sabato 30 novembre 2013

Ma perché dovrei essere antifascista?

Perché l'antifascismo, la difesa della democrazia e della Costituzione repubblicana non affascinano i giovani? Come è possibile che una democrazia così giovane abbia smarrito i germi dell'antifascismo, del senso democratico, del senso delle istituzioni? Dove abbiamo sbagliato come educatori?
Sono le domande che ci pone Raffaele Mantegazza, docente di pedagogia interculturale all'Università Bicocca di Milano, intervenuto ad un convegno dell'ANPI dal titolo "Neofascismo e neonazismo: un problema politico, culturale, educativo - Quali i rischi per i nostri giovani? Come prevenirli?", che consiglio caldamente di rivedere qui.
Raffaele Mantegazza, con la sua simpatia e il suo tono coinvolgente, fa porre ad alcuni giovani cinque domande che egli ha individuato come le più frequenti quando va nelle scuole a parlare di antifascismo, di resistenza e di Costituzione.

- Continuate a parlare di Resistenza, di fascismo, di nazismo e dite che di queste cose dovremmo interessarci. Ma come possono interessarci cose accadute più di mezzo secolo fa? Che cosa c'entrano con le nostre vite?

Mantegazza cita i Philadelphia 76ers, una squadra di pallacanestro che si rifa nel suo nome alla dichiarazione di indipendenza, firmata proprio in tale città nel 1776, e ricorda un giovane tifoso di 14 anni il quale gli aveva saputo spiegare con orgoglio il motivo storico di quel nome. Il pedagogista continua citando la polisportiva Maccabi di Tel Aviv che si richiama alla rivolta anti Impero Romano avvenuta nel 150 a.C. I giovani tifosi di questa squadra sanno perfettamente che il nome di essa si riferisce a tale episodio glorioso. Il problema quindi non è il fatto che siano passati 70 anni (che non sono nulla a confronto dei duemila dei Maccabei), quanto che non siamo riusciti a fare dell'antifascismo e della resistenza un mito fondativo, una narrazione eccitante che tocchi gli adolescenti nelle loro dimensioni vitali, nella loro musica, nel loro modo di vestire, ecc.. L'antifascismo e la resistenza sono diventati probabilmente un rituale ed una liturgia un po' polverosa che non riesce a toccare le coscienze giovanili, ad apparire come qualcosa per cui ne va delle loro vite di adesso.
Forse, prosegue Mantegazza, non abbiamo raccontato abbastanza storie di singole persone, non siamo riusciti a far capire loro che la resistenza l'hanno fatta dei ragazzi della loro età, che non avevano nessuna voglia di andare in montagna, che avrebbero preferito passare i pomeriggi con le loro fidanzate o a giocare a pallone. I ragazzi potrebbero cercare allora nella storia studiata con emozione le radici del loro star male di oggi.

- Voi dite di essere democratici e che la democrazia garantisce a ciascuno la possibilità di dire la propria opinione.  Ma allora perché non volete che i neofascisti esprimano un loro movimento e organizzino sfilate? 

Per spiegare ai giovani che il partito fascista non è un partito come tutti  gli altri, Raffaele Mantegazza suggerisce di fare l'esempio di una partita di pallone tra ragazzi. Essere democratici significa far partecipare alla partita tutti, indipendentemente da quale squadra tifano, dalle diverse abilità, dalle eventuali difficoltà fisiche, ecc. Ma se un ragazzino vuol giocare toccando la palla con le mani e rifiutando la regola di base di giocare con i piedi, allora non lo possiamo accettare perché rifiuta la base stessa del gioco. 
Un partito fascista è un partito che per sua struttura non accetta le regole democratiche e questo non si può permettere. Chi sistematicamente vuole attentare alla Costituzione, non può entrare in Parlamento. I neofascisti chiedono spazio per le loro manifestazioni a quelle istituzioni democratiche che essi stessi non riconoscono.  Qualsiasi sistema si deve autodifendere rispetto a chi vuole minarne le basi. 
Bisogna spiegarlo ai ragazzi ma poi la "partita" bisogna giocarla davvero, cioè dare loro modo di contare qualcosa, di poter dire la loro. Se vogliamo che i ragazzi si innamorino della democrazia essa deve funzionare insieme a loro. "Io rispetto la regola di giocare solo con i piedi, ma poi, la palla, la passi anche a me altrimenti è una presa di giro, altrimenti hanno ragione quelli là a voler distruggere il gioco."

