domenica 29 marzo 2009

L'Italia del buon senso e del rispetto dell'ambiente

Per superare lo spleen di una domenica dal sapore novembrino ed affrontare la settimana a venire in cui non mancheranno le notizie deprimenti, ho voglia di parlare di cose positive e di buoni esempi concreti.
L'AssociAzione dei Comuni Virtuosi nasce nel maggio del 2005, nella sala consiliare di Vezzano Ligure, su iniziativa di quattro comuni: Monsano (AN), Colorno (PR), Vezzano Ligure (SP) e Melpignano (LE) ed ha attirato altri 18 comuni in tutta Italia che stanno cercando di cambiare la politica con azioni concrete.
Marco Boschini, anima e animatore dell'associazione, spiega a Parla con me che sono cinque le linee di intervento che identificano un comune virtuoso: 1) la gestione del territorio; 2) l'impronta ecologica della macchina comunale; 3) i rifiuti; 4) la mobilità; 5) gli stili di vita.
Mi ha colpito in particolare la prima che mi ha ricordato un'intervista su ArcoirisTV a Domenico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI), che ho ascoltai sul treno tornando dalle vacanze.
In un momento in cui tutti cementificano, Finiguerra è riuscito a fare approvare il progetto "Crescita Zero", cioè nel comune di Cassinetta non si può più costruire ma solo ristrutturare l'esistente e recuperare aree in disuso.
Quell'intervista mi fece capire infatti che i comuni italiani soffrono di una sorta di ricatto: il bilancio è in negativo? Basta concedere concessioni edilizie e come per magia, con gli oneri di urbanizzazione, il problema è risolto. Cassinetta invece ha detto "no" a nuovo consumo del territorio decidendo di non cedere più al ricatto e trovando nuove risorse con risparmi e ritoccando le tasse. I cittadini pare abbiano apprezzato la sua scelta. Da questo è partita la campagna "Stop al consumo di territorio".

Dal punto di vista dell'energia l'Associazione Comuni Virtuosi, prima di entrare nella questione del nucleare, vuole dimostrare che se ne può fare tranquillamente a meno. Alcuni di questi comuni hanno tagliato la bolletta energetica del 70%. Anche il Comune di Padova, che non è piccolissimo, ha risparmiato 400.000 euro di bolletta solo cambiando le armature della illuminazione. Dopo un bel taglio alla bolletta, le fonti rinnovabili cominciano a diventare significative.

Per quanto riguarda invece i rifiuti i Comuni virtuosi puntano sul porta-a-porta che in alcuni comuni fa sfiorare il 90% di raccolta differenziata. Questo insieme a una efficace politica di riduzione dei rifiuti come quella attuata a Ponte nelle Alpi dove si è riusciti a ridurre le tariffe convincendo i cittadini a praticare buone abitudini dai detersivi alla spina, ai pannolini lavabili negli asili comunali, all'acqua del rubinetto nelle scuole.
La parte del leone in questo campo la fa il comune di Capannori, in provincia di Lucca, primo comune in Italia ad aver adottato la "Strategia Rifiuti Zero", cioè l'impegno approvato in consiglio comunale di arrivare al 2020 con una produzione nulla di rifiuti. Su questa realtà ho una testimonianza diretta di una mia carissima amica la quale mi ha raccontato che, una volta vinte tutte le immancabili perplessità e paure dei suoi compaesani, l'operazione sta andando a gonfie vele grazie all'attivissimo Assessore all'ambiente Alessio Ciacci.
L'obiezione più comune è che questo tipo di cose si possono fare solo in piccole realtà ma Marco Boschini non si lascia turbare e dice che anche San Francisco ha adottato la "Strategia Rifiuti Zero" arrivando al 70% di raccolta differenziata. "Se lo ha fatto San Francisco", dice Boschini, "lo può fare anche Roma."

