martedì 25 dicembre 2012

Uno splendido regalo di compleanno

Sono così belli i Capoverdiani: giovani, vecchi, donne, uomini, bambini. Sono pacifici (mai vista una guerra su questi undici scogli vulcanici nel mezzo dell'Atlantico), sorridenti, allegri (anche nel più sperduto villaggio di pescatori la notte di Natale si balla fino all'alba), tranquilli (in dieci giorni non ho mai assistito ad una lite o ad una discussione). Una popolazione giovane: tanti bambini, tanti ragazzi che si salutano con il pollice in su o battendo reciprocamente le nocche, tante ragazze disinvolte con i loro vestiti succinti che scoprono la bella pelle brunita. 
Nella perenne gradevole estate di queste isole, i Capoverdiani trascorrono la loro vita semplice, spesso povera (non è raro vedere le donne approvvigionarsi di acqua al pozzo) ma di certo non stressata. Sbirciando in tante misere case, dove troneggiano ritratti di giovani emigrati, si capisce perché molti sono costretti a cercare fortuna per il mondo (pare che ci siano più Capoverdiani sparsi per il pianeta che in patria). Cerco di immaginarli nelle fredde e umide terre del Nord, a Milano, a Londra, a New York, e capisco quella che essi chiamano sodade, quella malinconica nostalgia per la loro bella terra così ricca di luce e di sole. 
Davvero un bel regalo di compleanno questo viaggio condiviso con un ottimo compagno (mio marito): la vivace Mindelo dallo stile coloniale, la bella e solitaria spiaggia di Sao Pedro, l'impressionante percorso sulla costa rocciosa tra Ponta do Sol e Cruzinha de Garca nell'isola di Sant'Antao, dove maestose onde oceaniche ci regalano con il loro infrangersi un ottimo aereosol di iodio, la rigogliosa Ribeira do Paul con canne da zucchero, banani, alberi di mango, papaja e caffé, il sorprendente cratere del vulcano Cova sprofondato un paio di migliaia di anni or sono a formare un fertile pianoro circondato da una corona di rocce, l'assenza di traffico interrotta sola dal via vai degli Aluguer, pulmini e pickup che trasportano persone e cose in modo del tutto spontaneo, quasi casuale ma alla fine molto efficiente.
Ma soprattutto che bellezza questo clima! Me lo porterò nel cuore durante i freddi mesi che mi attendono ricordando la maglietta di un ragazzo capoverdiano sul traghetto di ritorno: "At last the sun is shining". Alla fine il sole splenderà.
Obrigada, Capo Verde! 

Qui alcune foto del viaggio

mercoledì 19 dicembre 2012

Pausa "estiva"



Considerata la mia inguaribile intolleranza per il freddo e per l'inverno, per il mio mezzo secolo mi regalo una fettina di estate.

Un abbraccio a tutti quelli che passeranno di qui. 

Ci risentiamo ad anno nuovo.

Artemisia


domenica 16 dicembre 2012

Corruzione e appalti

Alberto Vannucci insegna Scienze Politiche all'Università di Pisa ed ha publicato un libro dal titolo "Atlante della corruzione". Ne ha parlato sia a Le Storie - Diario Italiano che a Fahrenheit Radio 3.
Inevitabile lo scoramento che viene a sentire che l'Italia ha un livello di corruzione superiore al Rwanda e pari al Ghana e alla Macedonia, e che, rapportato al livello di sviluppo economico è il paese più corrotto al mondo (dopo la Grecia).
Una cosa in particolare mi ha colpito di quello che ha detto Alberto Vannucci a Fahrenheit perchè mi sono sentita chiamata in causa: 
"In Italia vi sono troppe leggi e spesso molto oscure. Un'inflazione normativa che riguarda a cascata anche gli aspetti più pratici e che fa sì che tutti sono esposti a poter essere accusati di essere nella illegalità. Nessun cittadino e nessun operatore economico ha più la certezza che la sua attività sia immune da una possibile contestazione o una possibile sanzione. Con tutta la buona volontà neanche gli esperti riescono più ad avere una visione a 360 gradi di quelle che sono le disposizioni da rispettare. Figurarsi il comune operatore economico."
Questa affermazione fotografa esattamente la sensazione che il mio direttore, come rappresentante legale dell'ente, ed io, come funzionaria pubblico, proviamo ad ogni circolare che arriva in materia di appalti, ad ogni decreto legislativo che si stratifica. Una sensazione di smarrimento, di impotenza, di inadeguatezza e di rischio. Per nostra fortuna, non gestiamo grosse gare e grandi appalti. Tuttavia ci viene detto che la legge non fa differenza tra spendere 10 Euro di soldi pubblici o un miliardo. Il codice degli appalti del 2006 doveva mettere in chiaro una volta per tutte cosa fare per affidare un contratto pubblico "nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza". Belle parole! Peccato che non si faccia in tempo ad emanare, studiare, imparare, applicare il codice che esce quell'altro bel tomo del regolamento del 2010! Peccato che negli ultimi due anni ci abbiano bombardato di norme (tracciabilità dei flussi, decertificazione, small business act, spending review 1, spending review 2, ecc.) talvolta in contraddizione tra loro. Per questo, giustamente, Vannucci dice che nemmeno gli esperti hanno una visione chiara e completa di cosa fare formalmente.
E' chiaro che si tratta di adempimenti formali perchè mai mi sognerei di favorire un'impresa per mio tornaconto personale. Però non posso escludere, io piccola ragioniera di periferia, di non aver sbagliato qualche cosa, di aver applicato male le norme, di aver ignorato qualche disposizione. L'ufficio legale del mio ente è buono solo a mandarmi i link delle leggi che escono e il mio capo allarga le braccia e confida nell'assicurazione a copertura dell'eventuale danno erariale. Ma io ci credo poco nelle assicurazioni e preferirei stare tranquilla.
Nessuno mi leva dalla testa che fare una bella tabula rasa della bizantina stratificazione di norme ed emanare, per tutti gli ambiti della vita sociale, poche ma chiare leggi farebbe fare un bel salto di qualità al nostro paese, rilancerebbe l'economia (mi metto nei panni degli imprenditori e delle scartoffie che devono fare per aggiudicarsi una misera fornitura), e permetterebbe una lotta più immediata ed efficace alla corruzione, in barba alle frotte di avvocati, fiscalisti ed esperti che ingrassano con consulenze, corsi e contenziosi in materia di appalti. Ma siamo sempre stati un paese di Azzeccagarbugli.

