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domenica 24 settembre 2023

Passioni

 


Una di queste sere ho visto il film "Una stagione da ricordare". Non è un gran film ma a me è piaciuto molto perché mi sono entusiasmata durante le scene sulle partite di pallavolo. Improvvisamente, come una madeleine mi sono tornati in mente gli anni della mia giovinezza, tra i sedici e i ventidue anni, quando giocavo a pallavolo. 

Non eravamo una grande squadra, anzi, perdevamo quasi sempre, ma mi divertivo tanto, cioè "divertivo" non è il verbo giusto. Mi dava grandi emozioni: gioia quando facevo punto con una schiacciata (ero martello) ed esplodeva l'esultanza del pubblico e delle compagne, rabbia quando sbagliavo, paura quando andavo alla battuta o quando ero in ricezione, eccitazione quando riuscivamo a "sentire" la partita e ci caricavamo l'una con l'altra. In quegli anni pensavo che mai mai nella mia vita avrei smesso di giocare a pallavolo. Tant'è che continuai anche quando, finita la scuola, cominciai a lavorare, nonostante la stanchezza degli allenamenti serali. Tant'è che, chiusa la squadra, andai a giocare in un'altra ben più lontana da casa mia. Ecco che però, durante quell'ultimo anno, capii che qualcosa si era rotto. Era scattato qualcosa e cominciai ad annoiarmi e a percepire il tutto come un rito. A quel punto l'impegno di tre sere a settimana più la partita nel finesettimana, i viaggi in motorino, soprattutto di inverno col freddo ed il mal tempo, cominciarono a pesarmi. Ma soprattutto la pallavolo non mi dava più sufficienti emozioni per giustificare il sacrificio e smisi. 

Fu la prima volta che capii che una passione, di qualsiasi tipo, è come un fuoco e, come tale, capita che si spenga. Ne ho attraversate altre nella mia vita di varia durata ed intensità di emozione.

Dal 2005 al 2010 ho fatto una quindicina di viaggi a piedi con lo zaino in gruppo e con la guida. Ne ho parlato anche in questo blog. In alcuni di questi ho provato grandi emozioni e alla fine dei viaggi più belli e più riusciti non vedevo l'ora di segnarmi al prossimo tanto che pensavo che avrei fatto tutto il catalogo di quella associazione e poi avrei attinto a quello di un'altra. Poi anche lì è scattata la molla: durante l'ultimo viaggio (che pure mi piacque) percepii una sorta di stanchezza per il rito di fare conoscenza col gruppo, conoscere persone magari anche interessanti ma che sapevo che non avresti visto più (solo con la mia cara amica S. si è sviluppata una vera amicizia che ha vinto il tempo e la distanza). Percepii distintamente che dietro il lavoro della guida c'era sì leggittimamente il guadagno ma che la voglia di alimentare il proprio ego era maggiore di quella di trasmettere ai partecipanti qualcosa in cui si crede (non ultimo la speranza di fugaci avventure). Passione finita.

Dal 2011 al 2016 ho partecipato ad una decina di campi di Libera sulle terre confiscate alla mafia. Anche in quel caso forti emozioni: vedere il coraggio dei lavoratori delle cooperative che sfidano il loro difficile contesto, ascoltare le testimonianze dei parenti delle vittime, imparare tante cose sul lavoro agricolo e sul contatto con la terra (per me, cittadina, elemento alieno) e anche, perché no, il rapporto di me adulta con i giovani ventenni, ascoltarli con umiltà e ammirazione. Poi lo scatto della molla: un campo poco interessante e soprattutto il limite dei 35 anni sancito sul catalogo allo scopo ovviamente di scoraggiare la partecipazione di una ultracinquantenne. Passione finita

Ci sono passioni che purtroppo ho dovuto abbandonare, con grande dispiacere, per questioni di salute: le escursioni in mountain bike nel 2004 che mi causavano problemi alla schiena, i pellegrinaggi a piedi con la mia amica S. a causa della coxartrosi. Per queste la molla non è scattata ma ho dovuto fare buon viso a cattivo gioco.

La mia passione principale da qualche anno, si sarà capito, è il mio podere in Lunigiana. Mi dona emozioni sbirciare su questo pezzo di terra ogni più piccolo cambiamento, ogni cosa che succede ad opera di un essere vivente: un ragno che fa una ragnatela, una piantina spontanea che nasce, il lombrico che migliora il terreno, una pianta che si riprende grazie alle mie cure, una farfalla particolare che si posa su un fiore, un albero che fiorisce, i frutti che maturano. In questi anni la cosa che desidero più di tutti è abitare là e poter assistere tutti i giorni allo spettacolo della natura in questo piccolo impervio pezzo di terra in collina.

Quanto durerà? Scatterà anche per questa la molla? Ne sono certa. Posso solo sperare che avvenga prima che l'età e il fisico mi impediscano di andarci (cosa che sicuramente avverrà). Così non dovrò piangere e rassegnarmi ma semplicemente passare ad un'altra passione. 

Perchè le passioni, cioè quelle attività che ti donano emozioni, sono la benzina della vita. Guai a non averne!