In controtendenza rispetto a chi parla di centrali nucleari, inceneritori e grandi opere, facciamo un po' di pubblicità a queste scintille di buon senso.

sabato 28 marzo 2009

Una scelta impegnativa

Ho finalmente finito l'ostico libro in lettura da metà febbraio. La considero comunque una piccola vittoria.
Visto che l'argomento suscita molto interesse e visto che alcuni di voi si sono chiesti come scelgo i libri, ho deciso di farvi partecipe della delicata operazione (delicata perché si tratta di ipotecare un bel po' di tempo). Su uno scaffaletto del mobile che fa da comodino ci sono i libri che ho intenzione di leggere: alcuni sono regali o prestiti, altri frutto di una selezione tra i tanti che ci sono in casa, pochi comprati personalmente.
Si accettano pareri e suggerimenti. Premetto che comunque è mia intenzione leggerli tutti mentre non vi assicuro di seguire per il momento i vostri pur graditi consigli per eventuali ulteriori acquisizioni perché purtroppo ho un'altra piccola patologica mania che mi impone di leggere prima quelli che ho (per questo di libri non ne compro quasi mai :-)).
Ecco la lista di attesa in ordine alfabetico:
  • Gisela Bock, Le donne nella storia europea, regalo di mio marito che sa che mi piace la storia e mi piacciono le biografie di donne.
  • Italo Calvino, Ultimo viene il corvo, comprato per mio figlio che lo aveva come compito estivo.
  • Danilo Dolci, Non esiste il silenzio, trovato in casa e scelto perchè voglio saperne di più di questa figura a cui spesso sento accennare ma di cui non so nulla.
  • Ettore Masina, Le nostre barche sono rotonde, regalo della carissima Angela.
  • Ottavia Niccoli, Rinascimento al femminile, regalo di mio marito per lo stesso motivo di cui sopra.
  • Anna Politokovskaja, Proibito parlare, passatomi dalla suocera.
  • Federico Rampini, L'ombra di Mao, regalo di mio marito che sa che mi piace molto Rampini anche se non ho mai letto un suo libro.
  • Mario Schettini, Italia, nascita di una nazione, scovato in casa in edizione ultraeconomica ancora con il cellophane, mi incuriosisce per la mia solita passione verso la storia.
  • Roberto Scarpinato e Saverio Lodato, Il ritorno del Principe, unico libro comprato da me e di cui ho parlato in un precedente post.
Poi in seconda priorità ci sono alcuni libri dei miei figli che vorrei leggere per condividere con loro un argomento di conversazione che non sia "hai fatto i compiti", "stai dritto", ecc. (vero Chiara?):

Taibo Paco Ignacio, Senza perdere la tenerezza
David Grossman, Ci sono bambini a zig-zag
Furio Honsell, L'algoritmo del parcheggio
Hans Enzensberger, Il mago dei numeri

giovedì 26 marzo 2009

Il secolo della cronaca

"La mole crescente di notizie di cronaca nera che ci investono attraverso i media produce vere e proprie epidemie di paura, infezioni dell'immaginario collettivo. Viviamo allora come traumatizzati senza trauma. Ci affidiamo all'uomo forte che prima ci spaventa e poi promette di proteggerci. Abdichiamo a noi stessi."
Antonio Scurati "Il bambino che sognava la fine del mondo"
Devo dire la verità. Guardando le interviste che Scurati ha rilasciato a Le Storie e a Parla con me ho dovuto superare un istintivo e irrazionale senso di antipatia per l'avvenente scrittore. Nonostante questo, trovo interessante e accattivante la sua tesi: se il Ventesimo è stato il secolo della violenza della storia, il Ventunesimo sembra avviato a diventare quello della violenza della cronaca.
Secondo Scurati il XX secolo ha visto immani violenze ma c'era sempre l'idea che si potesse ci si potesse riscattare verso un domani migliore, una società più giusta. Oggi invece questa violenza sminuzzata che ci viene presentata ogni giorno è completamente priva di redenzione. Ogni giorno un delitto, un delitto al giorno.
E' come se ci fosse un pronunciato bisogno di mostri che è il segno preoccupante di una infantilizzazione del mondo adulto. Come se la psiche collettiva regredisse, sotto la spinta dei media, ad uno stato infantile.
Scurati non è contro il dovere della cronaca, bensì contro quel tipo di giornalismo che gonfia il mostro e lascia al fondo dello spettatore la paura che ci rende bambini e proni all'uomo forte che ci governa attraverso la paura, insieme a quei sentimenti di accanimento, di sottile ferocia. La gente lascia la propria vita e va a vedere da vicino il mostro al processo per spaventarsene e allo stesso tempo per maledirlo (vedi la fila di gente comune per assistere al processo di Erba).
"Spesso non potendo avere il bene tanto sfuggente, sdegnoso, tanto raro, ci si accontenta del male".
Anche questa del male come ripiego mi sembra una tesi affascinante. L'umanità infatti è da sempre attratta anche dalla narrazione del bene, dagli eroi antichi alla narrazione cristiana, ma è come se oggi avessimo perso la fiducia nel possibile racconto del bene. E' come se, non sapendo più narrare il bene, non potendo più avere il suo racconto potente, tristemente ripiegassimo nel racconto del male.

