venerdì 27 settembre 2013

Refusi, vista, età pensionabile

Con questo post chiedo venia per i refusi passati, presenti, ma soprattutto futuri!
I refusi (errori di battitura) mi hanno sempre dato fastidio. Purtroppo mi accorgo di seminarli a più non posso nei post e questo mi secca moltissimo. A parte che il correttore automatico di Blogger non mi funziona (e non ho capito perché), più che altro mi rendo conto che è una questione di vista. Ahi, quanto  mi scoccia ammettere che ci vedo sempre peggio! E gli occhiali stenopeici (vedi questo post) che continuo ad usare non mantengono la promessa recuperare l'elasticità dell'occhio. Sono troppo testona per arrendermi ed inforcare un bel paio di lenti +1 (o forse anche +1,5).
Insomma non accetto di invecchiare, come non accetto di diventare meno lucida e più smemorata. Eppure mi rendo conto che anche sul lavoro perdo colpi e mi chiedo, visto che ho scoperto che il traguardo della pensione si allontana sempre di più (ho letto che si parla di portarlo a 70 anni!) quanto potrò essere ancora utile al mio ente e alla società nel 2025 quando avrò 63 anni o addirittura nel 2032 quando ne avrò 70? Ammesso e non concesso che ci arrivi, che se ne faranno di una ipovedente, ipoudente e rincoglionita?

lunedì 23 settembre 2013

Orgoglio ferroviario

Daniele ha la faccia da bambino ma credo che si avvicini alla quarantina. Ci dice infatti di essere "il più vecchio tra i giovani" e di lavorare per le ferrovie da vent'anni. Ha una voce bella e tonante Daniele, ma soprattutto una passione immensa per il suo lavoro e per il mondo dei treni, una passione che gli fa brillare gli occhi mentre ci spiega pezzo per pezzo, passaggio per passaggio le lavorazioni che vengono fatte alle Officine Manutenzione Carrozze di Trenitalia all'Osmannoro (Firenze).
Il mondo delle ferrovie è così vasto e affascinante che il viaggiatore neanche si immagina. "Se si fosse a Santa Maria Novella vi potrei raccontare un monte di altre cose" dice Daniele. Ci mostra i macchinari che controllano lo stato dei carrelli, delle ruote, delle molle, l'impianto elettrico delle carrozze, quello di apertura e chiusura delle porte, il reparto verniciatura, quello di falegnameria, la cabina del macchinista, e ci illustra i controlli per verificare la sicurezza assicurandoci che sono rigorosissimi. "Perché sopra ci viaggiano le persone" ripete più volte. "Per la manutenzione della metropolitana di New York vengono da noi ad imparare."
L'Officina Manutenzione Carrozze all'Osmannoro nasce nel 2009 dal trasferimento della storica (cioè  risalente all'epoca granducale) Officina Grandi Riparazioni che sorgeva a Porta al Prato, accanto alla Stazione Leopolda. L'Officina G.R. fu bombardata il 2 maggio 1944, quando vi perirono 14 operai che stavano lavorando, e fu ricostruita con tenacia dai ferrovieri, molti dei quali avevano fatto la Resistenza (come il mio carissimo presidente della sezione ANPI). "Eravamo una comunità" dice Renzo Manni del Comitato "Storia e Memoria" delle Officine che ha curato l'evento di sabato. "Eravamo invidiati da tanti. Era l'officina più vecchia d'Italia e per alcuni andava chiusa." Infatti i ferrovieri in tuta blu (questo il titolo del libro di Marco Da Vela presentato sabato che riporta le loro testimonianze) hanno lottato strenuamente perché l'Officina non chiudesse ma fosse trasferita all'Osmannoro (estrema periferia di Firenze). Una scommessa orgogliosamente vinta anche se, come ci dice un dirigente di Trenitalia, oggi l'officina potrebbe sfruttare molto di più il suo potenziale e i suoi macchinari all'avanguardia. Marco Da Vela si commuove quando ricorda che nell'Officina di Porta al Prato "il problema di uno era il problema di tutti". 
Lo storico Alfonso Maurizio Iacono ricorda l'errore fatto negli anni Sessanta di pensare che l'auto avrebbe sostituito il treno e mette in guardia sul pericolo di perdita della memoria indotto dai mezzi di comunicazione grazie ai quali "tutto ciò che accade oggi schiaccia e fa dimenticare il passato". La memoria non è il semplice ricordo, dice Iacono, ma coscienza del mutamento, guardare il futuro con la consapevolezza del passato ed è questa la battaglia mitilitante di oggi. Tant'è che Marco Da Vela ha dedicato il suo libro:
... a mia figlia Beatrice
e a tutti i giovani come lei,
perché ricordare è resistere.

sabato 21 settembre 2013

Dante pop, che passione!