Io in partenza dalla mia casa in campagna dopo quattro settimane


domenica 7 aprile 2019

La Via degli Abati


Interessante ma non entusiasmante il cammino appena concluso: la Via degli Abati, da Broni (PV) a Pontremoli (MS). Il paesaggio appenninico offre bei tratti in boschi solitari con accompagnamento di uno straordinario concerto polifonico di uccellini di tutte le specie. Tuttavia, per noi che frequentiamo queste montagne l'atmosfera non è nuova.
Anche le attrattive storico-religiose sono limitate a Bobbio, con il bel Ponte Gobbo sul Trebbia e il Monastero di San Colombano e all'imponente Castello di Bardi. Il monaco di origine irlandese non ha il fascino che può avere il Poverello di Assisi o San Benedetto, protagonisti dei nostri cammini precendenti.
Ma soprattutto manca da queste parti il calore e la curiosa attenzione della gente che invece è stata una delle cose più belle nei nostri viaggi a piedi tra l'Umbria, il Lazio e l'Abruzzo. Qui al Nord non ti degnano di uno sguardo oppure ti osservano con diffidenza.
Apprezzabile invece (ed è stata la cosa che mi è piaciuta di più) l'ospitalità nelle canoniche, una vera sistemazione da pellegrini, rustica ma accogliente, di cui ringraziamo Don Luigi della Parrocchia di Santa Maria Addolorata di Bardi (grande scalatore di montagne), il simpatico vulcanico Gino, che ci ha aperto l'appartamento della Parrocchia di Sant'Antonino a Borgo Val di Taro nel bel palazzo Molinari, e la loquacissima Michela della canonica di Cervara.
Peccato per i tre giorni di brutto tempo e per le condizioni meteo proibitive che ci hanno fatto addirittura saltare la tappa tra bardi e Borgo Val di Taro.
Al prossimo cammino!

martedì 1 maggio 2018

Cammino di San Benedetto - seconda (e ultima!) parte: da Rocca Sinibalda a Montecassino

Quando, da Madonna delle Grazie, si sale su per il sentiero e si cambia versante della collina, l'Abbazia di Montecassino ci appare inaspettatamente vicina e l'emozione di essere alla fine del cammino è forte.
Duecentocinquanta chilometri circa in dieci tappe (che si aggiungono alle sei fatte lo scorso anno) attraverso il Lazio interno: zaino sulle spalle e bastoncini in mano.
Passando, la gente ti guarda con curiosità divertita: "Bravi!" "Come mi piacerebbe fare come voi!" "Se andate un po' più piano, vengo anch'io!"
Il settantottenne sovrappeso, ex maestro di rafting, fa un pezzo con noi lungo l'Aniene, subito dopo Subiaco, e continua a ripeterci: "Andate pure al passo vostro!" ma si capisce che ha voglia di raccontarsi.
L'ex operaio della Fiat di Cassino, oggi in pensione, ci mostra come taglia l'erba con il trattore sotto i suoi ulivi e ci spiega volentieri la sua nuova attività agricola.
La madre superiora delle Suore della Carità a Pozzaglia Sabina ci accoglie con calore e sottolinea più volte, a me ed alla mia amica, come noi madri facciamo tanto per gli altri.
La formosa vigile dagli occhi azzurri di Guarcino ci mette volentieri il timbro del suo comando sulla credenziale del pellegrino e ci dà i classici consigli di quelli che si sono sempre mossi in auto.
E poi ci sono i preziosi "amici del cammino": ad Orvinio l'infaticabile Simonetta dal sorriso radioso, a Mandela la bruna Marzia, che si rilassa a fine giornata con lo yoga, a Trevi nel Lazio Luisa che ci raccomanda di goderci la bella vista del suo paese dalla torre della Rocca, a Collepardo Giorgio ed Ivana con il loro B&B nello storico palazzo di famiglia ristrutturato ed arredato con estrema cura e gusto e a Roccasecca Tommaso che con lo scooter va a soccorrere altri imprevidenti pellegrini rimasti senz'acqua in una giornata caldissima. Formano una bella rete questi "amici del Cammino di San Benedetto" tenendosi costantemente in contatto e aiutandosi a vicenda allo scopo di salvaguardare e valorizzare il proprio territorio, quei bei borghi tra i Monti Lucretili, Simbruini ed Ernici, che rischiano lo spopolamento.


"Il pellegrino è un ospite prezioso" ci dicono, "un turista discreto, poco esigente, che sa apprezzare la bellezza dei luoghi che attraversa senza rapacità."
Già, i pellegrini. Categoria particolare di viaggiatori: le quattro tedesche che fanno pezzi con il bus, Marisa e Giulio, 160 anni in due, che fanno il cammino per la quarta volta, il vicentino che si sveglia presto ed è sempre avanti e i quattro siculo-bolognesi che invece sono sempre dietro.
Ed infine noi, "i tre toscani" che, a cammino concluso, a pergamena ricevuta, aspettando il bus davanti all'Abbazia di Montecassino non possiamo fare a meno di progettare il prossimo cammino.
D'altra parte, come lessi una volta su un cartello in un bosco: "la vita è una serie di pause tra un cammino e l'altro".