martedì 24 marzo 2009

In cerca di rappresentanza

In viaggio con due cari amici miei.

Lei: "Ho sentito che De Magistris si candida per l'Italia dei Valori alle Europee. Stavolta il PD non lo voto, ho deciso, se si candida De Magistris voto Italia dei Valori".

Lui: "Te l'ho già detto altre volte: l'Italia dei Valori è DI DESTRA. Dammi retta. Di Pietro è un uomo d'ordine."

Lei: "Oramai non esiste più questa distinzione tra destra e sinistra. Bisogna guardare le persone, bisogna porre l'attenzione sulla legalità."

Lui: "No, io sono di sinistra, sono sempre stato di sinistra. Per me votare PD è come votare democristiano e io voglio votare un partito di sinistra. Vendola, per esempio. Vendola non mi dispiace...".

Io: "Allora pensi di votare Sinistra e Libertà?"

Lui: "Mah, fammi un po' vedere questo simbolo... [sfoglia L'Unità].. uhm... questa è la rosa dei socialisti, il sole dei verdi... e questa ondina rossa e verde cos'è?

Io: "Non lo so. Non so se rappresenta Sinistra Democratica, quella di Mussi per intenderci, o Movimento per la Sinistra, quella di Vendola, o tutti e due. Non ho capito bene."

Lei, scuotendo la testa: "No, mi dispiace, se c'è De Magistris io voto IdV. Si possono ancora indicare le preferenze, vero?"

Lui: "No, no. Io sono fatto così. Me lo ha detto anche un mio collega:"voi idealisti siete passati di moda. Siete antichi". Va bene, sarò antico ma io non mi vergogno a chiamarmi comunista... Fammi un po' rivedere 'sto simbolo."

domenica 22 marzo 2009

Una boccata di ossigeno


E' stata una boccata di ossigeno. Di quelle che rinfrancano. Siamo arrivati sul lungomare Caracciolo che già la testa del corteo era passata da un pezzo e ci siamo immersi in una marea di giovani. Tanti tanti giovani con i loro bei brufoli, i loro ferretti sui denti, i loro piercing, i loro cartelli artigianali,

gli striscioni delle loro scuole, i foulard degli scout venuti da tutta Italia.
Dai giovani universitari con il solito furgone che sparava musica a tutto volume,

ai bambini delle elementari con cappellini o casacchine colorate e i loro coraggiosissimi insegnanti che cercavano di tenerli uniti per non perdersene qualcuno nella folla.

Chissà quanti di questi ragazzi saranno consapevoli fino in fondo del significato di questa marcia. Guardando i floridi bambini che camminavano davanti a noi, un mio amico mi fa: "Ci sarà sicuramente qualche figlio di un camorrista tra loro". Può darsi, ma chi lo dice che il semino gettato oggi non germogli domani?

"Impegnarsi per la memoria non è né stupido, né inutile", ha detto dal palco Alessandra Clemente, la figlia di Silvia Ruotolo.

Qui altre immagini della giornata

venerdì 20 marzo 2009

E' tempo di fare qualcosa /2

Continua il mio bisogno di esserci. Domani sarò a Napoli...


