sabato 30 ottobre 2010

Alieni su Rai 3

Come mi ero ripromessa quest'estate ascoltando l'intervista a Piero Dorfles, ho cominciato a seguire la trasmissione "Per un pugno di libri" che va in onda su RAI3 la domenica alle 18 (orario tabù per i patiti del calcio). In passato ne avevo visto qualche frammento distrattamente e invece l'ho trovata interessante, garbata e anche divertente. Non sono un'appassionata di quiz. Trovo un po' banali quelli tipo "Chi vuol esser milionario?", che vede anche mio figlio. "Per un pugno di libri" è diverso perché i concorrenti sono intere classi di ragazzi dalla scuole di tutta Italia (Nord e Sud, città e provincia, con esiti per nulla scontati), perché le domande hanno come oggetto libri e soprattutto perché in palio non ci sono soldi ma proprio libri, oggetti i quali vengono considerati dalla gran parte degli Italiani (lo dicono le statistiche) utili al massimo come zeppa da mettere sotto i mobili barcollanti.
Come mamma di due adolescenti, sono piacevolmente stupita dai concorrenti. Ragazzi e ragazze che sarebbero bollati subito come secchioni dall'entourage dei miei figli ma che a me invece fanno rimanere a bocca aperta per come sanno rispondere alle domande, alcune facili ma altre che richiedono una certa cultura che gli adolescenti di mia conoscenza si sognano. Sono davvero mosche bianche? Sono marziani? Eppure hanno l'aspetto di normalissimi ragazzi di oggi. Sembrano anche loro fatti di carne, ossa, jeans, gel e brufoli.
Per favore, ditemi che ce ne sono tanti di giovani così!

mercoledì 27 ottobre 2010

Vegetariana fallita

Giorni or sono mi cade l'occhio su un titolo di Repubblica online: "Il vegetariano si converte: la carne fa bene al pianeta". Gulp! Mi sono sentita un po' tirata in causa ripensando al mio percorso da aspirante vegetariana del 2007, al quasi del tutto vegetariana del 2009, fino alla condizione odierna di vegetariana fallita.
Nessun pentimento, sia chiaro. Sono ancora convinta che l'eccessivo consumo di carne dei paesi sviluppati sia una jattura per il pianeta (e in particolare per il Sud del mondo). Sono sempre del parere che bisognerebbe demolire il mito della fettina e adottare per la nostra salute un consumo moderato di alimenti di origine animale. Putroppo però la combinazione ciclo mestruale, donazione di sangue e dieta vegetariana mi hanno fatto scendere il livello di ferritina (cioè le scorte di ferro) sotto il livello di guardia. Così ho dovuto prendere delle fiale di ferro e quindi mi sono detta che, piuttosto che intossicarmi con integratori alimentari, è meglio ricominciare a consumare moderatamente un po' di carne (e un po' di pesce).
D'altra parte non vedo perché si debba essere fondamentalisti. Tra chi elimina del tutto alimenti animali e chi mangia la fettina a pranzo e a cena ci sono sicuramente salutari ed ecocompatibili vie di mezzo.

lunedì 25 ottobre 2010

Dietro le quinte de Le Nozze di Figaro

Insolita visita con gli Amici dei Musei sabato scorso al Teatro Comunale di Firenze guidati da Alida Cavallucci, dipendente della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino. La sig.ra Cavallucci ci ha raccontato brevemente la storia del teatro (nato nel 1862 per "smuovere i pigri fiorentini"), ci ha accompagnato negli ambienti riservati agli addetti ai lavori e soprattutto ci ha trasmesso il suo entusiasmo per un mondo straordinario, spiegandoci che, per poter mettere in scena un'opera lirica, è ingrediente necessario la passione che deve animare tutti gli addetti, dall'ultimo macchinista al direttore artistico. Purtroppo non abbiamo potuto vedere il palcoscenico perché stavano montando le scenografie per Le Nozze di Figaro in programma dal 2 novembre prossimo (diretta su Radio3 per chi è interessato).
Pertanto ci siamo aggirati parecchio nei corridoi (piuttosto fatiscenti e trascurati devo dire) lungo i quali erano posteggiati alcuni costumi, grandi bauli e delle grandi scatole di cartone contenenti le parrucche per l'opera di Mozart.
Interessante è stato poter entrare nella sala dove erano in corso le prove del corpo di ballo e vedere questi ballerini dai corpi scolpiti magnificamente, vestiti nei modi più diversi, provare e riprovare i passi. Chissà quante ore e anni di studio per farne un mestiere!
Infine siamo andati in platea dove stava provando l'orchestra diretta dal norvegese Arild Remmereit. Mentre ascoltavo il direttore fare le sue osservazioni in buon italiano ho pensato con una punta di orgoglio che almeno in questo campo la nostra lingua la fa da padrona, segno che nel passato abbiamo avuto anche noi i nostri periodi gloriosi, almeno dal punto di vista artistico (tant'è che, come ho appreso in questa occasione pare il melodramma sia nato proprio a Firenze alla fine del '500).
Dovremmo ricordarcelo più spesso. Come dovrebbe ricordarselo chi ci governa e sta tagliando i fondi al Maggio Musicale (e a tutti gli altri enti lirici), tanto che la programmazione della stagione arriva fino a dicembre e poi c'è un grande punto interrogativo. "Con la cultura non si riempie la pancia" pare abbia detto il ministro Tremonti. Il sospetto è che si voglia lasciare vuote sia la pancia che la testa.