mercoledì 31 gennaio 2018

mercoledì 4 ottobre 2017

La via degli Dei, ovvero tornare a casa a piedi da Bologna

Un cammino che prima o poi volevo fare, ricordando il film "Gita scolastica" di Pupi Avati, e che sono contenta di aver fatto.
Tuttavia non mi ha entusiasmato come altri cammini che ho intrapreso. A parte il fatto che la definizione "via degli Dei" è una trovata fuorviante (dal nome delle cime che il più delle volte neanche si raggiungono), ma soprattutto la parte toscana per me è troppo dietro l'angolo di casa mia. Si attraversano posti quasi familiari, mete da gita fuori porta la domenica, la gente, la parlata, la cultura non mi hanno dato il gusto della scoperta.
Cinque giorni di cammino con tappe da circa 30 km al giorno e dislivelli di tutto rispetto (1200 - 1500 metri).
Alcune cose comunque mi sono piaciute molto: 
  • l'incredibile porticato di San Luca a Bologna che si snoda scenograficamente per quasi 4 km;
  • il solitario parco fluviale lungo il Reno tra Casalecchio e Sasso Marconi;
  • il contrafforte Pliocenico e i torrioni di roccia del Monte Adone (Sasso Marconi);
  • i bei castagni secolari sopra Monzuno;
  • la solitudine e il silenzio dei boschi dell'Appennino tra Madonna dei Fornelli e la Futa;
  • l'atmosfera mattutina dell'operoso Mugello che si sveglia;
  • la vista improvvisa e confortante le Cupolone da Vetta alle Croci
Quanto alle strutture dove abbiamo dormito, sconsiglio vivamente "La casetta di Badolo" (sporca e poco accogliente) e l'Albergo Ristorante il Sergente a Monte di Fo (molto fatiscente), mentre consiglio il confortevole Albergo Ristorante Poli a Madonna dei Fornelli e le accoglienti camere di Giulia (Affittacamere Via degli Dei a San Piero a Sieve). Certo, (ad eccezione di Poli), ricevuta fiscale questa sconosciuta!

lunedì 22 maggio 2017

Cammino di San Benedetto - prima parte: da Norcia a Rocca Sinibalda

L'anziana che abita all'inizio di Monteleone di Spoleto esce per venirci incontro sul sentiero: "Così almeno vedo qualcuno. Sono sempre sola in questa casa!" E ci racconta di quella terribile mattina del 30 ottobre 2016, quando "ballava tutto in modo impressionante! I vicini che gridavano! La casa per fortuna non ha avuto danni, ma è stata una cosa da non credere."
Giusy, che gestisce l'ostello Capisterium a Norcia, ci fa fare il giro e ci mostra le mura della bella cittadina sgretolate in alcuni punti. "Ai miei bambini, per consolarli dal trauma subito, dico che almeno ora Norcia ha guadagnato un nuovo fiume", il Torbidone, riemerso a causa del terremoto
Il sindaco di Leonessa ci accoglie in un ufficio provvisorio perché il Comune è inagibile e, mentre ci mette il timbro sulla credenziale del pellegrino, ci spiega che nel suo paese, più che per i danni agli edifici (per fortuna non gravi), temono il non ritorno dei trentamila turisti che erano qui il 24 agosto 2016.
Valeriana, 93 anni, ci ripete che lei è la più vecchia di Monteleone, mentre la sua amica ottantenne Fernanda ci racconta più volte dei suoi tre figli di cui uno quarantenne che "non ne vuol sape' di sposarsi".
Pierina invece ci accoglie con un tè e una delle suo squisite crostate all'agriturismo il Colle del Capitano, dove a cena ci deliziano con salumi e carni dei loro animali e squisite focacce fatte sul momento dalla padrona di casa.
E ritroviamo anche il sempre affascinante Fra' Renzo del Convento di San Giacomo a Poggio Bustone e l'incontenibile Rita che, con la sua consueta passione, ci spiega la Rieti sotterranea.

Sei delle sedici tappe del Cammino di San Benedetto, da Norcia a Rocca Sinibalda, 100 km a piedi tra l'Umbria e il Lazio.
E cammin facendo, abbiamo lasciato un piccolo semino di speranza nel futuro consumando qualcosa (anche solo un caffè) presso questi esercizi:

Ostello Capisterium, Norcia
Hotel delle Rose, Cascia
Trattoria L'Appennino, Cascia
Gran Caffé Royale, Cascia
Norcineria Vatsyk Ganna, Cascia
Bar La Pergola, Roccaporena
Alimentari Rosati Giulia, Monteleone di Spoleto
Agriturismo Il Colle del Capitano, Monteleone di Spoleto
Bar Pizzeria 45 Giri, Leonessa
Pub Der Lowe, Leonessa
Leo Hotel, Leonessa
Alimentari Agabiti, Leonessa
Bar Il Cappuccino, Leonessa
Convento di San Giacomo, Poggio Bustone
Bar Francescano, Poggio Bustone
La Locanda Francescana, Poggio Bustone
Alimentari Petrangeli, Cantalice
Taverna dei Fabri, Rieti
B&B La Terrazza fioRita, Rieti
Gran Caffè La Lira, Rieti
Agriturismo L'Isoletta, Rocca Sinibalda
Bar La Nuvola, Rocca Sinibalda
Ristorante Pizzeria Antica Posta, Rocca Sinibalda
Bar Un Attimo, Rieti