E per chi volesse comunque fare qualcosa:



Altri post sulla criminalità organizzata:
Quando per scrivere ci vuole coraggio
Il ritorno del Principe
Il punto sull'antimafia
Ed infine anch'io ho letto Gomorra
L'oro della camorra
Piccoli eroi dimenticati

giovedì 19 marzo 2009

Il tabu di non finire un libro

Penso sia noto il mio rapporto di odio/amore nei confronti dei libri. Odio perché i libri interessanti sono sempre tanti, spesso sono lunghi e difficili, mentre il tempo è sempre maledettamente poco e il sonno incombe la sera quando finalmente mi accingo a leggere. Amore perché vorrei essere una lettrice forte e ammiro tanto quelli che leggono tanti libri e ancora di più quelli che si ricordano cosa hanno letto.
Il vorrei-ma-non-posso unito al senso di inferiorità che provo, lo ammetto, verso chi ha studiato, fa sì che molto raramente sono riuscita a godere della lettura di un libro. Sono rarissimi i libri leggendo i quali non ho guardato continuamente quante pagine mancavano alla fine. Lo confesso: leggo perché voglio imparare qualcosa e perché non voglio sentirmi esclusa quando qualcuno parla di qualcosa contenuto in un libro. Quindi quando decido di leggere un libro è sempre e solo perché mi interessa sapere cosa c'è scritto anche se sarà difficile, impegnativo e magari noioso.
Siccome sono anche una maledetta capatosta non concepisco l'idea di non finire un libro anche se non mi piace.
Lo so, sono patologica. Leggendaria fu la lettura durata ben nove mesi (tutti in casa mi prendevano in giro) de Il Secondo sesso di Simone de Beauvoir che poi alla fine è un libro interessante, peccato che quello che ha da dire poteva essere concentrato in un terzo delle pagine.
Visto che sono a fare outing vi confesso anche questa. Il romanzo che sto leggendo l'ho cominciato a metà febbraio. Già dalle prima pagine ho capito che non mi piaceva e non ci capivo un tubo di quello che vi era narrato. Sapete cosa ho fatto invece di fare quello che tutti ragionevolmente avrebbero fatto, cioè chiudere il libro e riporlo sullo scaffale? Mi sono ripromessa di finire il libro dandomi come scadenza il 31 marzo, ho suddiviso le pagine per i giorni in modo che ogni sera so esattamente se sto mantenendo il passo e infatti lo sto finendo forse anche con qualche giorno di anticipo.
Sono matta, lo so. Anzi, come dicono da queste parti: sono proprio grulla.

martedì 17 marzo 2009

E' tempo di fare qualcosa /1

Non ci riesco a chiudermi nel mio mondo dorato. Non ci riesco ad assistere inerte allo smantellamento dei diritti, al declino dei valori, all'affermarsi dell'egoismo, al dilagare della paura, dell'ignoranza, della superficialità.
Ha ragione chi, come l'amico Luposelvatico, scrive che ci vorrà "un'opera da compiere con infinita pazienza, quella di raccogliere i pezzi, tentare di ripulirli ed incollarli insieme, per ricostruire dal basso quel che ci hanno rubato e ci stanno rubando".
Purtroppo sono un tipo che la pazienza non l'ha mai avuta.
E non mi basta nemmeno più tanto l'indignazione, quella che Chiara, in un bel post, chiama la "cara, dolce e permanente indignazione che ci fa sentire vivi e migliori."
Sento il bisogno di fare qualcosa. Sento il bisogno di esserci fisicamente tutte le volte che c'è da ribadire: "Io non ci sto".
Questo è il motivo per il quale anche domani sarò di nuovo in piazza a manifestare.

lunedì 16 marzo 2009

Ridiamoci sopra

Ridere fa bene. Pare che sia scientificamente dimostrato. In effetti, tra un'amarezza, un'arrabbiatura, una delusione e l'altra, abbiamo proprio bisogno di farci qualche bella risata. Ma cos'è che ci fa ridere? Che cosa è esattamente il senso dell'umorismo? E' vero che c'è chi ne è dotato e chi no oppure ognuno ha il SUO personale senso dell'umorismo?
Su questo argomento si saranno scervellati fior di psicologi, neuroscienziati, sociologhi, comici e saranno stati versati fiumi di inchiostro.
Io sono più propensa a credere che non esista un senso dell'umorismo universale ma che ognuno abbia i suoi personalissimi gusti anche in fatto di risate.
Potrebbe essere una questione generazionale oppure di background culturale.
Eppure, quando mi sono sentita troppo vecchia per ridere delle battute di Zelig, mi sono rincuorata notando che esse lasciavano del tutto indifferente anche mio figlio tredicenne (troppo giovane forse?).
Come pure continuo a chiedermi perché non mi fanno ridere comici che fanno una satira comunque vicina al mio pensiero politico, come Sabina Guzzanti, Daniele Luttazzi, Paolo Rossi, Paolo Hendel (che per di più parla con accento a me familiare).
Perché anche Maurizio Milani, che la mia amica Anna trova geniale, mi lascia del tutto indifferente?
Forse sono io che sono difficile visto che anche mio padre, che continua da anni a raccontarmi barzellette, riesce al massimo a strapparmi un sorriso.

