.


Chissà che avranno pensato i passanti! Chissà se avranno capito i tanti messaggi o se pensano che in casa mia siamo un po' grulli!
Eppure è un modo di manifestare anche quello. Finchè ce lo permetteranno.

martedì 15 dicembre 2009

L'Isola di Arturo


Ho appena finito l'ascolto de L'Isola di Arturo, di Elsa Morante, letto da Iaia Forte per Ad Alta Voce di Radio 3.
Arturo Gerace è un ragazzino che cresce praticamente solo sull'isola di Procida. Della madre, che muore mettendolo al mondo, ha solo una foto sbiadita. Il padre lo vede solo qualche giorno all'anno perché sempre in viaggio non si sa dove. Per il biondo e sprezzante Wilhelm Gerace, Arturo prova un'adorazione sconfinata quanto immeritata. La sua solitudine è interrotta dall'arrivo della nuova moglie del padre, Nunziatella, che ha solo un paio di anni più di Arturo: una ragazza semplice e ingenua, che con la sua saggezza popolare e il suo calore contrasta con l'ombroso e cinico marito che però lei rispetta. Arturo, dapprima ostile, si accorge successivamente di provare per lei un sentimento nuovo, prepotente ma impossibile.
Un romanzo bello, poetico e commovente che mi ha fatto fare diversi viaggi in bus con la lacrima sul ciglio. Come quando Arturo assiste alle effusioni di Nunziatella verso il neonato fratellastro e si rende conto di cosa vuol dire non aver avuto una madre e si accorge di non aver mai dato o ricevuto un bacio in vita sua. Oppure come quando sogna di partire un giorno con il padre per i suoi misteriosi viaggi mentre questi (diciamolo, un bello stronzo) non si cura affatto di questo ragazzo che lo attende trepidante.
La Morante è molto brava a renderci partecipi dei dubbi, dei timori, delle gioie e dei dolori di questo adolescente che vorremmo avere davanti per poterlo abbracciare. Non capisco però come si possa definire L'Isola di Arturo un romanzo per ragazzi. Secondo me è troppo introspettivo per piacere ai giovanissimi.
Eccellente Iaia Forte nell'interpretare i vari personaggi così diversi fra loro. Un vero valore aggiunto.

Altri audiolibri che ho ascoltato e che consiglio:
La battaglia di Adrianopoli
Fabbriche
Resurrezione
Padri e figli
Emigranti Express
Tom Sawyer
La caduta di Costantinopoli

sabato 12 dicembre 2009

Allora, come va mio figlio?

Sono reduce da un massacrante pomeriggio trascorso al liceo di mio figlio: dalle 15.30 alle 17.30 per 4 colloqui con altrettanti professori ciascuno di durata dai 30 secondi ai 3 minuti.
In casa la discussione si ripete ogni anno da quando il figlio era alle medie: servono veramente questi colloqui? Gli insegnanti hanno davvero piacere di parlare con TUTTI i genitori oppure, tranne che per alcuni casi particolari, basta che questi siano a conoscenza dei voti?
Mi piacerebbe un parere delle amiche blogger insegnanti o ex insegnanti.
Mio marito (che tra l'altro per un breve periodo ha insegnato) è convinto che non serva a nulla andare a parlare con i professori, soprattutto con quelli delle materie che hanno poche ore e che quindi non sono in grado di conoscere i ragazzi più di tanto.
Io invece ritengo che si debba andare per vari motivi: 1) dimostrare al figlio che ci interessiamo di lui; 2) dimostrare al professore che ci interessa il suo lavoro; 3) scoprire un ritratto di nostro figlio da un'angolazione diversa. Devo dire che quest'ultimo scopo lo si ottiene raramente. Il più delle volte (e in questo ha ragione mio marito) il colloquio si svolge in trenta secondi con lo sciorinare dei voti e con il classico mantra "potrebbe fare di più", "le capacità ci sono ma non si impegna", "ha poca voglia". Mi chiedo che cavolo dicono a quelli che ci schiacciano venti minuti. A me non è mai capitato. Ci aggiungerei infine anche un minimo di socializzazione e di conoscenza degli altri genitori durante le lunghe attese.
Tornando a casa, dopo l'estenuante pomeriggio in gran parte fatto di attesa in piedi sulla soglia della porta sperando che non spuntino quelli in lista prima di me (che immancabilmente compaiono quando ho già un piede dentro l'aula), pensavo come sarebbe più proficuo per tutti organizzare dei colloqui via Skype o in audio/video conferenza con prenotazione. Fantascienza, lo so. La scuola pubblica, ora come ora, è già tanto se ha la carta igienica nei bagni.