Qui alcune immagini del viaggio

domenica 29 maggio 2016

Con le ali ai piedi. Seconda parte: dall'Aquila a Pescocostanzo


Daniela, del B&B Terre d'Aveja, antico nome di Fossa, ci racconta dei giorni immediatamente successivi al terremoto del 6 aprile 2009. "Non riparavamo a ringraziare da quanti aiuti abbiamo ricevuto."
Leandro, guida alpina incontrata provvidenzialmente a Tussillo, ci indica una scorciatoia per l'altipiano delle Rocche.
Franco, che ha fatto sette volte il Cammino di Santiago, ci crea sull'istante, nel suo laboratorio incredibilmente incasinato, la traccia gps di una variante molto più bella per la tappa Rocca di Mezzo - Celano.
Gianni, ex chitarrista e singolare oste dell'Osteria degli Artisti di Celano, ci allieta con la sua cucina ruspante e un'ottima compilation.
Giorgio, che per anni ha vissuto a Milano, aspira ora a diventare sindaco della sua Gagliano Aterno e ci mostra desolato le condizioni di abbandono del paese che di inverno conta solo una novantina di abitanti.
Padre Bonavventura, parroco della chiesa di San Giovanni Battista ed Evangelista di Castelvecchio Subequo, ci racconta invece di quando, pochi anni or sono, il sangue delle stimmate di San Francesco, conservato nella sua chiesa, si è  miracolosamente liquefatto. "Le analisi hanno stabilito che si tratta di sangue umano, maschile e di antica data e questo basta."
Elena, del B&B Centro Storico di Raiano, ci dice che grazie al terremoto sono state ristrutturate case che non erano state toccate da trecento anni e ci mostra il palazzo dove Benedetto Croce incontrava la sua amante.
Antonio, impiegato comunale e presidente del CAI di Sulmona, recrimina che non si riesce ad attirare i giovani alla montagna.
Leonardo ci affianca con la sua panda scassatissima quanto i suoi denti e, vedendoci con i nostri zaini e i bastoncini in piena città, ci chiede stupito: "Ma siete italiani?" e, quando sente che siamo toscani, si commuove e ci chiede di salutargli il figlio maresciallo della Finanza a Poppi (AR).
Graziano, oste del ristorante La Terrazza a Pescocostanzo, con la sua parlantina inarrestabile ci saluta dicendoci: "Dirò una preghierina per voi".
E' l'incontro con la gente il valore aggiunto di questo cammino che attraversa a piedi (158 km in otto giorni) la bella terra d'Abruzzo con le sue montagne, i profumi dei fiori multicolori, le mandrie al pascolo e l'aria fina.
Grazie ai miei compagni di viaggio e alla prossima tappa con le ali ai piedi.

Qui le immagini del viaggio;
qui la prima parte del cammino
Di qui passò Francesco: 2010, 2011 e 2012

mercoledì 1 maggio 2013

Con le ali ai piedi. Prima parte: da Rieti a L'Aquila

L'anziana di Poggio Bustone che incrociamo davanti al suo pollaio ci rassicura a suo modo: "Non siete voi che dovete fare penitenza per i vostri peccati. I peccati, ce li hanno quei delinquenti che stanno al governo!"
Il gentilissimo gestore del ristorante di Fiamignano, quando apprende che siamo di Firenze, si prodiga in lodi al nostro Sindaco: "E' forte Renzi! Li ha già rottamati mezzi. Se non lo avessero ostacolato alle primarie, a quest'ora avrebbe fatto piazza pulita di questi qua!"
Il salumiere di Cantalice ci racconta del figlio che lavora in Belgio, mentre il pensionato di Colle Mazzolino ci confessa che usa internet solo per comunicare con il nipote che sta a Londra. La coppia che sta ristrutturando casa a Mareri e che ci fa un sacco di complimenti definendoci "fenomeni" ci racconta con rammarico della figlia che ha voluto studiare antropologia. La signora terremotata di Roio si lamenta del primo caldo che si soffre vivendo ancora nei M.A.P. mentre il presidente della Proloco di Tornimparte ci mostra orgoglioso la bella chiesa di San Panfilo.
Un'Italia di provincia, lontana dal turismo di massa, quella che abbiamo attraversato a piedi destando molta curiosità con i nostri pesanti zaini e i nostri bastoncini ticchettanti. Un'Italia pronta a raccontarsi: si comincia con un saluto, la richiesta di un'informazione, una battuta e poi ci scappa quella piccola preziosa conversazione nella quale si è pronti a tirar fuori ciò che ci preoccupa, le ansie per il futuro, soprattutto per i figli.
Centoquaranta chilometri percorsi a piedi, oltre trenta ore di cammino da Rieti a Poggio Bustone, proseguendo per Cittaducale, Petrella Salto, Borgo San Pietro, Fiamignano nel Cicolano, per poi valicare in Abruzzo a Tornimparte ed infine raggiungere L'Aquila, con il suo centro storico spettrale, che lascia attoniti. Una città fantasma presidiata dai militari.
Trascurabile l'aspetto religioso di questa prima parte del pellegrinaggio per Monte Sant'Angelo, sulle orme di Francesco e Michele. La presenza di San Francesco si fa molto più flebile rispetto all'Umbria (rilevabile solo nell'influsso lasciato su Santa Filippa da Mareri) mentre assente quella dell'Arcangelo Michele, tanto che mi è quasi venuto il sospetto che egli si fosse materializzato nel suo omonimo venticinquenne di Roma, un ragazzo d'oro con il quale abbiamo condiviso molte tappe.
Un cammino sicuramente da continuare appena possibile, affascinante e divertente (un sentito grazie ai miei due compagni!) e abbordabilissimo economicamente (meno di 300 Euro a testa compreso il viaggio).
Alla prossima!