Ed invece c'è qualcosa che mi fa ridere da sola come una scema davanti al monitor e anche quando non mi fa sbellicare mi mette di buon umore: sono i video di Tolleranza Zoro e i post della Fondazione Daje. Ho cercato di coinvolgere diversi amici in questa mia recente passione, ma dopo un buon quarto d'ora in cui cerco di raccontare per filo e per segno le trovate di Diego Bianchi, mi accorgo che al massimo riesco a strappare un "Carino!"
Diego Bianchi mi piace perché incarna in modo divertente ma anche tenero la solitudine del militante che si sente orfano del PCI, del grande partito di massa che sapeva coinvolgere e creare un'identità, che ha lasciato un vuoto in tanti che, come lui e come me, non ce la fanno mandar giù nè gli ex-democristiani e neppure i litigiosi rifondaroli.
Vabbe' sapete che faccio? Ve ne posto un paio e se non vi faranno ridere...
...amici come prima.





venerdì 13 marzo 2009

Voglio pagare più tasse

Le tasse sono il corrispettivo di un servizio. Se i lampioni per strada sono accesi la sera lo dobbiamo a chi paga le tasse. Prima ancora, le tasse sono il senso dell'appartenenza ad una comunità. In un condominio solo i condomini pagano le spese. Lo stesso dovrebbe essere per lo Stato. Chi non paga le tasse e usufruisce lo stesso dei servizi, è un ladro. Invece, per il noto scarso senso civico che abbiamo in Italia, l'evasore non è percepito come ladro, ma come un furbo. La sanzione penale per l'evasione fiscale è inesistente, quella amministrativa modesta e la perdita di reputazione è nulla. Si continua ad applaudire. Non c'è disprezzo dell'opinione pubblica verso gli evasori. I giornali stranieri hanno definito "leggendaria" l'evasione fiscale in Italia.
Obiezione tipica: "Le tasse sono troppo elevate"
E' vero che la pressione fiscale in Italia è superiore alla media europea ma, come ha ricordato anche il Governatore della Banca d'Italia, il peso delle tasse sui cittadini "fiscalmente onesti" è di gran lunga superiore. Essi si fanno carico anche di quelli che non pagano.
Altra obiezione: "Non è l'evasione che sottrae, ma è lo Stato"
Peccato che tutti usufruiamo di servizi (la luce per le strade, l'asfalto, la scuola pubblica, la sanità, la cultura). Chi non paga le tasse non paga quei servizi e li fa pagare di più agli altri.
L'unica obiezione accettabile potrebbe essere: "Non sono contento di come vengono utilizzati questi soldi".
Non si può però "votare" non pagando le tasse. I due discorsi sono paralleli ma diversi. Sappiamo che i nostri soldi possono essere spesi male e noi dobbiamo condannarne il cattivo uso, dobbiamo esigere che non ci siano sprechi.