- Vi definite antifascisti, ma perché oltre ad essere "anti" qualcosa, non siete anche "pro" qualcos'altro? Dovete per forza avere sempre degli avversari?

Ci sono parole, dice il pedagogista, che abbiamo smesso di pronunciare: fascismo, resistenza, sciopero. Al di là delle definizioni storico politiche, fascista è chi legittima la violenza del forte sul debole senza che ve ne sia motivo. Chi è più forte ha tutti i diritti di fare violenza sul più debole senza che debba rendere conto a nessuno.
I resistenti avevano in mente ben tre modelli di società (social-comunista, cattolica e liberale), avevano comunque in mente una società futura. Quello che manca oggi è proprio l'idea di una società futura. L'antifascismo va presentato ai giovani di oggi anche in relazione a quale società vogliamo costruire. Invece, purtroppo, passiamo ai ragazzi l'idea che è normale che ci siano le guerre, che ci sia la violenza, che ci sia un certo margine di sfruttamento dei deboli, che un giovane faccia il precario fino a 40 anni, ecc. Se noi continuamo a spacciare questo mondo, con le sue ingiustizie sempre più grandi, come una cosa normale, rischiamo di non dimostrarci affatto antifascisti. Senza un'idea di società (tre, addirittura) la resistenza non avrebbe avuto la forza morale, etica e civile di opporsi al nazismo.

- I nazisti e i fascisti saranno anche violenti ma sono forti, belli, grandi. Le loro bandiere, i loro simboli comunicano grandezza, potenza, potere. Voi avete la faccia da sfigati, da perdenti. Mi fate tristezza.

Perché se pensiamo al guerrigliero nazista, abbiamo in mente un marcantonio, mentre se pensiamo al pacifista ci viene in mente uno sfigato, trasandato e spettinato? Dobbiamo comunicare la positività del rispettare le regole, per esempio, di fermarsi al semaforo rosso (ma non perché altrimenti becco la multa, bensì perché permetto a pedoni e ciclisti di attraversare in tranquillità). Non abbiamo saputo trasmettere ai ragazzi quanto sia bello lottare per la libertà e per la giustizia. I giovani partigiani convivevano con la paura e con la preoccupazione  per la famiglia lasciata a casa, ma anche con l'emozione e con la scarica di adrenalina che provavano combattendo. Perché ci siamo fatti rubare dai neofascisti motti come "Non ti rassegnare, ribellati" o miti come Che Guevara o persino la parola rivoluzione, che era della sinistra? "La bellezza dei giovani," dice Mantegazza procurandomi un moto di commozione, "è la loro freschezza, la loro possibilità di credere ancora per qualcosa, nonostante che li abbiamo presi in giro per secoli. Diamo loro cose positive, diamo loro l'idea che comunque che questo mondo non è la soluzione definitiva all'avventura umana sulla terra."

- Lei dice di essere un prof democratico. Ma se scrivo sul tema che non sono d'accordo con lei, lei mi dà 4?

Il ragazzo che fa una domanda del genere è un ragazzo intelligente e dimostra spirito critico. E' chiaro che vuole sfidarci ma, se il tema è scritto in ottimo italiano, gli va dato otto, salvo dopo semmai discutere con lui apertamente e tranquillamente del contenuto. Stiamo attenti, noi adulti, a non educare all'omologazione, bensì ad accettare lo spirito critico, a creare persone inquiete, persone dissenzienti, che non accettano le verità calate dall'alto. Attenti ai dogmi intoccabili che abbiamo. Attenti ad una gestione davvero democratica delle nostre riunioni. Attenti all'uso del linguaggio, a non cadere nel maschilismo e nella violenza, per esempio, criticando un politico di parte avversaria per i suoi difetti fisici e non per le cose che fa. 