Vedi anche:
DURC!
RUP, CIG, CUP, DURC...bum!


mercoledì 12 dicembre 2012

12/12/12


Gli anniversari non mi appassionano. Le ricorrenze non mi entusiasmano. Quando mio marito suggerisce di festeggiare il contachilometri dell'auto che sta per segnare una serie di cifre tutte uguali, lo guardo con affettuoso biasimo.
Il calendario è una convenzione. E difatti non mi è mai importato nulla della fine dell'anno. Non festeggiai nemmeno quella del 1999. Così come sono passati nella mia completa indifferenza l'1/1/01, il 2/2/02, il 3/3/03, ecc.
Ma allora che me ne cale che oggi sia il 12/12/12?

domenica 9 dicembre 2012

Cellulare da [aspirante] pensionata

Ho dovuto arrendermi e dismettere un altro dei miei tre gioielli di cui a questo post (solo il lettore mp3 bianco resiste strenuamente). Il T39 Ericsson, un modello mitico come dice anche questa recensione, che condivido con Marina (anche tu hai dovuto cedere, Marina?) funziona ancora egregiamente ma la batteria non dura più di un giorno o di una telefonata e il caricabatteria si sta sfacendo in mille fili. 
Dopo aver sperimentato un Motorola di seconda mano e già deceduto, ho fatto una cosa inimmaginabile per me: comprare un nuovo cellulare. Non è stato facile rifiutare gli smart phone, i touchscreen e quelli completi di fotocamera. Ho privilegiato la durata della batteria e la facilità d'uso ed ho comprato un X1 della Nokia:


Commento di mio figlio minore (il più fanatico delle tecnologie): "Nooo! Che tristezza 'sto telefono! Quello prima almeno aveva una dignità storico-affettiva. Questo è proprio un telefono da pensionati!"
Commento di mio figlio maggiore (poco amante delle tecnologie): "Anch'io ho un Nokia che apprezzo per la sua semplicità e facilità d'uso. Ma questo "fa vecchio", il mio no. [N.d.A. un 3020]"
Hanno proprio ragione in tutto: finalmente uno schermo in cui ci vedo, un'interfaccia davvero intuitiva, un ottimo T9 che azzecca le parole che mi servono. Un telefono che fa per me. Peccato però che in pensione non mi ci facciano ancora andare!

mercoledì 5 dicembre 2012

Il paradiso ai piedi delle donne musulmane

Francesca Caferri, giornalista che ha girato il mondo musulmano per dieci anni, ha raccontato nel libro "Il paradiso ai piedi delle donne" incontri con donne musulmane in Arabia Saudita, Egitto, Pakistan, Yemen, Afganistan e Marocco. Intervistata in questa puntata de Le Storie Diario Italiano,
la giornalista  definisce la cosiddetta "Primavera Araba" come il tentativo di dire basta a trent'anni di immobilismo appoggiato dall'Occidente, un processo ancora in divenire, di esito difficile da capire adesso. Nel breve periodo, infatti, sembra esserci un trionfo dell'estremismo islamico perché i suoi appartenenti erano gli unici "pronti" per prendere il potere. La società civile, i giovani (sempre più istruiti ma con una disoccupazione del 70%), le donne che hanno occupato per diciotto giorni piazza Tahrir al Cairo non erano pronti per le elezioni e si sono frantumati al momento di presentare le candidature, dando quindi gioco facile ai Fratelli Musulmani. Ci sono poi i Salafiti, che hanno alle spalle paesi come il Qatar o l'Arabia Saudita e quindi particolarmente ricchi, i quali, pur non essendo andati in piazza, hanno idee precise sulla direzione in cui queste rivoluzioni debbano andare: società islamizzate teocratiche ove non c'è spazio per la società civile.
Francesca Caferri è fiduciosa che invece nel medio e lungo termine la società civile sarà pronta. Le ragazze che sono state in piazza per diciotto giorni sfidando la polizia, costrette a subire il test della verginità e gli spari, non hanno nessuna intenzione di tornare a casa. La rivoluzione silenziosa delle donne, dice la giornalista, è dovuta all'accesso prima alle TV satellitari e poi alla rete che permette loro di scoprire mille altri modi di essere donne musulmane rispetto a quello imposto dalla TV di stato.
Il timore che si prova dall'Occidente pensando alle donne musulmane è che esse, nella loro legittima aspirazione alla libertà, finiscano per volersi uniformare in tutto e per tutto a noi, donne occidentali, compreso le derive consumistiche e pubblicitarie. Francesca Caferri invece ci rassicura e ritiene che l'imitazione del mondo occidentale da parte delle donne sia molto meno diffusa di quanto si pensi. Le ragazze musulmane non vogliono essere come noi. Voglio essere indipendenti, lavorare, avere una famiglia ma come dicono loro. Portare il velo o no è irrilevante per loro mentre quello che conta davvero è l'accesso alla scuola o ad Internet come possibilità di comunicare.
Basti pensare che la rivoluzione di Piazza Tahrir del 25 gennaio 2011 è partita da un video messo su YouTube registrato col telefonino da Asma Mahfouz, una ragazzina egiziana velata, sola nella sua camera:



Pare che nel Corano ci siano diverse figure femminili forti. Non a caso per il titolo del libro, la Caferri si è ispirata ad un episodio coranico: un ragazzo va dal Profeta e si offre per combattere ed andare in paradiso. Quando Maometto apprende che il ragazzo è figlio unico gli dice: "Non partire. Resta a casa perché il paradiso è ai piedi delle madri." Chi l'avrebbe detto?

venerdì 30 novembre 2012

Stato laico o scuola pubblica? Comunque sia #sulatesta

I promotori tengono a sottolineare che non sono il centosettantottesimo partitino della sinistra, né l'ennesimo candidato alle primarie.

«Su la testa: l’Italia ricomincia da te» si definisce un "gruppo di pensiero, di azione e di pressione trasversale nel quale fin dalla nascita convergono persone di provenienza, età, professione e cultura diverse, il cui obiettivo comune è stato mettersi insieme per non rassegnarsi né all’astensione né all’eterno ricatto del ‘meno peggio’".
Si definiscono anche animati da "volontà di riscatto e di coinvolgimento." Ove per "riscatto e coinvolgimento" intendono il non rassegnarsi e non arrendersi: né alla tentazione di astenersi «tanto non cambia niente», né alla presunta ineluttabilità dell’ingiustizia sociale e civile, né all’impossibilità di proporre e realizzare idee forti.
E' d'altra parte, non si può non condividere le loro idee elencate qui.