Quanto sopra non è farina del mio sacco (anche se mi sento di condividere in pieno) bensì di Roberto Ippolito, autore di "Evasori, chi come e quanto", un'ampia inchiesta sull'evasione fiscale in Italia fatta di cifre dolorose e di trucchi grotteschi.
Un libro che non ho nessuna intenzione di leggere come tutti quelli che so che mi faranno male ma che mi fa piacere che siano stati scritti.
Nel libro vi sono esempi da tutta Italia e per tutte le categorie:
  • più di 500 farmacie dichiarano di non avere scaffali,
  • centinaia di lavanderie dichiarano di non avere lavatrici pur detraendone il costo.
  • In provincia di Perugia sono immatricolate 32000 auto di grossa cilindrata contro solo 2000 contribuenti che guadagnano oltre 100.000 (reddito che presume un tenore di vita adeguato al tipo di auto).
  • Provincia di Treviso, imprenditore con tre appartamenti, reddito zero.
  • Città di Castello, titolare di agriturismo con parco e piscina, per 3 anni non ha dichiarato nulla.
  • Sulla via centrale di Sciacca: 11 negozi controllati, 10 fuori regola.
  • A Montecarlo risultano residenti 7000 cittadini italiani.
  • Due anni fa era stato dato all'Agenzia delle Entrate il compito di fotografare dall'alto il territorio e di compararlo con le mappe catastali. Risultato: su 66 province sono risultate 2 milioni di case o completamente nascoste al fisco o accatastate come ruderi pur avendo la piscina. Effetto pratico dell'indagine: zero. Non è cambiato nulla.
  • I condoni fatti non solo sono imbarazzanti eticamente, perché creano un'aspettativa di perdono sistematico, ma poi sono anche inutili. Molti condonati non hanno versato nemmeno la cifra per mettersi a posto e si parla di 1 miliardo di euro.
L'evasione fiscale in Italia secondo le stime più prudenti è pari 100 miliardi di euro all'anno. Con questa cifra si potrebbero avere fior di servizi per tutti ma soprattutto per i VERI meno abbienti.
Io voglio pagare più tasse perché voglio che la scuola dei miei figli non sia costretta a mendicare, perché voglio che i pensionati come i miei genitori abbiano tutte le cure gratuite e di qualità di cui hanno bisogno, perché i trasporti pubblici siano più frequenti, le strade più lisce e più pulite, perché il mio comune non sia costretto a rivolgersi ai palazzinari per costruire qualsiasi edificio pubblico.

Intervista a Roberto Ippolito
a Fahrenheit Radio3 e a
Parla con Me Rai3

martedì 10 marzo 2009

Il mio cervello non è riproducibile

Se c'è una cosa che mi fa entrare il nervoso è non ricordare dove ho messo una cosa. "Devi essere più ordinata", mi dico. Da ora in avanti mi ci metto di impegno. "Da ora in poi ogni cosa subito al suo posto", mi riprometto.
Ma qual è il suo posto? Bella domanda! Ci sono cose che ce l'hanno per loro natura: le posate pulite è ovvio che stiano nel cassetto delle posate. Il rendiconto del mese appena trascorso, lo sanno tutti, va nell'inserto "Rendiconti 2009". Fosse tutto così chiaro sarebbe facile. Ma dove mettere i moduli da far compilare agli ospiti stranieri? Mah, direi in questa cartellina, dove ci sono le pratiche degli ospiti ci possono stare anche i moduli. Finché un giorno trovo che è molto più pratico e logico metterli sullo scaffaletto dove ci sono altri moduli tipo quelli delle trasferte. Buona idea: lo scaffaletto dei moduli.
Passa il tempo, neanche tanto, e mi chiedono un modulo per ospiti stranieri: "Certo! Sta qui nella cartellina degli ospiti!". Ed invece non ci sta. "Porca miseria! Dove li ho messi i moduli? Sono sempre stati qui, sono sicura". Imprecazioni varie. Mentre mi arrendo e mi accingo a scaricarli di nuovo dalla rete, ecco che mi casca l'occhio sul cosiddetto "scaffaletto moduli". :-(
Non ce la farò mai ad essere veramente ordinata.
Non ci riesco a seguire tutte le volte lo stesso ragionamento.
Non metterò mai nella stessa cartella lo stesso tipo di file.
Mio marito mi consola dicendomi che questo significa essere più creativi, avere un cervello più elastico, un'intelligenza più completa.
Sarà! Il mio cervello non è riproducibile ma io continuo ad innervosirmi. E voi?