venerdì 22 ottobre 2010

Alla conquista de Le Città Invisibili

La definizione che avevo sentito da uno scrittore a proposito di un'opera letteraria come di qualcosa che "oppone resistenza" calza perfettamente per il libro che ho appena finito di leggere: Le città invisibili di Italo Calvino. Un libro molto particolare e originale. L'ho comprato quest'estate perché mi sono ricordata che l'amico blogger Belphagor (temporaneamente emigrato all'estero ma spero torni presto in rete perché mi manca molto) lo aveva citato come uno dei suoi libri preferiti. In effetti a leggere i pareri su Anobii su quest'opera sembra che essa abbia estasiato tantissimi lettori.
Quando ho cominciato a leggerlo io invece mi sono spaventata perché mi è sembrata una lettura faticosa, piena di significati profondi ma estremamente criptici e che comunque richiede una concentrazione di cui sono notoriamente carente. Si tratta infatti di brevi descrizioni di città (ciascuna con un insolito nome di donna) che Calvino immagina raccontate da Marco Polo a Kublai Khan.
Dopo qualche pagina volevo chiudere il libro e archiviarlo delusa ma, come mi è già successo per altri volumi in passato, ho sentito come se esso mi lanciasse una sfida. E come non raccoglierla? Inoltre, tra i giudizi che ho trovato su Anobii, ho letto qualcuno che consigliava di tenerlo sul comodino e leggerne una città ogni sera. Così ho fatto e inaspettatamente quando ho finito il libro l'ho rivalutato. La fantasia di Calvino nell'immaginare le città è veramente strepitosa: Fedora che ha in ogni stanza di un palazzo una sfera con dentro un modello ideale di essa stessa, Zenobia costruita su altissime palafitte, Armilla fatta solo di tubature d'acqua, rubinetti e zampilli, Valdrada che sorge su un lago e ha la sua gemella riflessa nelle acque di questo, Ottavia città-ragnatela appesa su un precipizio tra due montagne scoscese.
Rimane comunque un libro difficile, a mio avviso, però sono contenta di aver vinto la sua resistenza tanto che voglio riportare qui una delle città che mi è piaciuta di più perché mi sembra una descrizione molto attuale in questo periodo di crisi e di decadenza.

Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti. Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’alto dell’impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: «Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere».

mercoledì 20 ottobre 2010

Capitalism, a love story

Mi sono piaciuti tutti i film di Michael Moore anche se più che film sono inchieste. Mi piacciono perchè mescolano ironia a tragedia, mi piacciono anche perchè, diciamolo, un po' ci si consola nel vedere che anche oltre oceano ci sono tante cose che non vanno e magari si rivaluta un po' la nostra vecchia e malandata Italia. Talvolta, secondo me, Michael Moore cade nel medesimo nostro errore e vede troppo roseo quello che succede nei paesi diversi dal suo.
In ogni caso Capitalism, a love story è un film da vedere sia perchè spiega bene il potere che hanno le grandi banche e la finanza in genere (potere che influenza e domina le istituzioni), sia perchè mostra efficacemente a cosa ha portato l'amore incondizionato degli Americani per il libero mercato e per il profitto a qualsiasi prezzo.
Alcune scene sono un pugno nello stomaco come le interviste ai familiari che hanno perso un parente sul quale l’azienda per cui lavoravano ha messo a loro insaputa un’assicurazione sulla vita (io comunque avrei risparmiato i primi piani sulle lacrime dei figli). Altre sono divertenti come quando il registra si presenta con un furgone blindato e dei sacchi di tela davanti alla sede di Bank of America o di City Bank reclamando "i soldi del popolo americano".
Su Obama mi pare che Moore metta un punto interrogativo mostrando come da un lato le major non si siano fatte problemi a finanziare anche la sua campagna elettorale, dall'altro ha preso posizione a favore dei lavoratori che occupavano la fabbrica reclamando le paghe arretrate.
Un film probabilmente populista e semplicista ma perchè le cose semplici e chiare non devono essere apprezzabili?