Se fatta non fui a viver come un bruto, se la mia loquela mi fa manifesta di quella nobil patria natia, se il vituperio delle genti (ahime) ormai si applica non solo a Pisa ma a tutto il bel paese ove il sì suona, quanto mi sono goduta tuttavia la lettura e la spiegazione di Roberto Benigni dell'Inferno dantesco nei miei viaggi in bus di questa settimana!
Ho appena sentito definire tale operazione "pedagogica, rassicurante e retorica". E' vero. Benigni spesso è retorico e rassicurante. Talvolta mi risulta anche un po' pesante quando insiste nelle giullarate o nei superlativi. Tuttavia, se non fosse stato per lui, la mia conoscenza della Divina Commedia sarebbe rimasta per me limitata ai primi cinque canti dell'Inferno studiati a scuola sedici anni. Non mi sarei mai sognata di rimettermi a leggere Dante. Grandi dibattiti sul cosiddetto Dante Pop, come in una puntata di Fahrenheit che ho sentito quest'estate, sul quale taluni esperti storgono il naso. E' vero che l'approccio di Benigni è superficiale ed emotivo, però mi ha aiutato a capire anche la bellezza dei versi, la scelta delle parole in base al loro suono, l'uso di immagini talvolta anche quotidiane e umili come in questa metafora:

Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
nel tempo che colui che 'l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,
come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov' e' vendemmia e ara:
di tante fiamme tutta risplendea
l'ottava bolgia, sì com' io m'accorsi
tosto che fui là 've 'l fondo parea.

Che c'è di male? 
Penso che Dante, scelto come il Manzoni dei Promessi Sposi dal legislatore post-risorgimentale come uno degli autori che hanno fatto l'Italia, sconti il fatto di essere letto e studiato coercitivamente in un'età (nel triennio delle superiori) in cui si hanno altre cose per la testa, non si è in grado di apprezzarlo e forse nemmeno di capirlo. Tant'è che l'insegnante di mio figlio maggiore non lo fa studiare perché lo ritiente troppo "grande" per essere ingabbiato nei programmi scolastici. Giusto? Sbagliato? Non so.

Comunque sia ho trovato il Dante di Benigni davvero godibile proprio perché semplice e coinvolgente ed è stato anche un pizzico esaltante per me fiorentina sentire versi come:

Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande
che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande!

Non mi rimane che passare al Purgatorio.

domenica 15 settembre 2013

Marciando per i diritti tra Agliana e Quarrata

Radié (Radia) Resch è il nome di una bambina Palestinese, morta di polmonite mentre era in attesa di una vera casa; con la famiglia infatti viveva in una grotta a Betlemme. 
La Rete Radié Resch è una associazione di solidarietà internazionale fondata nel 1964 dal giornalista Ettore Masina, su ispirazione del prete operaio francese Paul Gauthier. L'associazione si occupa di progetti a favore del Sud del Mondo (il primo fu appunto quello di finanziare la costruzione di case per alcune famiglie Palestinesi).