domenica 8 marzo 2009

I nuovi schiavi nelle campagne del Sud

Se pensate che la schiavitù oggi non esista più oppure che sia relegata in lontani paesi non raggiunti dalla civiltà, dovete ricredervi. La schiavitù, cioè "la condizione per cui un individuo rimane privo di tutti i diritti di persona libera" (Wikipedia) o "lo stato di completa sudditanza, che non lascia alcun margine di libertà, di autonomia" (Sapere.it), c'è oggi in Italia e ce lo racconta Alessandro Leogrande nel suo libro "Uomini e caporali: viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud" frutto della sua inchiesta durata un paio di anni nel tavoliere pugliese.
Perché parlare di "schiavitù" e non semplicemente di una dura forma di lavoro salariato? Perché, oltre allo sfruttamento economico (si parla di 10/15 euro al giorno per raccogliere pomodori, patate o uva), ci sono rapporti di violenza brutale tra i caporali e questi lavoratori i quali sono tenuti in cattività in casolari con guardiania armata, fino al pestaggio e alla soppressione di chi si osa ribellarsi.
Si tratta principalmente di disoccupati dell'Est Europa, soprattutto Polacchi, che, essendo stagionali, sono disposti ad accettare condizioni di lavoro e paghe ancora più basse degli Africani che invece hanno interesse a rimanere nel nostro paese. Ciò non toglie che alla fine ci rimangano anche per anni in completa balia dei caporali loro connazionali.
Tale situazione è cominciata a venire alla luce da un allarme lanciato in Polonia su alcune persone scomparse. Una trasmissione televisiva polacca da tempo cerca di rintracciare queste persone.
Nel settembre 2006 l'ambasciata polacca in Italia denunciò la scomparsa in Italia di concittadini che avevano contattato l'ultima volta la propria famiglia dal tavoliere delle Puglie. Inoltre una decina di cadaveri non identificati furono trovati nei campi. Seguì una lunga inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia che ebbe la svolta decisiva però solo quando uno dei caporali fu disponibile a diventare collaboratore di giustizia e permise di ricostruire dall'interno come funziona il meccanismo. Recentemente il processo è arrivato a sentenza con condanna di una ventina di caporali per "riduzione in schiavitù", primo caso di una condanna del genere in Europa.
Leogrande ci spiega che quello scoperto non è l'unico caso di riduzione in schiavitù che purtroppo è diffusa in molte altre parti d'Italia e d'Europa. La sua inchiesta concentrata sul tavoliere pugliese nasce da un interesse per la propria terra che ha visto il fenomeno del caporalato anche agli inizi del Novecento. Tra esso e quello odierno ci sono drammatiche somiglianze anche se in quello precedente c'era la condivisione della stessa comunità che dava un minimo di garanzie.
Purtroppo, al di là dell'intervento della società civile (Caritas, Medici Senza Frontiere, ecc.), Leogrande ha rilevato nei Pugliesi di oggi, magari figli e nipoti dei cafoni di un tempo, una sottovalutazione della gravità del fenomeno, una indifferenza colpevole se non addirittura una strisciante forte xenofobia.

Interviste di Alessandro Leogrande:
Fahrenheit Radio3
Parla con me Rai3.

sabato 7 marzo 2009

Segnalazione all'ultimo tuffo



Ho scoperto solo stamani per caso che domani 8 marzo a tutte le donne ingresso gratuito nei luoghi d’arte statali: musei, monumenti, archivi, biblioteche, siti archeologici.

Al solito la cosa non è stata pubblicizzata....
e pensare che è persino il terzo anno.

Dettagli sul sito del Ministero dei Beni Culturali
.

giovedì 5 marzo 2009

Ben scavato vecchia talpa

Il Co.Re.Com della Toscana ha fatto un sondaggio per capire quanto i Toscani vengano coinvolti nel telemarketing (attività di pubblicizzazione e vendita via telefono). Sono risultate 7 milioni di telefonate ai Toscani in un anno a fronte di 1 milione di numeri di telefonia fissa. Il 40-50% di queste riguarda i servizi di telecomunicazioni con tentativo di stipulare contratti. "Una modalità di marketing molto aggressiva e non prevista dalle leggi", afferma Vincenzo Caciulli, consigliere del Comitato Regionale per le Telecomunicazioni.
Se c'è una cosa che mi irrita sono le telefonate che ricevo a casa con lo scopo di offrirmi qualcosa, come ho già avuto modo di scrivere in un precedente post. Di solito non li faccio nemmeno finire la frase anche se mi dispiace per gli operatori che sono l'anello debole della catena. Inoltre, forse a qualcuno sarà sfuggito, nel decreto cosiddetto "milleproroghe" approvato dal governo è stato inserito un emendamento che permette alle aziende di telemarketing di usare gli elenchi telefonici anteriori al 2005 fino al 31 dicembre 2009.
GRRRR!!!
Grazie alla trasmissione Ben scavato vecchia talpa di Controradio (che potete riascoltare in podcast) ho appreso comunque dell'esistenza del CoReCom, un organismo presente in molte regioni, a cui ci si può rivolgere per far valere i nostri diritti nei confronti delle società di telecomunicazioni. Sul sito dell'Autorità Garante per le Telecomunicazioni trovate le altre sedi regionali del CoReCom.
Se invece il contenzioso ce lo abbiamo con una Pubblica Amministrazione possiamo rivolgerci al Difensore Civico che offre un servizio di tutela gratuito e aperto a tutti i cittadini italiani e stranieri, residenti e non residenti. Quello del Comune di Firenze ha sede in Piazza della Parte Guelfa, 3. I suoi compiti e il suo funzionamento sono stati oggetto di un'altra puntata di Ben scavato vecchia talpa.
Buono a sapersi.