Alle domande di cui sopra non abbiamo saputo dare risposte credibili o forse abbiamo dato risposte troppo schematiche e superficiali.
"Abbiamo sbagliato molto," conclude Raffaele Mantegazza, "ma la cosa peggiore è piangersi addosso. Come sinistra abbiamo tutte le energie e la fantasia (che manca alla destra) per creare una nuova narrazione dentro la quale metterci i grandi valori dell'umanità (quelli della Bibbia, del Corano, ecc.) per un mondo in cui la gente possa vivere serenamente e con dignità. Il nome da tornare a dare a questa direzione politica: utopia.

martedì 26 novembre 2013

Purè di vitelotte

Ad un mercatino di Campagna Amica a Torino ho visto queste patate viola che mi hanno subito incuriosito. Il colore insolito non è dovuto a manipolazioni genetiche, ma alla presenza di antocianine (per intendersi quelle che ci sono nei mirtilli, nella buccia delle melanzane, ecc.) A parte il potere antiossidante e antitumorale che lascia il tempo che trova, personalmente sono molto attratta dai cibi con i colori forti. E poi, essendo insieme a mio figlio tifoso viola, non abbiamo resistito a comprarle. 
Ho scoperto che si chiamano vitelotte, o patate nere (non viola) o patate tartufo, e che si cucinano negli stessi modi delle patate classiche. Il sapore è abbastanza equivalente; la consistenza un po' farinosa le rende adatte a fare gnocchetti. Non avendo voglia nè tempo di farli, le ho provate lesse (mescolate con quelle gialle e un po' di prezzemolo fanno un bell'effetto cromatico), fritte a chip (ad occhi chiusi non le distingui dalle classiche) ed infine in purè, sempre mescolandone qualcuna gialla. Eccolo qua:




Anche in questo caso il sapore non si distingue da un purè di patata classica, però fa molta scena.