Certo, di movimenti di partecipazione civica in questi anni ce ne sono stati tanti (chi si ricorda più il Popolo Viola,  per esempio?). Ma forse il fatto di comparire e scomparire con altrettanta velocità è la loro intrinseca e inevitabile natura di strumento di pressione, più che di concretizzazione delle proposte.
Sfogliando il loro sito mi piacciono le loro proposte che vengono definite "riforme concrete, realistiche e radicali che cambino in meglio le vite delle persone. Come sono stati nel passato lo statuto dei lavoratori, la scuola media unica, il nuovo diritto di famiglia, il diritto al divorzio e all’interruzione di gravidanza." Mi piace il loro partire dalla Costituzione. Non è certo originale ma doveroso. Mi piace che ci sia qualcuno che ha ancora voglia di fare, come per esempio, distribuire adesivi davanti ai seggi delle primarie:


Domenica andrò a votare con poca fiducia e molto disincanto per "l'usato sicuro" (o per il meno peggio che dir si voglia), però l'adesivo me lo porto. Ancora non ho deciso se quello con "Io voglio lo Stato Laico" oppure "Io voglio scuole pubbliche di qualità". Magari mi porto tutti e due.

mercoledì 28 novembre 2012

A che serve la letteratura?

Mentre ero in campagna a fare i soliti lavori di manutenzione ho sentito una puntata di Fahrenheit Radio3 nella quale si citava un articolo che ha toccato corde sensibili in me.  Qui la versione originale dell'articolo (e qui la traduzione) di Michael Reist, docente di letteratura inglese, che, facendo un parallelismo con il Latino, si chiede se anche la letteratura diventerà un affascinante anacronismo.
Scrive Reist: "Quando un insegnante propone un romanzo attuale la prima cosa che gli studenti chiedono è: ne hanno fatto un film? In caso contrario la tappa successiva è SparkNotes  che ne offre la trama. Oggi leggere la letteratura non significa leggere un libro ma leggere quello di cui parla il libro. La letteratura per uno studente di oggi ha un formato noioso anche se esso viene trasferito su Ipad. Il problema è proprio la forma letteraria così come l'abbiamo conosciuta."
Posso testimoniare che, almeno per i miei figli, è proprio così. Non c'è da stupirsi. Quando eravamo giovani noi ("prima del microchip" per dirla con Reist), non c'erano tante alternative. Oggi i ragazzi hanno un'infinità di possibilità di arricchimento umano. Osservo con un po' di tenerezza i tentativi degli insegnanti di proporre loro letture abbordabili e noto che, nel vastissimo panorama possibile, stanno attenti ad assegnare libri brevi per avere qualche vaga possibilità che li leggano. Per esempio, nel programmare l'ascolto dell'audiolibro di Giro di vite di Henry James, mi sono ricordata che l'insegnante lo aveva assegnato a mio figlio un paio di anni or sono e, nell'ottica di condivisione di esperienze culturali, gli ho chiesto come l'aveva trovato: "Boh!" mi fa "Ne avrò lette appena tre o quattro pagine."
Per dirla in tutta franchezza, io li capisco. La letteratura è una cosa bellissima, arricchente ed sicuramente utile per capire il mondo, come giustamente sottolineano gli ospiti della puntata di Fahrenheit. Personalmente mi impongo di leggere perché mi piace imparare (non a caso prediligo i saggi ai romanzi) e la lettura è attività essenziale (anche se non esclusiva) per imparare. Come ho sentito dire a Vittorio Sermonti: "Se non sei disposto ad annoiarti, non impari mai niente. La noia è un coefficiente decisivo dell'avventura della conoscenza." Tuttavia nella vita frenetica che sono costretta a fare non riesco a godermi un'attività che richiede tempo. 
Non a caso Michael Reist scrive nel suo articolo: "siamo approdati nel mondo dei tre minuti. Quello che dura di più non vale la pena. E' quello il periodo massimo di capacità di attenzione."
E' vero che i ragazzi di tempo ne hanno tanto ma se ci metti un po' di compiti (pochi per carità!), lo sport, la musica, i videogiochi, i social network, gli amici e così via, quello strano oggetto che è il libro viene relegato a cinque minuti prima di dormire con gli occhi che si chiudono.
E vi prego di non citarmi i diritti del lettore di Pennac sulla libertà di leggere quello che ci pare e quanto ci pare. Temo che gli adolescenti si fermerebbero al numero uno (il diritto di non leggere) e, per dirla tutta, mi ci fermerei pure io!
Non mi entusiasmano gli aggeggi tecnologici ma la didascalia dell'immagine a corredo dell'articolo di Reist sintetizza bene la questione: Who needs novels when the smartphone has brought all of cyberspace into the palm of one hand? Chi ha bisogno di romanzi quando lo smartphone ti dà tutto il cyperspazio nel palmo di una mano?