giovedì 10 dicembre 2009

Forbice perde?

"Caro precario,
Le comunico che dal 1 Gennaio 2010 il suo rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato è risolto"

Di questo tono è la lettera che il mio ente ha inviato ad alcuni colleghi che speravano, dopo anni di contratti, borse, assegni, post-doc, ecc. di venire stabilizzati, cioè assunti a tempo indeterminato. Il faticoso e complicato processo di stabilizzazione messo in piedi dal governo Prodi è stato bruscamente interrotto. Chi c'è, c'è. Chi non c'è, si arrangi.
Questo è solo uno dei tanti motivi per cui domani, sciopererò nuovamente.
Sperando che qualcosa cambi...


martedì 8 dicembre 2009

Slow economy: perché no?

Con il suo cesto di capelli grigi, il volto magro, la giacchettina all'orientale, l'erre arrotolata, il sorriso sornione, Federico Rampini esercita su di me un fascino particolare. La sua serie di puntate sulla Cina di Alle Otto della Sera è stata una delle più interessanti tra le tante che ho sentito. Mi piacciono i suoi articoli e ho letto con piacere anche qualche suo libro.
Recentemente è stato ospite sia a Parla con Me che a Le storie - Diario Italiano. (Avete notato che le due trasmissioni si "passano" gli ospiti? E' interessante anche confrontare il diverso approccio di Augias e della Dandini verso il medesimo ospite. Il primo è più bravo, secondo me.).
Tornando a Rampini, il giornalista ha presentato il suo libro: "Slow economy. Rinascere con saggezza". La tesi del libro è che bisogna approfittare della crisi per cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo perché in tal modo la crisi potrebbe diventare un'opportunità e non una semplice sciagura (pare che in Cinese Mandarino la parola "crisi" abbia entrambi le accezioni). In particolare, visto che ha vissuto per anni in Cina e in India, egli propone di imitare alcuni comportamenti frugali e virtuosi che in questi paesi sono adottati, cioè secondo lui dobbiamo una volta tanto essere noi a copiare dall'Oriente ma selezionando. Tutto questo per sposare una "slow economy", cioè una crescita più lenta ma più attenta a certi valori, senza sacrificare la qualità della vita. Il simbolo di questo possono essere i risciò nelle strade di Manhattam, cioè un mezzo apparentemente più lento ma che diventa più efficiente perché evita il traffico (e non inquina).
Altra questione cara a Rampini è la condanna del PIL come misuratore insensato a favore del FIL (Felicità Interna Lorda), un coefficiente adottato da anni dal piccolo paese hymalaiano del Bhutan e che tiene conto non solo della ricchezza prodotta ma anche di altri fattori di benessere quali l'istruzione, la conservazione dell'ambiente, la salute.
Federico Rampini non è un economista ma solo un acuto osservatore. Può darsi quindi che la sua slow economy sia solo una bella utopia. Ma, d'altra parte, anche i più grandi economisti hanno preso delle belle cantonate ed inoltre pare che la finanza di Wall Street non abbia imparato nulla dalla recente crisi e stia ricreando l'ennesima bolla speculativa. E allora perché non puntare sulla slow economy?