Tutti gli anni, la Rete Radié Resch di Quarrata, paese in provincia di Pistoia, organizza una marcia circa 7 km, per ribadire la necessità di giustizia sociale e di diritti per tutti e da diversi anni mi ripromettevo di parteciparvi. Ieri finalmente, grazie anche alle sollecitazioni di alcuni compagni del campo a Sessa Aurunca, ho partecipato.
Partiti poco prima dell'imbrunire da Agliana, dopo un piccolo ristoro a circa metà percorso con acqua e brigidini, siamo arrivati intorno alle 21 nella piazza di Quarrata. Gli interventi dal palco si sono aperti con il videosaluto di Moni Ovadia e la lettura del messaggio della ministra Kyenge, impegnata negli USA. Wuer Kaixi, leader della protesta di Piazza Tienanmen, ha ricordato che la libertà è come l'aria: ci ricordiamo della sua importanza quando ci manca. Benedetta Tobagi ha sottolineato l'importanza del diritto ad un lavoro dignitosamente retribuito sancito dall'articolo 36 della Costituzione (e sempre di più disatteso) ed ha invitato a leggere la rivista online Articolo36.it. Mi ha colpito quando Gherardo Colombo ha ricordato che i diritti vanno di pari passo con i doveri, tra i quali quello di pagare le tasse, seguito da un timido accenno di applauso smosciato subito dal silenzio della stragrande maggioranza del pubblico. Lungo e fumoso l'intervento della teologa Antonietta Potente che ha assopito i presenti svegliati subito dopo bruscamente dalla voce tonante di Don Ciotti. "E' vent'anni che facciamo questa marcia e ci diciamo sempre le stesse cose!" ha esordito. Ha proseguito citando episodi di piccoli furti per fame, annunciando il lancio della campagna Miseria ladra, e, come sempre, ha sottolineato la responsabilità di ciascuno di fare la propria parte, di metterci la faccia e non solo belle parole. Mi ha fatto piacere apprendere che le proteste per la messa all'asta dell'azienda di Suvignano hanno portato ad una sospensione dell'asta. Segno che qualche volta farsi sentire serve.
Un serata piacevole anche se, in tutta sincerità, analogamente alla Marcia della Pace Perugia Assisi a cui partecipai un paio di anni fa, mi sfugge il senso di questo tipo di manifestazioni che sono di testimonianza più che di protesta. Tanto di cappello a chi si impegna in questi progetti di solidarietà, ma io personalemente, oltre che inserire il mio misero contributo nella scatola della raccolta dei fondi, vorrei poter fare di più per la giustizia, per la salvaguardia dei diritti e contro le disuguaglianze.

Qui alcune foto della marcia


mercoledì 11 settembre 2013

Le bambine non vanno a scuola

Malala, pakistana di Mingora, oggi ha 16 anni. Quando ne aveva 15, mentre tornava da scuola sul pulmino con altre compagne, ha subito un attacco dei Talebani che l'hanno ferita alla testa. Essi hanno rivendicato l'attentato dichiarando che Malala è il simbolo degli infedeli e dell'oscenità. Oggi vive nel Regno Unito in attesa di un nuovo intervento chirugico. Malala e le sue compagne sono bambine che per studiare, per crescere, per esistere sfidano l'oscurantismo criminale dei Talebani, la follia che vuole impedire alle ragazze l'istruzione perché le tenebre sarebbero più sante della luce. Le amiche di Malala continuano ad andare a scuola ma scortate.
Tutto questo è raccontato nel bel documentario di Lucia Goracci "Le bambine non vanno a scuola" andato in onda quest'estate (a tarda notte) su RAI3 per la serie DOC3 a cura di Alessandro Robecchi.
Nel febbraio del 2009 Malala e la sua famiglia (il padre è preside in un istituto femminile) fuggono dalla loro città dove i terroristi avevano cominciato a far saltare le scuole. "I Talebani sono come la mafia" dichiara Malala "possono aspettare degli anni ma prima o poi te la fanno pagare. Andavo a scuola con lo zaino sotto il velo a causa delle minacce ricevute. Alla vigilia dell'attentato molte ragazze avevano già rinunciato per paura."
Nel documentario vengono intervistate due amiche di Malala che erano con lei sul pulmino e che furono anch'esse ferite ma che sono rimaste in Pakistan: Kainat e Shazia. Da allora la loro vita è un incubo e non solo per il ricordo di quel giorno. A Mingora le chiamano "le Malala dimenticate" perché, mentre lei vive protetta in U.K., loro sono rimaste qui. Kainat vive praticamente reclusa in casa dove il giorno sembra non finire mai. I Talebani proibiscono persino di vaccinare i bambini perché lo considerano "veleno imperialista". Gli attentatori del bus sono ancora liberi. "Voglio lasciare questa vita che è come una prigione" dice Kainat "ed andare in un luogo dove io sia libera di recuperare i miei sogni."
Anche Shazia va a scuola scortata da un poliziotto. La preside le tiene chiuse alle telecamere di tutto il mondo per prudenza. Il padre di Shazia fa il fornaio. "Avrei potuto tenerla in negozio e sorvegliarla continuamente" dice. "Ma voglio che tutti i miei figli vadano a scuola. L'istruzione è vita."
"Ho paura" confessa Shazia "ma non possiamo lasciare che la paura prenda il sopravvento. Intendiamo essere un esempio e incoraggiare le altre bambine pakistane. Se la paura comincia a prevalere, che aiuto potremo dare alla prossima generazione?" Si noti che si tratta di una adolescente di sedici anni!
Nel documentario si mostra un liceo pubblico dove studiano e insegnano 500 donne. Un bersaglio facile che quindi deve essere protetto dai soldati. Si vede inoltre una classe di 136 alunni seduti in terra perché non si hanno banchi sufficienti. La preside ha ricevuto molte minacce. I Talebani sono dappertutto, chiunque può tradirti e possono attaccare in qualsiasi momento. Si racconta infine di una maestra di 41 anni, madre di tre figli, uccisa dai Talebani. Il marito ricorda come ella prendesse le minacce per maldicenze e dicesse "L'istruzione è un mio dovere." In un'altra scuola, il giorno dei risultati scolastici del quadrimestre hanno sparato dentro l'edificio ed hanno ucciso il preside e una studentessa.
"Non rinuncerò ad andare a scuola" dichiara Malala che spesso viene intervistata in televisione e che è candidata al Nobel per la Pace. "La mia scuola sarà ovunque!"
Dedicato alle ragazze e ai ragazzi toscani che, come mio figlio, oggi tornano a scuola perché apprezzino questa grande risorsa.