lunedì 2 marzo 2009

Il primo post non si scorda mai

E' curioso e divertente indagare sul primo post degli amici blogger. Essendo un tipo metodico e poco fantasioso, mi è venuto spontaneo pensare al primo post come ad una dichiarazione di intenti, una sorta di programma: Perché scrivere un blog?
E in effetti sono in buona compagnia.

Su questa linea c'è Heike che con il suo "Comunicato numero uno" dichiara "Io faccio un blog perché in ufficio da solo mi annoio" oppure Verrocchio che esordisce con "Manifesto - primo post" ammettendo che "struca struca (come dicono da queste parti), forse cerco anch'io una piccola tribuna da cui sproloquiare in libertà sulle cose che vedo attorno a me".
C'è chi esordisce con ironia come Luposelvatico con un "Ohhhh ancora un altro blog?...:-(
...non se ne sente il bisogno, eh?" e chi invece con una certa preoccupazione come Marco da Londra ("Che ansia il primo post!"), ma è Luca il più preciso di tutti: "Oggi, in data 13 dicembre 2007, alle ore 17.34, ho fondato il mio primo blog."
Unodicinque trae auspici e dice di ispirarsi ad "uno dei blog più divertenti, umani, istruttivi, avvincenti e veri che mi sia capitato di leggere", mentre Nestorburma si dice "stregato dal canto delle sirene del 'blogghismo'" ed elenca scrupolosamente i suoi "Buoni propositi per un blog...(ma NON il blog dei buoni propositi...)".

Poi ci sono quelli che hanno preferito l'accoglienza e immaginato che il primo post dovesse essere un benvenuto.
Dario, nel suo "(ri)comincio da qui", scrive: “Se dovessi passare di qui e ti va di lasciare un commento, mi farà felice.”
Bentornati a tutti quelli che già mi conoscono, e benvenuti a coloro che verranno in futuro”, questo è Lorenzo, che non è alla sua prima esperienza.
"Anch'io faccio parte di voi e non mi sembra vero!", scrive addirittura Annamaria nel suo "Un benvenuto a tutti".

Molti sembrano non dare alcuna importanza al primo post tanto che, non essendoci l’archivio, non si riesce nemmeno a risalirvi oppure l’argomento è del tutto casuale.
Pandoro, per esempio, inizia proponendoci laconicamente un video di Gigi Proietti, Spunto Cattolico una riflessione sul progresso e Rodocrosite un proverbio ottomano.
Anche se talvolta il primo post, dietro l’apparente casualità, rivela un momento particolare o forse la voglia di introdurre qualcosa di nuovo nella propria vita. Ce lo fanno pensare alcune frasi.
"A volte un gesto fatto d'impulso, un gesto fatto in pochi secondi, arriva perché era pronto per arrivare”, scrive Manu, che dedica alla sorella il suo primo post.
La campanella è suonata, la ricreazione è finita ed è ora di mettersi a lavorare", scrive invece Belphagor nel suo "Scusi, ha da accendere ?".
"Perché adesso proprio di un day after si tratta", confessa Frank57, reduce da una delusione d'amore ed Irnerio sceglie di inaugurare il suo blog con il racconto del suo gatto che lo appena lasciato.

Quando conosco un nuovo blogger sono solita andare a leggere il suo primo post pensando di capire immediatamente la persona con cui ho a che fare. Ed invece non si deve avere fretta come ci insegna la saggia Giulia nel suo primo post "Saper guardare oltre": "Bisogna saper aspettare. Bisogna dare il tempo di farsi conoscere."


In collaborazione con Marina