domenica 6 dicembre 2009

Cercando di capire

Quando penso al tema della violenza sulle donne, mi vengono in mente due tipi di circostanze e di sensazioni. Penso a donne sfortunate che non hanno nessuna via di uscita o quasi, come le donne afgane oppure le ragazze straniere attirate in Italia con l'inganno e costrette a prostituirsi in stato di schiavitù e ricatto e questo mi provoca una grande sensazione di rabbia ed impotenza. Poi penso anche a donne che vivono in paesi dove le tutele e i diritti ci sono e che quindi avrebbero la possibilità di uscire dall'inferno in cui si sono cacciate ma non hanno il coraggio di farlo. Perché subiscono? Non voglio giudicarle, ci mancherebbe. Vorrei solo capire.
Sarà che io non accetterei mai di dipendere economicamente da qualcuno (e l'indipendenza economica è il primo strumento per non farsi incastrare). Sarà che molte non hanno la consapevolezza degli strumenti che hanno a disposizione (la cultura al solito gioca un ruolo essenziale). Pare che ci siano anche donne che, pur lavorando e possedendo una certa cultura, mandano giù i soprusi e si prendono le botte sperando che il partner violento prima o poi si ravveda oppure lo perdonano perché tra un episodio e l'altro sembra tornare la persona amabile che era, oppure (peggio che mai) lo giustificano perché persino la violenza è considerata da esse comunque un gesto di affetto, una dimostrazione che lui, a modo suo, tiene a loro. Ecco francamente non riesco a provare comprensione per queste donne.
Domenica scorsa però ho letto su Il Fatto Quotidiano un'interessante intervista di Elisa Battistini ad Antonella Faieta di Telefono Rosa.
“La donna incontra quello che sembra l’uomo dei sogni. ", dice l'avvocato Faieta, "Scatta un investimento emotivo fortissimo. Spesso si va a convivere o ci si sposa. Poi iniziano i segnali negativi: lui critica le amicizie della compagna, dice che i familiari la condizionano troppo. L’obiettivo è isolare la donna dai suoi legami e controllarla il più possibile."
Tragico errore: anche con i migliori partner bisognerebbe sempre mantenere degli spazi e degli interessi propri. Ne va della nostra autostima (questo indipendentemente dai possibili risvolti tragici).
"Sembra incredibile", continua l'articolo, "ma le donne che subiscono maltrattamenti da parte dei partner di solito hanno il coraggio di reagire soltanto dopo molti anni. A volte anche 10 o 15. Come si fa a tollerare la sudditanza psicologica e la violenza fisica per così tanto tempo?" Beh, mi consola notare che queste domande non me lo pongo solo io.
"Si sottovaluta - dice Antonella Faieta - l'enorme senso di vergogna nel dover ammettere che quell'uomo meraviglioso che hai sposato è l'uomo che ti picchia. La vergogna è legata al fallimento. [...] In questi rapporti l'uomo fa leva sul senso di colpa, facendo credere alla donna che se lei si comportasse diversamente le cose andrebbero meglio e lui non sarebbe violento."
E' vero! Accidenti! Perché siamo così predisposte a sentirsi sbagliate?
Poi l'esperta di Telefono Rosa passa a sottolineare il fattore dipendenza economica, la non conoscenza dei proprio diritti. "Se mi denunci non ti do una lira è una frase ricorrente del marito violento. In realtà è una menzogna: l'uomo è tenuto a farlo". Poi pare che talvolta le donne non trovino comprensione presso le stazioni di pubblica sicurezza alle quali si rivolgono per fare la denuncia. "Torni a casa, vedrà che passa."
Pare infine che le fasce sociali coinvolte non siano solo quelle più basse ma che sia un fenomeno trasversale, che coinvolge molti professionisti, uomini "normali". "Va sfatata" dice sempre la Faieta, "che bevano o abbiano problemi sul lavoro. Il problema è culturale. Sono uomini legati a stereotipi di dominio e controllo, che desiderano essere onnipotenti; persone fragili, che non sono in grado di avere un rapporto con una donna e riescono ad affermarsi solo con la violenza."
Quest'ultima questione mi fa pensare come anche molti uomini siano prigionieri di questi stereotipi che non permettono loro di essere se stessi fino in fondo e di vivere i propri affetti in modo appagante. Lo spiega bene l'associazione Maschile Plurale, con le loro ottime iniziative.
Ecco adesso mi sembra di aver capito di più.