Alcune immagini del cammino
Per saperne di più 
Di qui passò Francesco: 2010, 2011 e 2012

giovedì 25 aprile 2013

Se i Tau continuano, noi li seguiremo



"Un passo con le ali e poco importa che chi lo compie creda o non creda, sia fedele di una religione o no, il pellegrino è sempre un ricercatore, a volte non capìto anche dai più prossimi (ma è così importante essere capiti?) a volte ritenuto uno strano che si gioca le ferie facendosi venire male alle spalle e vesciche ai piedi e magari ignorando la ragione del proprio andare. Uno che si mette in gioco lontano dai luoghi conosciuti, in compagnia o da solo, sempre e comunque solitario nella ricerca. E allora avviene la scoperta, si scopre che la meta è più in là, che si nasconde oltre la meta geografica, ma diviene una nuova partenza."
Angela Maria Serracchioli, Con le ali ai piedi

E chi poteva tenerle ferme quelle due? Soprattutto se a loro si aggiunge un altro pellegrino.

domenica 30 settembre 2012

Il piccolo (si fa per dire) cammino di San Jacopo

Quando all'ultima assemblea del mio quartiere ho sentito la proposta di ripercorrere un antico pellegrinaggio medievale che da Firenze arrivava a Pistoia mi sono subito entusiasmata. Quando però, leggendo il programma, ho visto che si trattava di una quarantina di chilometri da fare a piedi in un solo giorno, mi sono un po' spaventata. Le tappe più lunge del mio cammino di Francesco, fatte tra l'altro dopo aver acquisito un certo allenamento che ora non ho, erano di 28/30 km. Ma so bene che non resisto alle sfide, soprattutto quando si tratta di condividere un'esperienza con altre persone. Infatti sono davvero rimasta stupita dal numero di aspiranti pellegrini che ho trovato all'appuntamento in piazza la mattina alle 6.30. E sono stata ancora più impressionata nel constatare quanti (quasi tutti), giovani e anziani, uomini e donne, con abbigliamento tecnico o con inopportune scarpe cittadine, mantenendo un passo assai veloce (4,8 km all'ora di media), sono arrivati alla meta.

Abbiamo camminato sulle tracce di quegli antichi pellegrini che, non avendo la possibilità di andare a Santiago de Compostela, si accontentavano di fare questo percorso che, da Firenze, passando per Campi Bisenzio, Prato, Agliana, arrivava fino al Duomo di Pistoia dove è conservata una piccola reliquia di San Jacopo. Abbiamo attraversato, come oggi purtroppo è inevitabile in un territorio fortemente antropizzato, zone piuttosto desolate, anonime periferie, fatte di capannoni, rotatorie e rifiuti abbandonati. Però abbiamo percorso anche tratti ameni, soprattutto sugli argini dei fiumi oppure attraversando i numerosi vivai della piana pistoiese (qui alcune immagini).
Tornando a casa la sera con il treno (che ha percorso in 45 minuti la distanza che ci ha visti impegnati per 11 ore), con i piedi e le articolazioni doloranti, mi sono sentita soddisfatta di me stessa, della compagnia e della giornata trascorsa.

venerdì 25 maggio 2012

Il Cammino di Francesco (terza parte)

Dalle Fonti del Clitunno a piedi fino a Spoleto, Romita di Cesi, Collescipoli, Stroncone, Greccio, Rieti, per finire nell'atmosfera magica e solitaria del Sacro Speco di Poggio Bustone: 136 km che sommati a quelli percorsi nei due anni precedenti fanno circa 350 km del Cammino di Francesco.
Abbiamo camminato nella campagna umbra e nel Reatino immerse nella rigogliosa natura che in questo periodo ingaggia una gara di colori e profumi: dalle miriadi di papaveri rossi al giallo delle ginestre, dai delicati ciclamini dei boschi all'intenso caprifoglio, dalle orchidee al biancospino, al cisto rosa e bianco, alle rose di tutti i colori.
Comunque l'Umbria non è solo ombrosi boschi e verdeggianti colline, ma anche la piana della "Manchester italiana", la zona industriale di Terni con i suoi capannoni, il traffico sfrecciante e l'inceneritore.
Abbiamo camminato sotto il sole cocente e sotto la pioggia battente, destando curiosità e compassione nei locali che tante volte ci hanno offerto inutilmente un passaggio in auto: il pellegrino la sua meta se la vuole conquistare a piedi.
Abbiamo fatto incontri speciali come quello con Fra' Bernardino alla Romita di Cesi o quello con i ragazzi della comunità Mondo X o quello con Fra' Renzo del Santuario di San Giacomo.
Abbiamo ripercorso i luoghi toccati dal Poverello d'Assisi cercando di calarsi nel suo spirito e imparando ad eliminare il superfluo, ma su questo vorrei tornare successivamente.
Insomma sono felice di aver vinto la scommessa fatta due anni fa e sono grata alla mia amica S. per il suo entusiasmo coinvolgente e la sua tenacia, dote assai rara. Torno a casa più ricca e orgogliosa della mia credenziale piena dei timbri dei luoghi attraversati.
Intanto Angela Serracchioli ha scritto "Con le ali ai piedi" ed ha segnato il seguito del cammino fino a Monte Sant'Angelo. Che tentazione!

PS Qui alcune foto (anche se non sono le immagini le cose più belle che riporto a casa)

giovedì 17 maggio 2012

Di qui passò Francesco


E di qui speriamo di passare anche noi, riprendendo da Spoleto con un pensiero al mio amico Alessandro che avevo così vicino e che adesso non c'è più.
A presto,
Artemisia