domenica 25 novembre 2012

E' ora di fare qualcosa

Nel 2011, in Italia, sono state 137 le donne uccise dal partner o ex-partner. Quest'anno abbiamo già superato quota 100 ma tale dato nasconde migliaia di donne che subiscono, all'interno della propria famiglia, sopraffazione e violenze fisiche e morali.
Riccardo Iacona, con la sua consueta bravura, ha raccolto alcune testimonianze su casi di donne uccise da mariti e compagni e le ha pubblicate "perché queste donne non siano un numero tra i tanti" nel libro "Se questi sono gli uomini". Intervistato a Fahrenheit Radio 3, il giornalista sottolinea quanto casi come quello di Vanessa Scialfa, uccisa dal fidanzato per molti minuti, siano impietosi e feroci ma anche conosciuti da tempo dai vicini, dai parenti e talvolta anche dai Carabinieri. Un'Italia arretrata che sembra quella degli anni Cinquanta. Ragazze giovani che si "consegnano" al loro fidanzato e pur di stare con lui litigano con tutti, rinunciano agli amici e spesso anche al lavoro (come aveva fatto Vanessa). 
"Non sono epiloghi di un amore sfortunato," dice Iacona, "sono storie impastate di odio". Non sono raptus, ma omicidi preparati. La follia statisticamente c'entra molto poco. Una criminologa intervistata da Iacona rivela che solo nel 6% dei fascicoli relativi a sentenze definitive che ha studiato è stata accertata la mancanza di facoltà di intendere e di volere.
Non è vero nemmeno che si tratti di un fenomeno tipicamente dell'Italia Meridionale, anzi, la maggioranza delle donne uccise sono al Centro Nord. Si tratta di donne indipendenti, che lavorano, eliminate spesso perché hanno avuto uno scatto di ribellione, lasciando o denunciando il loro uomo.
Spesso siamo davanti ad un'estrema reazione degli uomini che di fronte all'indipendenza della propria donna non sanno usare altra arma. Un uomo ex maltrattante, un professionista, intervistato nel libro, parla di un momento in cui "la luce si spenge" e non si ragiona più: "Usavo la violenza come l'unica cosa che mi era rimasta perché lei era più avanti di me, aveva la lingua più veloce della mia." La luce si spenge e dopo la prima martellata ne seguono tante altre.
Riccardo Iacona si ribella all'etichetta, troppo spesso applicata, di "liti in famiglia" ed afferma la necessità di rompere questo involucro ipocrita che consegna alla famiglia, proprio il luogo dove nascono queste situazioni, il compito di recuperare. "E' lo Stato che con la forza della legge deve entrare dentro queste case-prigioni e liberare le donne e i loro figli prima che vengano uccise." Da queste case-prigioni sbuca un'ondata di sofferenza che investe anche i figli e i parenti. 
C'è ancora molto da fare nel rapporto tra uomo e donna per trovare un equilibrio che non comporti la sopraffazione dell'uno sull'altro o che uno dei due debba rinunciare alla propria vita. 
Per questo per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne vorrei lasciare la parola agli uomini. Uomini che non si ritrovano nella cultura del possesso e del controllo. Uomini che dicono



mercoledì 21 novembre 2012

Un paio di riflessioni sulle primarie


Sulle primarie del centrosinistra se ne parla fino alla nausea. A me invece la politica mi piace "farla" non parlarne. Quindi solo un paio di spunti.

1) Se qualcuno fosse interessato al parere di una fiorentina sull'operato del Sindaco Matteo Renzi, gli direi che, pur non avendoci investito grandi aspettative, è riuscito a deludere anche quelle pallide che avevo. La vivibilità di Firenze mi sembra rimasta di livello più o meno quella di prima. I servizi funzionano discretamente come prima, anzi forse un po' peggio a causa dei tagli. Matteo Renzi è un bravissimo comunicatore, un tipo sveglio, pieno di energia ma dietro lo spot continuo, la frase ad effetto (e basta con questo usare il "noi" per intendere "io"!), la sostanza lascia piuttosto a desiderare. A Firenze ha realizzato le cose facili: allungare l'orario della biblioteca delle Oblate, mettere i semafori per far capire quando si può entrare in ZTL, introdurre la macchina che pulisce le strade senza spostare l'auto  e tante altre piccole cose utili, ma marginali. I problemi più grossi (traffico, inquinamento, trasporto pubblico, rifiuti, ecc.) non è riuscito a scalfirli (probabilmente a causa della situazione generale).
Oltre alle perplessità sulla preparazione, la competenza e l'affidabilità del candidato Renzi, e oltre al fatto che sono diverse le idee che non condivido (qualcuna sì), la cosa che non gli perdono è di abbandonare la città senza finire il mandato per lanciarsi alla conquista dell'Italia (dopo averci ripetuto fino alla nausea che "fare il sindaco di Firenze è la cosa più bella del mondo"). Come si fa a fidarsi?

2) Riguardo all'operazione primarie, sarò arcaica, ma non ne posso più di questa lettura personalistica della politica impostata tutta sulla scelta del leader che ci convince a comprare il suo prodotto e a cui consegnare tutte le nostre speranze, il pifferaio magico di cui parla il buon Robecchi. Mi sento un dinosauro ma a me piace l'idea di votare un partito, una squadra, un gruppo di persone che si ritrovano in un progetto di paese e che lavorano in pool ciascuno con le sue competenze e con le sue capacità. Non mi piace votare una persona, vorrei votare un programma o comunque delle idee. Ed invece, ahimè, mi rendo conto che l'americanizzazione e la spettacolarizzazione della politica ormai è irreversibile e mi ci devo rassegnare.

2) Premesso quanto sopra, al primo turno delle primarie del centrosinistra voterò Laura Puppato perché:

A) è un'ambientalista, ha esperienza istituzionale ma non è espressione dell'apparato, mi ispira fiducia la sua serietà;

B) mi sembra una persona equilibrata e concreta, che non cerca la rissa, gli effetti speciali o la visibilità a tutti i costi e che ha affermato per esempio in questa intervista: "Servono l'energia di Renzi, la competenza di Bersani. Ciascuno faccia quello che sa fare e dica quali sono i suoi obiettivi. Mettiamo insieme le forze, non una contro l'altra"

B) ne scrisse molto bene il buon Luciano Comida (quanto mi mancano i suoi suggerimenti!) e sono sicura che anche lui la voterebbe,

D) ma soprattutto perchè è una donna. Basta continuare a votare l'uomo peggiore aspettando la donna migliore. Cominciamo ad avere il coraggio e l'orgoglio di dire che siamo più brave. Lo so che non ha speranze, però se tutte le donne del centrosinistra la votassero, non ci sarebbe storia.

Se non ora, quando?