venerdì 4 dicembre 2009

Vogliamo un paese normale


Lo so, il titolo della manifestazione è un po' irritante, sa un po' di qualunquismo. Lo so, focalizzare la protesta contro una sola persona è riduttivo. Lo so, come dice Guido Crainz, non è che con la caduta di Silvio Berlusconi abbiamo magicamente risolto i problemi del nostro paese. Lo so, i media sapranno disinnescare al solito la protesta come hanno fatto per piazza Navona (ancora mi brucia un po').
Eppure penso che non sia il tempo di marcare differenze e di fare disquisizioni. Penso che il PD sbagli a snobbare questa iniziativa (che senso ha fare le 1000 piazze una settimana dopo?). Penso che comunque un qualcosa nato da semplici cittadini autoorganizzati, cittadini che si "rimboccano le maniche" (cioè scrivono, organizzano, si spendono e spendono) perchè sono preoccupati per la nostra democrazia, penso che sia un buon segnale. Fanno bene questi ragazzi a farsi "soggetti" della politica senza nessun guru da seguire.
Non posso andare a Roma il 5 dicembre, però aderisco a questa giornata con il cuore e spero davvero che questa piazza faccia girare un po' le palle al padrone del vapore.
Di tutte le motivazioni che ho sentito penso che la migliore, nella sua semplicità sia quella di Fiorella Mannoia: "Vogliamo un paese normale. Punto."


Consiglio caldamente la lettura dell'instant book Caro Papi Natale, un libro scritto a 5000 mani con le 101 domande al Reticente del Consiglio (alcune sono molto carine).

giovedì 3 dicembre 2009

Quando si dice la sintesi

Non riesco a scrivere niente sull'attuale situazione politica italiana. Non riesco a spiegare lo scoraggiamento e l'indignazione quotidiani. Non si ripara. Quando penso che siamo al fondo, devo prendere atto che c'è sempre di peggio. Ecco che l'altro giorno, andando a fare colazione, mi cade l'occhio sull'ultima locandina de Il Vernacoliere, il giornale satirico livornese, che sintetizza in maniera mirabile quello che io sento. Non ho nient'altro da aggiungere.

Per chi non sapesse chi è Don Santoro, ne ho scritto in questo post.

martedì 1 dicembre 2009

Piccole grandi iniziative

In questo paese dove si afferma sempre di più una visione individualista e sprezzante delle regole (vedi post precedente che finiva appunto con la frase SUV in seconda fila) ogni tanto si scorgono dei teneri fiorellini. Come l'attività dei Genitoriantismog di Milano, un'associazione che si batte per una mobilità rispettosa dell'ambiente e della salute coinvolgendo i bambini. Oltre alle tante iniziative più tradizionali come petizioni, raccolta di firme, opera di sensibilizzazione nelle scuole, ricorsi al TAR, questionari, i Genitoriantismog di Milano hanno coinvolto i bambini delle scuole primarie per sanzionare con una speciale multa da loro creata (vedi sopra) coloro che posteggiano l'auto sul marciapiede, creando disagio e intralcio agli utenti più deboli della strada (pedoni, ma anche disabili, passeggini, ecc.). Un'iniziativa che ha anche la doppia valenza di educare a farsi sentire nel difendere i propri diritti.
A me è piaciuta moltissimo e per questo vi propongo il loro spot.