lunedì 18 ottobre 2010

Voglia di candore

Da qualche settimana è ripartito uno dei miei programmi preferiti di cui spesso ho parlato in questo blog: Le Storie - Diario Italiano condotto da Corrado Augias, un Augias che ho trovato in gran forma.
Nella sua apertura della prima puntata ha annunciato il progetto che lui e la sua redazione si sono proposti per quest'anno: un viaggio intorno agli Italiani per cercare di capire chi siamo, come siamo diventati e perché siamo diventati così o se invece così lo siamo sempre stati. Con la scusa del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, Augias indossa in ogni puntata sulla giacca una spilla tricolore che vuole essere anche un segnale contro chi fomenta l'odio, gli egoismi e le divisioni (a tale proposito consiglio anche l'ottima puntata di Presa Diretta dal titolo "Fratelli d'Italia" dove si è ben mostrato quanto sia ormai profonda la spaccatura tra Nord e Sud).
Nella puntata di qualche giorno fa è stato ospite di Augias il teologo Vito Mancuso. Ascoltandolo parlare di "uscita da se stessi per acquistare la capacità di guardare le cose con gli occhi degli altri", di "sincerità come fondamento della vita spirituale", di religione come collante di pace tra i popoli anziché di motivo di divisione, di persone sensibili di tutte le fedi che sentono di dover portare in se stesse anche le altre religioni, ho pensato che ho bisogno di sentire persone così.
"Professor Mancuso, credo che lei sia un candido." gli ha detto Augias con "franca amicizia", "E il candore in questa società non è tollerato."
"Se essere candido significa tentare di essere sinceri fino in fondo con se stessi, allora è proprio quello che tento di fare", ha risposto il teologo.
Da qualche tempo attraverso un periodo in cui non ce la faccio più a prestare orecchio a chi, pur con ottime ragioni, mi indica quanto le cose vanno male. Ho bisogno di persone positive, persone miti, persone dolci come Mancuso ma anche come Massimo Gramellini che scrive i suoi editoriali su La Stampa con pacata ironia, buon senso e sobrietà. Gramellini che, anche lui con candore, racconta a Fahrenheit come ha fatto i conti con il dolore e la rabbia di aver perso la madre da bambino.
Sento il bisogno di ascoltare persone così. Credo che aggiornerò la mia lista salvagente.

sabato 16 ottobre 2010

Libertà è partecipazione

Oggi con il cuore sono a Roma:


Non potendo esserci fisicamente, mi accontento di partecipare a questo convegno:




Ore 16: sala strapiena, non si entra. Mi rimane la diretta in streaming. Peccato!

giovedì 14 ottobre 2010

Protesta funzionale al ministro

So che suona irriverente pensarlo, ma, come d'autunno cadono le foglie, così in questa stagione si occupano le scuole. La protesta che gli studenti stanno portando avanti in questi giorni, pur partendo da motivazioni sacrosante, suona purtroppo come rito stanco. Basti notare il silenzio assordante dei media.
Anche il liceo dei miei figli è occupato. Sabato scorso hanno fatto un'assemblea dove la mozione a favore dell'occupazione con blocco della didattica (l'alternativa era l'autogestione con possibilità per chi voleva di andare in classe) ha vinto di pochissimi voti.
Da un lato li posso capire: chi come mio figlio piccolo è passato quest'anno al liceo vede di buon occhio l'idea di una insperata settimana "libera" mentre a chi gli anni passati ha occupato facendo parte della "truppa" non pare vero quest'anno di vestire i panni dei leader.
In realtà, secondo quanto mi raccontano i miei figli, a scuola in questi giorni c'è una piccola minoranza di ragazzi che passano il tempo leggendo gli articoli di giornale e giocando a carte (per tacere su altre attività meno presentabili). La maggior parte, come i miei, ne approfitta per dormire di più la mattina. Ha senso tutto questo? A volte mi sento un po' matusa e mi faccio delle remore ad esternare tali dubbi. Oggi però ho letto il comunicato che la sezione CGIL del liceo (quindi alcuni loro insegnanti) ha divulgato e mi sono rincuorata perché riporta proprio quello che pensavo io con qualche elemento in più su cui riflettere.
Dopo un preambolo in cui si ribadisce la forte critica e preoccupazione per l'attacco alla scuola pubblica da parte dell'attuale governo, il comunicato prosegue:

Purtroppo invece anche quest’anno nel nostro liceo si ripete un rito stanco e deresponsabilizzato, quale l’occupazione, che soddisfa un bisogno di socializzazione, di contrapposizione al mondo adulto, di autonomia adolescente, che però non sa produrre altro che un ribellismo incapace di confronto, non solo coi lavoratori della scuola, ma anche tra gli stessi studenti. La prima assemblea di sabato 9 ottobre ha infatti visto gli studenti spaccati a metà tra favorevoli all’autogestione e fautori dell’occupazione con blocco della didattica ed addirittura dell’accesso. Dopo una conta, che ha visto prevalere di misura la seconda posizione, nonostante la disponibilità al dialogo manifestata dalla dirigenza e da alcuni insegnanti, un gruppo di studenti ha preferito andare allo scontro con insegnanti ed ATA e, a suon di spintoni, occupare l’edificio. [...]
Questo tipo di protesta chiude tutti in un angolo ed è funzionale al ministro, che ha così la possibilità di dimostrare quanto sia tollerante nei confronti degli oppositori, ma anche quanta pochezza ci sia nelle proteste degli studenti. Il non prenderle neppure in considerazione, da parte delle forze dell’ordine e degli uffici scolasti regionali, va messo a confronto con la violenza istituzionale usata invece per sciogliere pacifiche manifestazioni di cittadini o lavoratori, magari anche autorizzate.

La Gelmini sa infatti che, lasciata sfogare la protesta di questa settimana, tutto tornerà come prima, con le assemblee d’istituto da 20 studenti, consigli d’istituto senza rappresentanti degli alunni, mai nessuna richiesta di discutere di ciò che sta accadendo. Tutto questo da anni impedisce anche lo sviluppo di un movimento di vera opposizione che faccia crescere la consapevolezza culturale, politica e civile nelle nuove generazioni.
In questo senso va anche interpretata la “tolleranza” delle istituzioni verso le occupazioni e la relativa interruzione di pubblico servizio, in un momento in cui, invece, ben altre risposte hanno avuto pacifiche manifestazioni civili e sindacali, sciolte a manganellate.

martedì 12 ottobre 2010

Un tetto per tutti

Ascoltando l'intervista che Claudio Fantoni, Assessore alla Casa del Comune di Firenze, ha rilasciato a Controradio, sono giunta alla conclusione che il diritto alla casa sia, insieme al diritto al lavoro, un tema sul quale veramente dovremmo fare la rivoluzione. Devo dire che riguardo al lavoro ci sono aspetti che non mi fanno essere "egalitaria" fino in fondo. Per esempio temo l'appiattimento e credo nel merito, cioè, fermo restando la necessità di trovare un meccanismo equo per determinarlo, credo che la società dovrebbe premiare i più bravi soprattutto se sono anche quelli che si impegnano di più. Riguardo alla casa invece mi sento proprio comunista e penso che non andrebbe lasciata, se non in piccola parte, al libero mercato.
Ha ragione Domenico Guarino, il giornalista che ha condotto l'intervista, quando afferma che "oggi la casa è diventata un moloch intorno al quale si costruisce la fortuna o la disgrazia di un'esistenza (mutuo trentennale o casa di proprietà, possibilità di pagare un affitto o sfratto sulla testa)".
L'intervista offre spunti interessanti. Perché le cosiddette "case popolari" devono essere per forza brutte? Chi l'ha detto che lo spazio da offrire a chi ha bisogno debba essere un casermone buttato in una periferia cittadina? Perché non fare un intervento come quello che il Comune di Firenze ha fatto nel complesso dell'ex carcere delle Murate?
Fantoni però è molto chiaro: le case popolari non si fanno con i soldi del Comune, né a Firenze, né altrove. Se il governo non destina i fondi all'edilizia sociale il problema non si risolve. Basta pensare che l'Italia ha una media di affitti sociali del 4% contro paesi come l'Olanda che destinano a questo scopo il 34% del patrimonio complessivo.
Nell'intervista si affrontano anche temi delicati come il doppio fenomeno della morosità: accanto ai "professionisti della morosità" ("veri farabutti", li chiama Fantoni), cioè chi si installa in una casa di piccoli proprietari e dopo un paio di mesi non paga più, dall'altra parte ci sono persone che fanno il massimo sforzo possibile per pagare l'affitto ma finiscono in morosità perché non ce la fanno, perché i canoni sono troppo alti e il loro reddito troppo basso.
Ribadisco che questo tema smuove la comunista sopita che c'è in me. Hai soldi? Benissimo, ti compri una bella villa, un castello, dei magnifici appartamenti per i tuoi figli e stop. Non dovrebbe essere permesso di speculare sopra le case o di affittarle a nero stipandoci studenti o di tenerle sfitte.
A ciascuno dovrebbe essere garantito un tetto sulla testa.