lunedì 19 novembre 2012

Festa della legalità

Ottima iniziativa quella dei PD metropolitano di Firenze e dei Giovani Democratici della mia provincia: tre giorni di dibattiti sulle mafie con personalità di grande rilievo.
Venerdì sera mi sarebbe piaciuto sentire di più Saverio Lodato, giornalista autore di una serie di libri che sono quasi un "dizionario" degli eventi legati alla criminalità organizzata e di cui l'ultimo si intitola "Quarant'anni di mafia". Il tavolo dei relatori era però troppo affollato e l'ora troppo tarda per poter approfondire i temi.
Meglio sabato mattina quando un vulcanico Francesco Forgione ha dipinto sotto i nostri occhi un quadro di legami affaristici e malavitosi che ha come centro essenziale la piana di Gioia Tauro e che si dirama tra Milano, Roma, Caracas e il resto del mondo.
Anche Tano Grasso, ospite del dibattito di domenica pomeriggio, ha ribadito che non ci può essere mafia senza aggancio con il territorio. Il presidente dell'antiracket ce l'ha un po' con la rappresentazione mediatica della "mafia invincibile e dell'antimafia eroica", con la deformazione da fiction che rende il contrasto alla mafia più debole e deresponsabilizza. Per Grasso invece, se davvero si vuole capire il fenomeno fino in fondo, bisogna concentrarsi di più sul gesto quotidiano dell'imprenditore che paga il pizzo, sulla forza della mafia nella vita di tutti i giorni, quella che non fa notizia ma che deprime la vita sociale ed economica italiana.
Il dibattito di domenica mattina è finito per concentrarsi invece sulla vicenda della trattativa Stato-mafia legata all'inchiesta della procura di Palermo. Devo dire che su questa vicenda ho le idee piuttosto confuse. Se emotivamente mi sento dalla parte di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione Vittime della Strage dei Georgofili, e di Salvatore Borsellino che stanno investendo grandi aspettative di chiarezza sulle indagini della Procura di Palermo relative alle oscure vicende degli anni dello stragismo, devo dire che mi ha messo dei grandi dubbi la posizione di Pino Arlacchi, sociologo amico di Chinnici, Falcone e Borsellino, collaboratore del ministro Mancino, il quale non crede assolutamente all'esistenza di una vera e propria trattativa (semmai si è trattato di pezzi delle istituzioni che possono aver seguito strade diverse dal contrasto diretto con la mafia). Spero proprio che si riesca a fare chiarezza ma più che altro spero vivamente che la procura di Palermo non abbia preso un granchio prestando così il fianco a chi non aspetta altro per delegittimare la magistratura.
L'incontro più emozionante è stato quello sulle donne e la mafia. Interessanti gli interventi dello storico Enzo Ciconte sulle donne apparentemente tenute del tutto fuori dalla 'ndrangheta ma essenziali portatrici dei valori mafiosi da trasmettere ai figli, della giovane magistrata Alessandra Cerreti, che ha raccolto le soffertissime testimonianze della collaboratrici di giustizia rese, con grandi sensi di colpa verso i propri familiari nella speranza di un futuro diverso di libertà per i propri figli, della brava senatrice Silvia Dalla Monica, ma sopratutto della sindaca di Rosarno, Elisabetta Tripodi, la quale ci ha raccontato la sua esperienza di donna sindaco in un paese in mano all'ndrangheta, delle intimidazioni ricevute e dei tentativi di delegittimazione continui per ostacolare il suo operato, dettato da normalissimo rispetto delle regole, ma inaudito in quel contesto. L'incontro finisce con la lettura, di una poesia della collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce alla sua bambina Angela.

venerdì 16 novembre 2012

Lezioni sul bus

Ho impiegato un bel numero di viaggi in bus casa-ufficio-casa per ascoltare tutti gli interventi del Festival della mente, svoltosi a Sarzana nel settembre scorso. A dire il vero, non li ho ascoltati tutti per intero: alcuni mi sono risultati noiosi o troppo pesanti e li ho lasciati dopo qualche minuto. Molte però le lezioni davvero interessanti. Di quella di Marino Niola ho già parlato
Sempre coinvolgente lo storico Alessandro Barbero che quest'anno ha dedicato i suoi tre interventi a tre donne del Medioevo: Caterina da Siena, Chistine de Pizan e Giovanna d'Arco. Non certo tre donne ordinarie ma, come ha spiegato Barbero, non è facile trovare notizie scritte sulle donne comuni vissute in tale epoca.
Abbastanza difficile ma affascinante la lezione di Sergio Givone che ha parlato con taglio filosofico della differenza tra lo scenziato che scopre la realtà che già esiste e l'artista che invece crea qualcosa che prima non c'era.
Piacevole scoperta il linguista Andrea Moro che, in modo chiaro e piacevole, mi ha fatto riflettere sul linguaggio, sui suoi segreti, sui meccanismi cerebrali che lo determinano.
Mirabile al solito lo psicoterapeuta, specializzato in adolescenti, Gustavo Pietropolli Charmet, che ha incentrato la sua conferenza sulla necessità che la scuola offra ai ragazzi gli strumenti per formare il proprio sé sociale, per aiutarli a capire la propria vocazione, il proprio futuro. Dalla passione con cui parla il Pietropolli Charmet si capisce quanto egli sia dalla parte di questi "semilavorati educativi".
Un altro intervento che mi è piaciuto moltissimo è stato quello del bravo e coinvolgente Telmo Pievani il quale ha tentato un'affascinante ipotesi per spiegare come mai noi homo sapiens, presenti sulla terra da 200 mila anni, abbiamo avuto una "nascita culturale" (sepolture, pitture rupestri, strumenti musicali, ornamenti) solo 30 mila anni fa. Che sarà successo di particolare allora?
Infine, bello ed emozionante il monologo "Muri. Prima e dopo Basaglia", nel quale l'attrice Giulia Lazzarini presta la voce ad una infermiera che racconta il suo lavoro di tanti anni con i malati psichiatrici, le loro terribili condizioni nel manicomio e poi il cambiamento dopo il passaggio di Basaglia.
Fantastico rendere i viaggi in bus così arricchenti!
Ops, ma quelli del 2011 li devo ancora sentire! Evvai!!!