sabato 23 novembre 2013

Accendere un fuoco dentro ogni alunno

Le rappresentanti dei genitori al consiglio di classe di mio figlio (quarta liceo scientifico) scrivono sul resoconto: "Durante questa discussione è emerso ancora una volta che, in generale, a parere dei docenti la classe ha un atteggiamento di non entusiasmo per lo studio, per la voglia di sapere. Studiano per i compiti o per le interrogazioni."
E come meravigliarsi? Non sono uno di quei genitori che si erge sempre e comunque a difesa del proprio figlio o che si permette di interferire nel lavoro degli insegnanti, per esempio (come fanno molti) protestando perchè vengono dati troppi compiti a casa. Tuttavia se c'è una cosa che chiederei agli insegnanti è proprio la capacità di suscitare nei ragazzi l'interesse, e possibilmente l'entusiasmo, per ciò che insegnano. Mi pare che sia proprio quello che distingue un insegnante mediocre, che si limita a fare il suo lavoro di impiegato dello Stato, da uno bravo che riesce a trasmettere curiosità e/o passione per il sapere in genere. Mi sbaglio?
Me lo conferma  Eraldo Affinati, autore del libro "Elogio del ripetente" ed ospite a Pane quotidiano, la nuova trasmissione di RAI3 condotta da Concita De Gregorio, che ha più che egregiamente sostituito Corrado Augias.
Eraldo Affinati insegna da trent'anni all'Istituto Professionale Carlo Cattaneo, situato dentro la Città dei Ragazzi, un'esperienza educativa formidabile, nata subito dopo la seconda guerra mondiale con l'idea di accogliere gli orfani e oggi popolata da una sessantina ragazzi stranieri, i cosiddetti Minori Non Accompagnati (ne parlai in questo vecchio post).
"Sono sempre stato attirato dalle ultime ruote del carro, dai ragazzi ribelli e difficili," dice Affinati. "I ragazzi arrivano da noi come se fosse l'ultima spiaggia. Se falliranno, abbandoneranno per sempre la scuola. Bisogna quindi conquistare la fiducia di questi ragazzi, che nella loro vita hanno avuto a che fare con adulti poco credibili che li hanno ingannati."
Affinati ammette di essere stato uno studente piuttosto riottoso e per questo capisce la solitudine e l'indisciplina dei suoi studenti. "Insegnare significa anche scendere dentro noi stessi. Nei propri panni e nei loro panni. A casa mia non c'erano libri. I miei genitori erano due orfani. In fondo sono diventato scrittore ed insegnante per risarcire i miei genitori della fortuna che non ebbero. Insegnare significa curare una ferita, negli altri e in se stessi. Attraverso la cura che io faccio oggi ad Ivan, a Karim, ad Omar, a Gianni o a Claudio è come se curassi anche me stesso."
Secondo Eraldo Affinati bisogna distinguere il 6 di Giorgio, cresciuto con la mamma che gli raccontava le favole, in una casa piena di libri, dal 6 di Claudio cresciuto sul muretto di strada e che equivale ad un 9. Quello che conta è il progresso che un ragazzo fa.
A proposito di importanza della famiglia di origine, mi è venuto in mente un articolo di qualche tempo fa che mi aveva colpito, secondo il quale, anche sulla base di numerose ricerche, il destino scolastico degli alunni delle medie è sempre di più segnato dalle loro origini sociali, delle quali non portano alcuna responsabilità. Tutto ciò in un sistema di istruzione secondaria diviso per indirizzi ben distinti tra loro e dove la scelta della “filiera” (generalista, accademica e professionale) avviene tra i 13 e i 14 anni, un’età in cui l’influenza dei genitori è ancora forte.
E ha ragione Concita De Gregorio quando afferma che la scuola fabbrica delle risposte da imparare prima ancora delle domande, mentre si cresce proprio ponendosi delle domande e cercandone la risposta. 
Ambedue concordano che Don Milani, e in particolare Lettera ad un professoressa, è stato molto equivocato ed è stato visto come padre dell'egalitarismo indifferenziato mentre invece era molto selettivo, ma voleva tirare fuori da ciascun ragazzo la sua individualità. 
La scuola italiana di oggi invece è troppo legata al voto che certifica i risultati mentre il lavoro dell'insegnante è basato sul rapporto umano. Nei consigli di classe spesso i numeri prevalgono sull'anima delle persone. E mentre gli insegnanti di mio figlio lamentano lo scarso entusiasmo dei ragazzi, Affinati, pur comprendendo la solitudine del docente in classe, attribuisce tuttavia proprio a quest'ultimo il compito di "accendere un fuoco dentro ogni adolescente e farlo divampare senza paura che provochi una passione." Come si fa? Sentendosi coinvolti, disposti a mettersi in gioco, ad esporsi, anche a ferirsi, condividendo con i ragazzi i loro sconforti, stando insieme nella loro notte senza perdere la luce del ritorno.

lunedì 18 novembre 2013

Assaggio autunnale di Torino

Seconda tappa del tour fra le città italiane che ci siamo ripromessi di fare insieme a mio figlio: Torino, bella città con le sue diritte vie dai nomi sabaudi, con i negozi dalle insegne storiche, con gli eleganti palazzi che ricordano la Francia. Quella sua aria così europea e così poco italiana, ci ha proprio affascinato, complice il sole di sabato che indorava le foglie multicolori degli alberi.
Ci è piaciuto il museo del cinema, il turbinìo di ragazzi che ravvivano via Po e Piazza Vittorio Veneto  il sabato sera, l'allegro entusiasmo dei partecipanti alla maratona che trottavano per le vie del centro domenica mattina e la bella mostra su Renoir alla Galleria di Arte Moderna
Ci siamo gustati la cena nella trattoria tipica Cantine Barbaroux ed il pranzo koscher al ristorante della Sinagoga.
Alla prossima tappa. 