domenica 12 giugno 2011

Aspromonte interno


"Quando vi diranno che l'Aspromonte è piccolo, brullo e brutto, saprete cosa rispondere" ci ha detto Antonio, forestale da quarant'anni, volto segnato dal sole e dalla vita all'aria aperta, camminatore instancabile con un'ascia in una mano e la Nazionale accesa nell'altra. Vive a San Luca Antonio ma appena può scappa dal quel paese inquietante per camminare tra le sue montagne con le quali ha un rapporto quasi carnale.
In effetti l'Aspromonte interno è bello al di là di ogni aspettativa. Rispetto al mio precedente viaggio in questa terra, incentrato più sugli aspetti culturali e soprattutto sull'eredità greco-bizantina, in questo ha prevalso la natura in tutto il suo splendore.
Notevoli i tre giorni nel campo tenda accanto al casello della forestale con il fuoco notturno per tenere lontani i lupi. Di selvaggia bellezza il paesaggio risalendo la Fiumara Buonamico da San Luca al famoso Santuario della Madonna di Polsi. Purtroppo lo Scirocco ha pregiudicato la vista dai quasi duemila metri della cima del Montalto. La Valle Infernale, a dispetto del suo nome, è invece un vero paradiso: boschi dove il pino rosso e quello nero si alternano al faggio, maestose querce millenarie, una marea di ginestre profumatissime, diversi tipi di orchidee, peonie e molti altri fiori, torrenti che scavano la roccia e disegnano suggestive cascate come le Forgiarelle.
Affascinante anche l'escursione intorno alla Pietra Cappa, singolare monolite la cui immagine è tristemente associata al periodo dei sequestri, ed anche quella ad Africo vecchio, paese abbandonato per l'alluvione nel 1951 le cui stradine e architetture si sta recentemente cercando di riportare alla luce dalla rigogliosa vegetazione (per saperne di più: Tra la perduta gente di Umberto Zanotti Bianco e Africo di Corrado Stajano).
Insomma un viaggio magnifico terminato nella rilassante azienda Il Bergamotto ad Amendolea. E' difficile che alla fine di un viaggio, anche se mi ha soddisfatto, provi il desiderio di tornare in quel luogo. Invece, sarà che finalmente sono riuscita a condividere l'esperienza con il mio compagno, saranno state le ottime persone del gruppo, sarà l'impeccabile professionalità di Andrea, mi è stato proprio difficile staccarmi dall'Aspromonte e non vedo l'ora di tornarci. Iamunindi!


Qui alcune immagini del viaggio e qui il sito di Naturaliter nel caso vi venisse voglia di andare in Aspromonte.

Altri post sui miei viaggi a piedi:
Perché fare un viaggio a piedi?
I misteri dei tufi etruschi
Uno dei "salotti buoni" del pianeta Terra
Di ritorno dal Parco Nazionale d'Abruzzo
Engadina
Corsica Mare e Monti
Di ritorno dalla Val Maira
Il sentiero dell'Inglese (Aspromonte)
Il Cammino di Francesco (prima parte)
Sulcis Iglesiente
Dalle Alpi Marittime si vede il mare
Il Cammino di Francesco (seconda parte)

domenica 27 febbraio 2011

Il Cammino di Francesco (seconda parte)


"In uno dei più freddi inverni della sua giovinezza, San Francesco si allontanò da Assisi, e, forse senza aver mai progettato un viaggio di qualche importanza o significato, finì per percorrere la strada per Gubbio." Così esordiscono i cartelli disseminati sul Sentiero della Pace.
In una delle più fredde settimane del tiepido inverno 2010-2011, due ostinate madri di famiglia hanno percorso circa 125 chilometri a piedi tra Pietralunga e Campello sul Clitunno, con uno zaino di 9-10 kg sulle spalle, accompagnate da un bel sole condito da sferzate di vento gelido proveniente dalle steppe russe. Cosa le ha spinte a fare questo pellegrinaggio? Un po' per onorare il proposito di continuare il Cammino di Francesco iniziato l'anno scorso, un po' la voglia di mettersi alla prova.
Durante i primi due giorni lo zaino è una presenza odiosa che preme sulle spalle e sulle ossa del bacino. Alla fine del secondo e terzo giorno i dolori alle gambe si fanno sentire e la meta, come il Castello di Biscina in vista là all'orizzonte tanto vicino che sembra di toccarlo, sembra non arrivare mai. Non a caso si comincia vagamente ad accennare ad un ipotetico bus che ci faccia risparmiare il tratto Valfabbrica-Assisi. Ma il pulman non c'è e passo dopo passo, al ritmo dei bastoncini che battono sul terreno, ci ritroviamo al tramonto davanti alla Basilica di San Francesco e questo momento ci ripaga della fatica e ci congratuliamo reciprocamente.
D'altra parte dal quarto giorno lo zaino non lo senti più, le gambe vanno da sole e ti sembra che, se non fosse per gli impegni familiari e lavorativi, potresti arrivare anche a Gerusalemme come ha fatto San Francesco.
Gli Umbri ci guardano con un sorrisino tra l'incredulo e il divertito, specialmente quando chiediamo il timbro da mettere sulla credenziale o quanto manca a piedi ad una certa meta. E d'altra parte chi si muove sempre in auto non può capire la sensazione di vedere lentamente definirsi il profilo di un paese, prima molto vago in lontananza e solo dopo ore ben dettagliato (sensazione provata solo quando navigavo in barca a vela in gioventù).
Come è difficile per noi che viviamo una vita frenetica e stressante, capire la scelta delle due francescane che ci accolgono con calore all'Eremo di Campello per una vita di silenzio e preghiera in un posto bellissimo nella sua scarna semplicità.
Mi è dispiaciuto non riuscire, a causa degli orari dei mezzi per il rientro, a terminare l'ultima tappa fino a Spoleto, come ci eravamo riproposte. In ogni caso stiamo già progettando la terza parte del cammino.