martedì 13 novembre 2012

Piccoli gesti di decrescita

Quanti bei post scrivevo quando ero un'ambientalista "fogata" (come dicono gli adolescenti di oggi)! Quanti predicozzi sulle buone pratiche quotidiane, sul risparmio di acqua, di energia, di CO2!
Gli anni passano e sono sempre convinta che è nostro dovere anche di singoli individui rendere il nostro passaggio sulla Terra più lieve possibile dal punto di vista ambientale. Tuttavia, quello mio odierno, è un ambientalismo "più maturo": mantengo, e cerco di ampliare, le mie personali buone pratiche, dalla diminuzione dei rifiuti, al loro riciclo, all'uso dei mezzi pubblici, alla sobrietà negli acquisti, ma sono molto meno fiduciosa in cambiamento di massa nelle abitudini dei paesi occidentali.
Il mio percorso verso un'impronta ecologica sempre più piccola prosegue comunque. Per esempio, dopo il gelo dello scorso inverno e dopo aver visto tante trasmissioni che decantavano gli accorgimenti per aumentare l'efficienza energetica degli edifici, ci siamo chiesti come poter migliorare la coibentazione della nostra casa senza imbarcarci però in interventi pesanti. Ho chiesto anche consulenza all'Ufficio Casa del mio comune dalla quale comunque è emerso un consumo di gas ed elettricità già piuttosto basso. La nostra infatti è una casa che ha almeno un secolo, con i muri belli spessi, ed inoltre teniamo il termostato sui 18/18,5 gradi. L'attenzione quindi è caduta sugli infissi che sono probabilmente una delle principali cause di dispersione del calore d'inverno e del fresco d'estate. Siamo stati a lungo tentati di sostituirli con dei nuovi, usufruendo così degli incentivi. Alla fine però abbiamo optato per un intervento sulle vecchie finestre, meno efficienti ma di legno buono e sicuramente di maggior fascino, ad opera di un anziano falegname, un artigiano tradizionale, il quale ci ha applicato i doppi vetri e migliorato la loro chiusura con una guarnizione di silicone. La scorsa estate abbiamo visto un discreto miglioramento ed ora siamo in attesa di vedere cosa succederà il prossimo inverno.
I nostri passi verso la decrescita non finiscono qui. Da un po' di tempo mio marito si sta cimentando nel pane fatto in casa con risultati di tutto rispetto ed infine ci siamo recentemente comprati una yogurtiera evitando così lo scarto di bicchieri di plastica. 

domenica 11 novembre 2012

La stupidità dei calciatori e dei tifosi



15 maggio 2011, ultima giornata del campionato di serie A. Nel derby Bari-Lecce, Andrea Masiello segna un autogoal che sancisce la vittoria al Lecce, salvandolo dalla retrocessione. Sembra non volersi rialzare da terra da quanto è scioccato ed amareggiato. “Lui che ha dato tanto, non voleva [sic] che finisse così male” afferma ingenuo il cronista. Ma i giornalisti Giuliano Foschini e Marco Mensurati, ospiti di questa puntata de Le storie  Diario Italiano e autori del libro “Lo zingaro e lo scarafaggio”, ci spiegano che il calciatore era stato pagato 200.000 Euro dall'altra squadra per tuffarsi il quel preciso momento e spingere la palla in porta. Masiello, che pure è un calciatore di indiscutibile talento e che aveva firmato per l'anno successivo un contratto da un miliardo l'anno, ha confessato agli inquirenti che accasciato a terra non era affatto abbattuto ma stava ridendo per l'incredibile facilità con la quale era riuscito a portare a termine l'operazione.
Intorno ai vent'anni ero una tifosa appassionata, frequentavo la curva Fiesole e sono andata anche a qualche trasferta della Fiorentina. Mi sono divertita tantissimo e capisco quindi perfettamente i miei figli che non si perdono una partita della Viola. Per quanto mi riguarda, il calcio professionistico ha chiuso con la tragedia dell'Heysel. Rimasi disgustata del fatto che la partita si disputò ugualmente nonostante i morti. Ma quella fu solo la goccia che fece traboccare il vaso e che sancì la mia presa di coscienza di quanto il calcio professionistico fosse solo un grande spettacolo mediatico che muoveva tanti (troppi) soldi. La quinta azienda italiana, secondo il giornalista Foschini.
L'inchiesta lunga un anno di Foschini e Mensurati, raccontata in modo romanzesco ma del tutto veritiero nel libro, porta alla luce scenari ancora più inquietanti, se mai ce ne fosse bisogno.
I due giornalisti raccontano il loro incontro a Skopje con Hristiyan Ilievski, bandito macedone latitante, un essere che definito su tutti i verbali “brutto e terrificante”, “capace nel giro di 23 secondi di far fare a un milione di Euro due volte il giro del mondo sull'asse Ascoli-Singapore, andata e ritorno. Un giro geniale, che investiva i soldi degli altri sul bene più trascurato dai mercati internazionali: la stupidità dei calciatori e dei tifosi.”
Nel libro infatti si legge che il criminale “aveva capito che i calciatori sono una massa di bambini avidi e viziati, gente convinta che il proprio tenore di vita sia un diritto, qualcosa di scontato, e non una variabile che dipende, come qualsiasi altra catergoria, da cose come il tempo che passa, il talento, la fortuna. Uomini diseducati alle sofferenza fin da ragazzini.” 
L'immaturità dei "moderni gladiatori” (salvo le dovute eccezioni che ci sono sempre in tutte le categorie) non mi meraviglia. D'altra parte, nella maggior parte dei casi, sono ragazzi che si sono trovati con troppi soldi per le mani da giovanissimi e che si lasciano corrompere così facilmente, pur essendo ricchi, perché devono mantenere sempre un tenore di vita connesso con le aspettative del ruolo.
Il fatto inquietante è che figuri come Ilievski fanno soldi grazie ai tifosi che hanno una sorta di rimozione. Questi criminali guadagnano di più scommettendo su una partita di calcio come Albino Leffe - Piacenza (12 milioni di Euro nel giro di tre minuti, spostandoli su conti correnti di Singapore) che con una partita di droga, rischiando così molto di meno (al massimo un anno e sei mesi di carcere). Questo alibi è dato dai tifosi che fanno finta di non vedere. Anche la mafia italiana utilizza le scommesse calcistiche per riciclare capitali illeciti. Infatti se lo Stato si presenta a sequestrare i beni di un mafioso, egli, mostrando la ricevuta di una scommessa, può evitare il sequestro. 
Io capisco la passione. Il gioco del calcio è bellissimo ed emozionante, ma una volta apprese queste cose, non potrei continuare a far finta di nulla. Se proprio non si riesce a farne senza, perchè allora non seguire i provinciali degli esordienti? Almeno finché non inquineranno anche quelle.