venerdì 6 settembre 2013

Torchiarolo: le operaie salentine e i pensionati dello SPI CGIL

Torchiarolo, 30 agosto 2013

Il disco rosso appena sopra l'orizzonte apre la nostra giornata: buon giorno Puglia! Il tempo asciutto e ventilato ci assicura un'altra mattinata di vendemmia finalizzata alla produzione di passito da Negroamaro. In realtà il nostro compito consiste nel fare da assistenti alle cinque operaie addette alla vendemmia medesima. Come sono belle queste donne, quasi tutte bene in carne, con i loro cappellini dai quali spunta la coda di cavallo, con i loro portaoggetti cuciti in casa legati alla vita! Mi ha sempre colpito come le donne appena stanno insieme riescano a raccontarsi di sé anche se non si conoscono affatto. Così in poco tempo, dallo scambio di ricette si passa al racconto delle loro preoccupazioni per i figli, avuti tutti in giovanissima età, del lavoro che manca, al racconto dei loro parti, della fatica di lavorare sui campi ma “sia ringraziato Dio” che oggi almeno la giornata si guadagna, dei loro anni trascorsi in Germania a seguito del marito emigrato. Allora tocchi con mano la distanza che ci può essere tra il tuo destino di impiegata pubblica con media istruzione abitante al Nord e queste donne, ti vengono in mente le scartoffie che ti aspettano in ufficio e ti rendi conto che Concetta, Antonella, Enza, Giovanna e Vanda te le porterai nel cuore con il loro sorriso e il loro incomprensibile dialetto salentino.

Un campo interessante ma non entusiasmante quest'ultimo a Torchiarolo. Le cose che ho apprezzato maggiormente sono state la bella villa Santa Barbara, l'aria fresca e piacevole, il cielo terso e il lavoro agricolo che mi ha fatto sentire davvero partecipe ai prodotti della cooperativa Terre di Puglia (consorzio Libera Terra). La cosiddetta "formazione", cioè l'incontro con protagonisti dell'antimafia locale, è stata un po' carente. Sulla mafia pugliese torno a casa sapendone quanto priama. Ma soprattutto un campo abbastanza anomalo per quanto riguarda i compagni: invece di trovarmi solitaria tra ventenni, ho convissuto con ben otto pensionati dello SPI CGIL tra i 65 e i 70 anni, oltre ad una giovane campista ventenne ed alle tre coordinatrici. L'interazione con e tra questi anziani 24 ore su 24, condividendo due bagni in diciassette, i pasti, le pulizie, ecc. non è stata facile, come si poteva prevedere anche se, tutto sommato, è andata bene, grazie al fatto che erano tutte fondamentalmente persone simpatiche e alla mano.
Invecchiare mantenendo elasticità mentale e spirito di adattamento non è affatto facile e necessita di continuo esercizio (e difatti è proprio questo uno dei motivi per cui partecipo a questi campi). E' noto che invecchiando si diventa testardi e indisciplinati. Si può immaginare la fatica delle povere tre giovani coordinatrici.

Qui un piccolo racconto fotografico del campo