sabato 9 ottobre 2010

NoTav, grazie


La mia carissima amica R mi manda spesso avvisi di iniziative promosse dal movimento NoTav di Firenze e io mi sento in colpa perché finora non ce l'ho mai fatta partecipare alle loro assemblee. Sono contenta quindi di essere riuscita ad andare alla manifestazione contro il sottoattraversamento di Firenze che si è svolta questo pomeriggio per le vie del centro.
E' difficile e faticoso capire tutti i risvolti di questo progetto, i costi, le implicazioni legali, i rischi e le conseguenze ambientali, strutturali, idrogeologiche, ecc. E difatti mi pare che la maggior parte dei Fiorentini sia indifferente, forse fatalista o fiduciosa nella buona sorte. Ma anche facendo una bella tara degli scenari apocalittici che vengono dipinti da quelli del comitato, anche volendo considerarli dei catastrofisti, ci sono delle cose che balzano agli occhi: questo tunnel di 7 km che attraverserà il sottosuolo di Firenze con annessa megastazione è un'opera costosissima e inutile. A chi giova? Ai businessmen che guadagneranno qualche minuto su una linea destinata solo a chi se la può permettere? Alle solite imprese ormai tristemente note per tutt'Italia che si arricchiranno ulteriormente?
Un'opera costosa, inutile e probabilmente anche dannosa.


Sul blog del comitato NoTav Firenze tutte le informazioni compreso il progetto alternativo di superficie (troppo economico per essere accettato).

Qui qualche foto della manifestazione di oggi.

mercoledì 6 ottobre 2010

Vita al cronometro

Ore 16:30, varco la soglia di casa di ritorno dall'ufficio. Ho solo un'oretta di tempo prima di andare in palestra. La prima cosa che faccio è lanciare un paio di urli in direzione dei miei figli (al piano di sopra davanti al loro inseparabile PC): uno dei due ha lasciato le scarpe davanti alla porta di casa, un altro non ha finito di sparecchiare la tavola e qualcun altro (sempre "l'altro") non ha pulito i fornelli. Dieci minuti vanno via prima di convincerli ad interrompere il loro videogioco e venire a finire il lavoro che avrebbe dovuto essere già completato. Poi metto a scaldare l'acqua per il tè che trangugio con una merenda un po' più sostanziosa del mio quasi inesistente pranzo. Nel frattempo metto sul fuoco i fagioli che ho ammollato la mattina prima di venir via di casa e predispongo velocemente in una teglia una versione abborracciata di melanzane alla parmigiana (melanzane grigliate surgelate, mozzarella, passata di pomodoro, origano e olio) pronta da mettere in forno al ritorno dalla palestra. Preparo la borsa per quest'ultima e mi cambio mentre i fagioli cominciano a bollire. Mi accorgo che le gambe necessitano di una ritoccatina di epilatore, visto che mi devo mettere in pantaloncini, e approfitto di cinque minuti a disposizione per farlo. Ma ecco che sono già le 17.30. Lascio un appunto al marito per la cena (che lui chiama "la comanda"), spengo il fornello dei fagioli, saluto i videogiocanti, inforco la bicicletta e via. Mentre pedalo attraverso il parco delle Cascine mi sovviene una domanda: ma chi me lo fa fare di fare una vita così?

lunedì 4 ottobre 2010

Perchè i giovani non si ribellano?