giovedì 8 novembre 2012

Homo edens

Non tutto quello che ho sentito dall'antropologo Marino Niola, autore del libro "Non tutto fa brodo", mi ha convinto. Trovo che spesso e volentieri "ricami" su un po'. Tuttavia è sicuramente densa di stimoli sia la sua intervista a Fahrenheit sia, soprattutto, la sua lezione al Festival della mente "Fra bio e dio. Il cibo tra conoscenza, resistenza e penitenza" ed invito chi è interessato al significato culturale e antropologico del cibo e della gastronomia ad ascoltarle entrambi.
Il cibo non solo come nutrizione o come scienza esatta ma anche come cultura, come "cattedrale del gusto", curiosità, estetica, fantasia. Il cibo come "vero carburante della storia" per ragioni naturali e culturali, "si mangia per vivere ma anche si vive per mangiare" (su questo ultimo punto non mi ci rivedo tanto).
I tabu legati al cibo hanno tutti una ragione culturale e storica. Noi pensiamo che il gusto sia una cosa soggettiva ed invece sono categorie mediate culturalmente. Per esempio, da noi non si mangia il cane ma altrove lo fanno senza problemi. Noi mangiamo il cavallo mentre nei paesi anglosassoni è inconcepibile.
L'antropologo culturale guarda con favore le commistioni con culture diverse. Le forme di protezionismo dimostrano cecità e ottusità di fronte a quello che succede. La cucina è meticcia da sempre. Se ci pensiamo, gli ingredienti base delle nostre gastronomie vengono da lontano (pomodoro, peperoncino, patate, mais, ecc.).
Niola recrimina invece il fatto che quasi il 25% del cibo venga buttato, mentre nella cucina povera tradizionale vi erano diversi eccellenti piatti di riciclo degli avanzi.

Interessante apprendere che la tendenza alla cucina vegetariana, oggi auspicata soprattutto per motivi ambientali, ha in realtà origini molto antiche. Il prof. Niola a Sarzana ha citato infatti le raccomandazioni di Socrate tratte dal secondo libro de La Repubblica di Platone (tra il 390 e il 360 a.C.): "In futuro gli uomini si nutriranno di fiocchi d'orzo, di farina di grano, di focacce genuine e pane posato su canne e su foglie ben pulite." Il dialogo su quale sia la migliore alimentazione di una città ideale da fondare si svolge tra Socrate, che auspica un regime di  "abbondanza frugale", e Glaucone che insiste sull'importanza della carne e delle comodità, e richiama incredibilmente un dibattito attuale. Per fortuna Socrate aggiungerebbe anche "sale, olive, formaggio e bulbi come si usa fare in campagna, pasticci di dolci, fichi e fave, bacche di mirto e di ghiande arrostite sotto la cenere, moderato vino. In questo modo ciascuno vivrà di più e potrà trasmettere ai propri discendenti un analogo modo di vivere." E, antesignano della decrescita, accusa Glaucone: "Tu non stai cercando l'origine di una semplice città di sussistenza bensì di una città del lusso." 
Pitagora metteva  matematicamente d'accordo la salute del corpo con la salvezza dell'anima (evitando cioè lo spargimento di sangue) ed aveva una tabella dietetica ineccepibile persino per un vegano di oggi: "pane e miele al mattino, verdura fresca la sera, molti cereali, legumi e fibre".  Mangiare carne, secondo Pitagora, rende feroci e spietati. Non per nulla la dieta vegetariana era chiamata "regime pitagorico".

Ogni cucina, afferma Marino Niola, è lo specchio della società a cui appartiene. La storia delle cucine mediterranee è inseparabile dalla storia dei tre grandi monoteismi. Musulmani ed ebrei, per esempio, sono accumunati dall'avversione per la carne di maiale e per la carne al sangue. Il Levitico è denso di divieti. I Cristiani hanno invece un atteggiamento onnivoro ma temperato. San Paolo disse: "nessuno vi separi in base a ciò che mangiate e ciò che bevete." E' infatti la moderazione il vero precetto del Cristianesimo a tavola ed è un atteggiamento che permane anche nella nostra società secolare di oggi che raccomanda di mangiare di tutto ma poco. L'ascetismo di San Paolo riaffiora nella nostra ricerca spasmodica del mangiar sano, della leggerezza che redime (qui mi ci rivedo). La nostra società tanto appesantita dall'abbondanza ha trasformato l'astinenza in un'etica e la magrezza in un segno di superiorità. Il paradosso è che viviamo in un mondo diviso tra poveri, che cercano disperatamente di mangiare, e ricchi, che cercano disperatamente di non mangiare. 

Secondo l'antropologo oggi chiediamo al cibo ciò che non gli apparterrebbe: non solo la salute del corpo ma anche la salvezza dell'anima. E' singolare aprpendere che negli USA il 30% del mercato alimentare è occupato da cibi kosher mentre gli ebrei sono meno del 2% della popolazione. E' come se ad un'esigenza di genuinità si associasse l'idea di purezza. In un mondo come il nostro, preda di mille insicurezze e paure, contaminazione ambientale, OGM, pesticidi, diossina, grassi idrogenati, sostanze cancerogene, non sapendo "a che santo votarsi" ci buttiamo sulla "vacca sacra come antidoto alla mucca pazza". "Se non è bio che ci pensi Dio", afferma provocatoriamente Niola. 
Un'altra caratteristica ci porta a preferire cibi SENZA: senza grassi, senza zucchero, senza calorie, senza latte, senza glutine, ecc. Siamo ossessionati da un ideale di purezza e di leggerezza è tutto un levare. Non si trratta tanto di sacrosanta educazione alimentare, quanto di un misto di ascetismo e di disciplina, di astinenza e di continenza, di etica e dietetica. 
L'obesità è solo l'altra faccia della medaglia. I grandi obesi, presenti in particolar modo nella provincia americana, sono prima presi per la gola dal junk food e poi condannati come onnivori compulsivi, come parassiti, soggetti senza volontà, insostenibili per il sistema sanitario. In una società dell'efficienza e della velocità e della leggerezza non c'è posto per le taglie forti.
La criminalizzazione della pinguedine è antica ma la differenza la fanno i pesi e le misure che cambiano nelle epoche. Nell'europa medievale il grasso era segno di ricchezza e di prestigio e talvolta di bellezza. Con la rivoluzione industriale il sovrappeso smette di essere un marchio morale e razziale e diventa un segno individuale di quella persona. Nasce l'idea che il peso esteriore abbia un contrappeso interiore. Incredibile apprendere che fino ai primi del Novecento nessuno si pesasse.