Qui alcune immagini del cammino.

sabato 4 settembre 2010

Dalle Alpi Marittime si vede il mare


Aspre, rocciose, solitarie e poco note, le Alpi Marittime non sono affatto prive di fascino. Dimenticate le malghe, le mucche al pascolo, i boschi e i sentierini confortevoli di altre zone alpine. Lì dominano i valloni di detriti dal meraviglioso silenzio assordante costellati da nevai e piccoli laghetti dai colori incredibili. La fatica della salita su massi e ciottoli di tutte le forme e dimensioni è compensata in cima al valico dalla vista che spazia fino alla Costa Azzurra.
Mi ci voleva proprio questo breve trekking da rifugio a rifugio intorno al Massiccio dell'Argentera. Almeno una volta l'anno sento proprio il bisogno del silenzio e dell'aria delle montagne vere, di spaziare con lo sguardo sopra le vette aguzze che si stagliano sul cielo terso, di fare scorta di quell'aria fina da ricordare nelle nebbiose giornate cittadine che mi aspettano.
E poi sono contenta di aver condiviso finalmente un viaggio con il mio compagno sperimentando (per fortuna positivamente) il fatto di aver lasciato i ragazzi da soli a casa. Abbiamo incontrato davvero poche persone e abbiamo avuto una gran fortuna con il tempo. Cosa volere di più?

Alcune foto del viaggio e la traccia GPS del percorso.


Altri post sui miei viaggi a piedi:
Perché fare un viaggio a piedi?
I misteri dei tufi etruschi
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Il sentiero dell'Inglese (Aspromonte)
Il Cammino di Francesco
Sulcis Iglesiente

domenica 16 maggio 2010

Sulcis Iglesiente


Cosa porto con me di ritorno da questo viaggio a piedi nella Sardegna Sud-Occidentale? Un paio di centinaia di foto fatte nel vano tentativo di catturare la luce, i colori, i profumi e i ricordi. Qualche paginetta di appunti sul mio taccuino dove ho infilato qualche fogliolina di mirto e un fiore di lavanda selvatica. Qualche depliant sui posti che ho visto. Le pabassinas e le pardulas (dolcetti) di Fluminimaggiore. Alcuni momenti che, come per tutti i viaggi a piedi che ho fatto, mi rimarranno particolarmente impressi nella mente. In questo caso il tratto tra Portoscuso e Porto Paglia percorso in silenzio calpestando rocce antiche di milioni di anni, rocce scure scolpite dal vento, rocce a picco su un mare a tratti turchese a tratti blu cobalto, rocce che c'erano da prima, prima dei profumati cespugli di ramerino, di elicrisio, di ginestra nana e di cisto, prima delle straordinarie distese di Fichi degli Ottentotti dai bei fiori fucsia e gialli, prima delle ciminiere di Porto Vesme visibili in lontananza.
Ma da questo viaggio mi porto anche le strette di mano dei Sardi che ho incontrato, i loro sguardi, le loro storie, i loro progetti. Gente che sta cercando un'identità dopo che la pagina di fatica e di ricchezza delle miniere è stata chiusa, gente che, per non scappare dalla propria isola, sta inventandosi un futuro scommettendo su un'idea.
Come Marco dell'agriturismo Golfo di Palmas, il ragazzo dai bei riccioli arrabbiato per i mille ostacoli che incontra e che spera in una qualche "rivoluzione" che cambi le cose. Come Silvana, dal timido sorriso, che ci ha preparato un ottimo Cascà, il couscous portato a Calasetta dai coloni tabarchini. Come Luca, tecnico delle saline di Sant'Antioco, che ci spiega con composto orgoglio come fanno lui e i suoi colleghi a fornire di sale mezza Europa. Come Paola, che con altre donne porta avanti il progetto Domusamigas, ospitalità diffusa ed ecosostenibile. Come Tiziana che, al Tempio di Antas, propone con altre tre socie l'idea di un turismo che non sia fatto solo di belle spiagge. Come Pietro, ex minatore ora tecnico dell'IGEA, che ci ha raccontato come il primo sciopero generale d'Italia sia stato proclamato nel 1904 in solidarietà dei minatori sardi uccisi dalla polizia a Buggerru. E come Paolo che ci ha offerto il buonissimo latte di capra per colazione (oltre a tutti gli altri prodotti della sua azienda).
La vita di un uomo non è niente: qualche centimetro che allunga una stalattite, ci ha insegnato il coinvolgente Ubaldo nella grotta di Su Mannau. Eppure la passione, le speranze, le delusioni delle persone non sono cosa da poco. Alla fine è questa riflessione che mi porto a casa dal Sulcis Iglesiente.

Qui alcune foto del viaggio.

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Il Cammino di Francesco

martedì 6 aprile 2010

Il Cammino di Francesco (prima parte)


Suor Priscilla, al Santuario de La Verna, ha insistito per regalare ad ognuna di noi tre una copia di un librettino dal titolo "Camminare è già pregare". Ho accettato poco convinta ed invece la lettura di questo libretto mi ha dato spunti interessanti la sera mentre, alla fine di ogni tappa, riposavo i piedi doloranti.

"Il pellegrino, a differenza del turista, porta con sé l'essenziale, non può andare troppo carico, né preoccuparsi troppo del domani; non vive nella dispersione o nell'agitazione, ma è amico della provvisorietà, del silenzio e della meraviglia, come Francesco."