Che prospettiva ha oggi un ragazzo o una ragazza? Cosa possiamo dire loro noi genitori? "Studia caro/a e vedrai che ti farai una buona posizione"? I dati OCSE ci dicono che un giovane su quattro in Italia non ha un lavoro e, tra quelli che lo hanno, la metà sono precari. Dopo un periodo dorato corrispondente agli anni degli studi, durante il quale è richiesto loro un impegno più che abbordabile, questi ragazzi si scontrano con la realtà e, salvo che abbiano santi in Paradiso o una gran botta di fortuna o l'azienda di papà che li aspetta, salteranno da un lavoro precario ad un altro, non avranno la possibilità di comprarsi una casa con le loro forze, non potranno programmare con serenità di metter su famiglia, non avranno servizi che li aiutino a tirar su i figli e avranno, dopo molti molti anni di lavoro, una pensione da miserabili.
Anche se sono meritevoli, quelli delle generazioni precedenti non cederanno mai il loro posto, nelle aziende, nella politica, nell'economia ma neanche nei semplici posti impiegatizi perché si dovrà andare in pensione sempre più tardi. I loro padri e i loro nonni hanno conquistato giustamente un buon sistema di tutele e un discreto stato sociale che però hanno lasciato che fosse smantellato per quelli che vengono dopo. Hanno goduto del boom economico permettendo che le risorse pubbliche fossero sperperate e che si creasse un debito pubblico enorme. Come ci si può meravigliare se questi ragazzi non si schiodano dalle case dei loro genitori? E soprattutto perchè non ri ribellano?
Il comprensibile sfogo accorato di Marco-Senza traccia mi ha richiamato alla mente un'intervista che ho sentito la scorsa estate a Tonia Mastrobuoni, autrice insieme a Marco Iezzi del libro "Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi" (sempre Fahrenheit Radio 3, ça va sans dire).
I due autori puntano il dito sul fatto che siamo pieni di analisi che correttamente illustrano come i giovani non riescano a farsi la loro strada perché trovano solo porte chiuse ma nessuno va al di là di queste e propone rimedi. Negli anni Novanta, a causa della disoccupazione, ci è stato raccontato che bisognava aprire alla flessibilità e questo avrebbe garantito ai giovani di saltare da un lavoro all'altro migliorando la propria professionalità e la propria posizione. Non è stato affatto così. Le prospettive non ci sono e quindi il giovane da flessibile diventa solo precario. Iezzi e Mastrobuoni sfatano anche alcuni miti: la scuola pubblica che non è più formativa a causa dello scambio tra lo scarso stipendio agli insegnanti e una scarsa qualità delle prestazioni a loro richieste, l'università accessibile a tutti, dove a fronte dell'inesistenza di servizi per gli studenti abbiamo assistito al moltiplicarsi delle sedi e al fatto che l'università è tornata ad essere un luogo per ricchi come un secolo fa, il mito della casa di proprietà (inaccessibile per chi guadagna 1000 euro al mese), il mito del posto fisso che si è sgretolato.
Secondo Tonia Mastrobuoni i giovani non si ribellano perché non riescono ad "essere generazione", mancano di coesione, di obiettivi comuni, rivendicano dalla famiglia quello che invece dovrebbero pretendere dallo Stato ed inoltre perchè sono cresciuti intrisi di liberismo secondo il quale la ricerca della felicità è un fatto individuale e non sociale. Inoltre la Mastrobuoni punta il dito sui sindacati tradizionali i cui iscritti sono per quasi la metà pensionati e che quindi non potranno mai rappresentare i giovani.
Io non so se l'analisi di Tonia Mastrobuoni sia corretta, però come madre sento la mia parte di responsabilità verso le nuove generazioni per il fatto che non potranno godere di quello che ho goduto io e mi dispiace davvero. Ragazzi, vi sono nel cuore ma sappiate che siete voi a dovervi ribellare, non pensiate che siano il babbo e la mamma ad accompagnarvi per la manina. Io, da parte mia, sono pronta a portarvi i viveri.