Riaperta a Firenze la bottega di Libera


Venerdì scorso inaugurazione della nuova bottega di Libera a Firenze a cura della neonata associazione La disciplina della terra 2.0. Una bella sfida (la bottega aveva tentato un paio di volte l'apertura naufragata per motivi organizzativi) iniziata con una serata in cui tante persone, ma soprattutto giovani, si sono accalcate nel piccolo locale. Da domani pomeriggio la bottega sarà aperta in via Fiesolana 6r tutti i pomeriggi da martedì al venerdì e tutto il giorno il sabato.
Auguro con tutto il cuore a questi ragazzi, pieni di entusiasmo e di voglia di fare, di riuscire a vedere decollare il loro sogno e cercherò anch'io di aiutare dando un pochino del mio tempo. Lo devo anche alle ottime persone che ho conosciuto ai campi e i cui volti vedo inevitabilmente associati dietro i prodotti di Libera.


mercoledì 13 novembre 2013

Chi sta in fila e chi si defila

Quando sono stanca e ho voglia di vedere qualcosa di poco impegnativo, mi godo una puntata del magazine storico "Italia in 4d" (dove il "d" sta per decennio) sempre offerte dall'insuperabile Rai Storia. Si tratta di affreschi della vita quotidiana e della società italiana dagli anni Cinquanta agli Ottanta incentrati su vari temi (economia, costumi sessuali, giustizia, edilizia, motorizzazione, calcio, ecc.). Brani di inchieste di quegli anni e interviste divertenti che talvolta mi riportano alla mente cose che facevano parte della mia vita di quando ero fanciulla.
Una puntata carina che ho visto di recente si intitolava "Chi sta in fila e chi si defila - Fisco e burocrazia dagli anni '50 agli anni '80" (rivedibile su YouTube), un viaggio in quattro decenni tra la burocrazia e il fisco.
"Noi apparteniamo alla burocrazia" diceva Giulio Macchi nel suo reportage La cortina di vetro del 1959.  "Possiamo venire al mondo pieni di fiato e di vigore ma, finché l'accidente non viene registrato, è come se non fossimo neanche nati. Poi per tutto il corso della nostra esistenza non potremmo andare a scuola, innamorarci e formare una famiglia, trovare un lavoro, esercitare una professione, guidare un'automobile, farci ricoverare all'ospedale, ricevere una pensione se non attraverso un cumulo di certificati, documenti, fotografie formato tessera, esami, pratiche che talvolta si trascinano per anni accompagnandoci nel nostro fatale declino verso la tomba. E quando finalmente avremmo tirato l'ultimo respiro, se un pubblico ufficiale non provvederà a descrivere nel registro degli atti di morte, noi ufficialmente continueremo a campare in eterno con il nostro bagaglio di diritti e di doveri, splendida conquista della civiltà."
In effetti sono decenni che gli Italiani si mettono in fila, per riscuotere o per pagare o per far valere un qualche diritto, anzi, qualche decennio fa i nostri genitori passavano molto più tempo di noi in fila in un ufficio pubblico. Uno storico intervistato spiega infatti che la macchina dello Stato degli anni Cinquanta era sostanzialmente quella consegnata dal regime fascista, periodo nel quale il partito si era sovrapposto allo Stato, ed era perciò una macchina complessa farraginosa, lentissima e inefficiente.
Per fortuna non devo stare dietro ad uno sportello pubblico (quello che Macchi chiama la cortina di vetro), però anch'io nel mio lavoro mi sorbisco continuamente le lamentele che toccano ai burocrati ("antichi sacerdoti depositari della mistica del modulo"). Meno male che anche nel documentario si sottolinea come l'impiegato sia "un povero diavolo come noi o peggio di noi anche se gli tocca il ruolo del rappresentante di un potere astratto, oscuro, incombente che si chiama burocrazia."
Burocrazia (dal francese bureau, che vuol dire ufficio, e dal greco kratos, potere) è una parola nata male e cresciuta peggio: per molti significa il potere soverchiante dei pubblici uffici, la pesantezza, la complicazione delle formule dei regolamenti e dei meccanismi che regolano uno stato moderno. Come mi suona familiare tutto ciò!
Nel resto della puntata parla si parla di fisco, di evasori, della legge Vanoni, dell'introduzione della denuncia dei redditi e dello scontrino fiscale. Divertente, nella sua attualità, l'intervista al conte Goffredo Manfredi, costruttore,  che aveva denunciato 50.000.000 di lire mentre il fisco gliene contestò 500.000.000 e che aveva proprio lui costruito il palazzo dell'ufficio esattoriale di Roma: "Io che sono additato come l'uomo più ricco d'Italia, e quindi non posso sentire della simpatia per le tasse, sono costretto a vivere in questo palazzetto settecentesco [per l'epoca si vede che la cosa era dispregiativa, N.d.A.] di fronte a quel meraviglioso complesso edilizio destinato ad esattoria comunale di Roma, che io stesso ho costruito e che è considerato uno dei più moderni e funzionali d'Europa."  Ed eccolo qua il meraviglioso complesso edilizio:

venerdì 8 novembre 2013

I conti con la storia


Tema talmente vasto ed importante quello delle guerre e della loro memoria. Il ciclo organizzato dall'Istituto Storico per la Resistenza in Toscana, e di cui mi porto orgogliosamente a casa l'attestato di partecipazione, mi ha lasciato più spunti da approfondire che cose imparate. Alcuni relatori sono stati molto coinvolgenti, altri molto meno. Ma soprattutto il limite del corso è l'aver voluto affrontare nodi cruciali della storia del Novecento condensati in una mezz'oretta ciascuno: dal confronto tra Italia e Germania riguardo alla rielaborazione della memoria sulla seconda guerra mondiale, alla Francia di Vichy, alla guerra in Algeria, alla guerra civile spagnola (di cui sapevo un po' di più grazie ai recenti approfondimenti), alla guerra nei Balcani (di cui non riuscirò mai ad avere le idee chiare vista la complessità di quella regione).
Particolarmente stimolante l'intervento di Stefano Bianchini, esperto di Balcani, il quale ha messo in guardia: ciò che avviene nei Balcani è la spia di ciò che potrebbe avvenire in Europa se il progetto di integrazione fallisse. Già cominciamo a vedere come, con la crisi economica, si stanno rinforzando i nazionalismi e l'odio per l'altro.
E' dura per me uscire dopo cena e attraversare la città affrontando la stanchezza e la pioggia. Sono perciò contenta che la mia passione per la storia (e la compagnia della mia dolce metà) mi abbiano fatto vincere la pigrizia.

lunedì 4 novembre 2013

Secondo finesettimana all'oasi

"Sono orgoglioso di presentarvi il mio piccolo bosco." ci dice Pino, volontario dell'oasi WWF di Focognano. "Questo piccolo gruppo di querce, che oggi sono appena più alte di me, sono state piantate da me circa venti anni fa in questo fazzoletto di terra. Poter dire oggi che sto all'ombra di questo piccolo bosco, dove qualche uccellino la scorsa primavera ha persino fatto il nido, mi riempie di orgoglio. Sarebbe bello che anche ciascuno di voi riuscisse a fare una piccola cosa come questa."
Secondo appuntamento del corso annuale all'Oasi WWF di Focognano. Un fine settimana di lavoro all'aria aperta, tra persone simpatiche e imparando diverse cose su piante e animali.
Con Pino abbiamo travasato piccole piante di: acero campestre, biancospino, melo fiorentino, ligustro, sanguinella, olmo campestre, susino selvatico, salice, sambuco. Abbiamo inoltre seminato e messo a dimora: acero minore, biancospino, fusaggine o berretta del prete, rosa canina.
Con Carlo abbiamo fatto il censimento degli uccelli attualmente presenti negli stagni: folaghe, tuffetti, un airone bianco maggiore, germani, qualche svasso maggiore, taccole, mestolone, moriglione, garzette, aironi guardabuoi.
E mentre ero intenta a travasare piantine, mi ha fatto visita una graziosa raganella.