Quattro giorni sul Cammino di Francesco, da La Verna a Pietralunga, quattro lunghe tappe all'insegna dell'essenzialità. L'incredibile Eremo di Cerbaiolo, dove il dolce Giancarlo si sente solo da quando Chiara è ricoverata in ospedale. Il frate dalla bella barba bianca che all'Eremo di Montecasale ha avuto compassione di noi e ci ha dato da mangiare e da dormire. Il ragazzo che ci ha raccolto con la sua Panda vecchiotta e che ha risparmiato gli ultimi chilometri per Città di Castello ai nostri piedi che non ne potevano più. La caccia al timbro più bello da far mettere sulla nostra credenziale del pellegrino. I pasti frugali e quello buonissimo l'ultima sera a Pietralunga. Volevamo arrivare a Gubbio ma non c'è stato abbastanza tempo. Sarà per la prossima volta perché questo cammino lo vogliamo davvero completare.
"Chi cammina non resta deluso, chi cammina riceve, chi cammina si apre ad inaspettati orizzonti di bene, perché il cammino è incontro, è uscire da se stessi per far posto alla vita."
Così è scritto sul libretto di Suor Priscilla. Alla prossima tappa dunque.


Qualche foto del cammino.

PS Grazie di cuore alla mia amica S. che, con la sua tenacia, mi ha coinvolto in questo viaggio.

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Il sentiero dell'Inglese (Aspromonte)

sabato 3 ottobre 2009

Il sentiero dell'Inglese (Aspromonte)

"Il nome Calabria in se stesso ha non poco di romantico. Nessun'altra provincia del Regno di Napoli stimola tale interesse o ispira tanto ancor prima di avervi messo piede."
Così comincia il "Diario di un viaggio a piedi" che il pittore Edward Lear compì dal 25 luglio al 5 settembre 1847 lungo le impervie vie delle montagne dell'Aspromonte. Al contrario di Lear, la Calabria non mi aveva mai ispirato perché temevo che fosse ormai irreparabilmente vittima dello scempio paesaggistico dovuto alla edificazione selvaggia. Invece dopo questo viaggio a piedi nell'area grecanica del Parco Nazionale dell'Aspromonte ho dovuto ricredermi.
A parte che l'Aspromonte è ricco di vegetazione e di suggestivi paesaggi, un fascino particolare ce l'ha la fiumara Amendolea, una striscia di pietre bianche che serpeggia dalle strette gole dell'interno fino al mare. La fiumara sembra dotata di imprevedibile volontà: oggi scorre in un punto, domani potrebbe scomparire del tutto, il giorno dopo scorre su un altro tracciato ed un altro ancora esonda e distrugge i coltivi che nel frattempo gli uomini hanno creato approfittando del suo fertile limo.

Un'altra cosa che ho trovato molto interessante è l'esile sopravvivenza del grecanico, un greco antico corrotto tramandato nella popolazione di quest'area dai tempi della Magna Grecia, rinforzato nel periodo bizantino insieme al rito ortodosso, per essere successivamente osteggiato e declassato a lingua di pastori e contadini. Grazie all'isolamento di questi luoghi ed alla loro economia chiusa, questa lingua si è tramandata per secoli oralmente (infatti utilizza caratteri latini) fino alla seconda guerra mondiale. Successivamente stava quasi per scomparire del tutto finchè, recentemente, è stata dichiarata minoranza linguistica e si sta quindi un po' recuperando.
Ad Amendolea abbiamo seguito un'avvincente spiegazione di Ugo Sergi, gestore dell'azienda agrituristica Il Bergamotto. Dagli anni novanta Ugo ha infatti ripreso l'attività di suo padre, coltivando, con metodo biologico, questa misteriosa pianta che cresce solo in questa fascia dal microclima particolare e che contiene ben 350 componenti chimici tra i quali uno potentemente fotosensibile.
Ma il valore aggiunto di questo viaggio è la passione con la quale Andrea Laurenzano e i suoi compagni della cooperativa Naturaliter ti guidano per questa loro terra e te la raccontano, permettendo a chi vive in una città del Nord, come me, di assaporare i prodotti locali, di conoscere la gente che si ostina a vivere in questi paesi sperduti e di apprezzare la loro squisita ospitalità mediterranea.
Queste attività che, tra mille difficoltà, coniugano lavoro e valorizzazione del territorio, sviluppo e attenzione all'ambiente, rappresentano una vera scommessa. Una scommessa che dopo tredici anni pare essere vincente, anzi, come dicono Andrea ed Ugo: "nu miracolo".

Album con immagini del viaggio


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martedì 25 agosto 2009

Di ritorno dalla Valle Maira

Per anni territorio di esercitazioni militari, la Valle Maira si sta aprendo al turismo solo negli ultimi anni. Le sue montagne, i suoi panorami, i suoi scenari non hanno niente da invidiare, secondo me, alle valli alpine più note, ma dalla sua ha il fatto di essere ancora poco frequentata. In tutta la settimana, pur essendo in pieno agosto, abbiamo incontrato solo qualche escursionista o ciclista tedesco.
La cosiddetta identità occitana mi è parsa una trovata turistica per dare un tocco originale ai posti tappa ("locande occitane") o al sentiero segnato in giallo ("percorso occitano"). A quanto ho capito non c'è molto che unisce i pochi abitanti dei numerosi borghi di questa valle con i provenzali di là dalle Alpi. Piuttosto ci sono delle tradizioni valligiane che si riscontrano nelle case dai tetti di ardesia e con la stalla sotto le stanze per avere più caldo, nella vita semplice improntata all'autosufficienza a causa dell'isolamento invernale, nel progressivo spopolamento degli ultimi decenni.
Ricatapultata nell'afa e nello smog cittadino, provo a chiudere gli occhi ed a rievocare l'aria sottile e il cielo terso, lo spettacolo a 360 gradi dalla vetta del Monte Cassorso (2776 m), il silenzio dell'Altopiano della Gardetta rotto dai fischi delle marmotte, il caleidoscopio di farfalle sulla fioritura di menta.


Altre immagini del mio viaggio a piedi in Val Maira.

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