A dir la verità, personalmente, non ho un palato molto raffinato né una grande passione per la gastronomia. Sono d'accordo con la mia amica blogger Alchemilla quando scrive che "diamo troppa importanza al cibo". Per quanto mi riguarda, prediligo la semplicità e la genuinità del cibo anche a discapito del gusto. Mi interessa molto di più il "cibo della mente" e difatti ho trovato discretamente "appetitosa" la lezione di Marino Niola.

martedì 6 novembre 2012

Il Colombo pensiero sulla corruzione

L'ex magistrato Gherardo Colombo, intervistato al Festival di Mantova da Marino Sinibaldi, su cosa sia rimasto dell'esperienza di Mani Pulite visto che ci troviamo di fronte agli stessi (se non peggiori) problemi spiega:
"E' un problema culturale. Nella cultura degli Italiani la corruzione c'è. La vicenda di Mani Pulite è finita perché gli Italiani l'hanno voluta far finire. Finché le prove ci portavano a coinvolgere persone che stavano troppo in alto perché ci si potesse identificare, tutti esultavano.
Poi quando le indagini hanno cominciato a portare verso il vigile urbano che fa la spesa gratis in cambio di non controllare la bilancia o il finanziere che non controlla il garagista o l'ispettore del lavoro che chiude un occhio sui dispositivi di sicurezza del cantiere o cose simili, allora cominciarono a sparire i documenti e le corde vocali divennero aride."

Cosa fare allora?

"Il campo è quello dell'educazione ma è molto complicato. Siamo abituati a procedere attraverso un modello che non consente e che addirittura ostacola l'effettività della nostra Costituzione.
Siamo abituati, perché così siamo stati educati, all'obbedienza attraverso la promessa di un premio o la minaccia di un castigo. Con questi strumenti si educa all'obbedienza, non alla libertà e conseguentemente alla responsabiltà. Chi obbedisce non capisce il perché di quello che fa perché gli viene imposto e non può sviluppare una propria autonomia, non può maturare una capacità di discernere. Alla fine continuamo ad osservare le regole vecchie, quelle che esistevano prima della Costituzione ed organizzavano, anche legislativamente, la società attraverso la discriminazione, attraverso un sistema di sopraffazione reciproca ove il più debole stava in basso e il più forte stava in alto.
Nonostante la Costituzione abbia rovesciato questa struttura, il nostro modo di intendere la relazione continua ad essere quello di una società piramidale, ove chi sta al vertice "può" e chi sta in basso "deve"."

Mi pare che non ci sia altro da aggiungere.

domenica 4 novembre 2012

Analfabeti nascosti

Che bella testa ha Tullio De Mauro! Quest'estate sono andata a sentirlo alla festa del PD e sono rimasta colpita dalla sua lucidità, nonostante gli anni, dalla sua cultura ed anche dal suo senso dell'umorismo. Il professore non si è mai stancato di ripetere l'importanza dell'istruzione ed anche la necessità di continuarla per tutta la vita.
Intervistato nuovamente a Fahrenheit Radio 3, De Mauro ribadisce quanto poderose ricerche dimostrino che "più alto è il livello di istruzione di una popolazione, migliori sono le capacità produttive e, di conseguenza, il reddito." Ed aggiunge: "nei paesi ricchi del mondo (e l'Italia lo è), usciti di scuola, lo stile di vita porta a dimenticare quello che si è imparato in modo anche molto grave." Indagini denunciano da tempo il fenomeno della dealfabetizzazione o analfabetismo funzionale. Non bastano le capacità di leggere, scrivere e far di conto che la scuola ci aveva insegnato a suo tempo e questi "analfabeti di ritorno" non sono censiti dall'ISTAT il quale registra solo chi si dichiara espressamente analfabeta.
Accurate indagini sociologiche ci dicono che in Italia c'è una dealfabetizzazione che coinvolge più del 40% della popolazione ed in modo grave. Ma dove sono queste persone incapaci di leggere e di scrivere? Apparentemente non le notiamo anche perché di solito l'analfabeta di ritorno sviluppa delle capacità incredibili per mascherare la sua condizione che sente come un deficit.
D'altra parte certe capacità mentali vanno esercitate continuamente, esattamente come quelle muscolari, e se gli Italiani presentano deprimenti indici di lettura, un qualche campanello d'allarme dovrebbe suonare. Secondo l'ISTAT infatti solo il 51,6% delle femmine e il 38,5% dei maschi legge almeno un libro all'anno (media che sale al Centro Nord ma scende al Sud). I "lettori forti", cioè chi ha letto dodici o più libri in un anno, sono solo il 13,8% del totale.
E' vero che lo stile di vita che conduciamo non invoglia: siamo sempre di corsa, la sera siamo stanchi e leggere è faticoso, richiede tempo e concentrazione. E' molto più facile spaparanzarsi sul divano e accendere la TV, possibilmente con un programma di intrattenimento che richieda poco impegno. Inoltre, a meno che non lo si debba fare per lavoro, ormai non serve più scrivere, nel senso di mettere insieme un discorso logico, coerente e corretto sintatticamente. Si va avanti a SMS, chat, al massimo email dove la cura ortografica va a farsi friggere. Probabilmente ho delle fissazioni da maestrina, ma che fitte al cuore quell'uso casuale degli accenti sui monosillabi e quanti ormai scrivono "pò" con l'accento invece che con l'apostrofo!
A proposito di mascheramento delle proprie difficoltà di espressione scritta (non proprio di analfabetismo in questo caso) mi è venuto in mente un mio collega, un giovane e valente impiegato amministrativo, un ragazzo di provincia ma informato, il quale da sempre fa delle fortissime resistenze ad esporre i malfunzionamenti del nostro sistema informatico di contabilità sul sito dell'assistenza. Vuole a tutti i costi esporli per telefono quando la nostra dirigenza ha previsto invece l'apertura di segnalazioni scritte su questo sito proprio perchè venga lasciata una traccia del lavoro che essa fa (si tratta di una ditta esterna). Ho sempre interpretato queste sue resistenze come sintomo del suo temperamento estroverso ed esuberante, alieno alla fredda comunicazione scritta, quando un giorno (di malavoglia) ha scritto un email di protesta al capoprogetto. Pur non essendoci errori ortografici (a parte il solito "pò"), era esattamente la trascrizione di una veemente protesta verbale, con espressioni colloquiali, manciate di punti esclamativi e di sospensione e con scarsa chiarezza espositiva del problema in questione. Il mio collega non è certo un analfabeta di ritorno però, facendo le dovute proporzioni, non oso pensare come possa ridursi una persona che per lavoro non ha mai  occasione di leggere o scrivere un testo.
D'altra parte che dire di me che non so più fare un banale calcolo a mente?

venerdì 2 novembre 2012

Siamo in mano alle macchine

Se c'è una cosa che mi fa perdere un sacco di tempo in ufficio sono i pagamenti verso l'estero anche perché la nostra banca ha una struttura talmente complicata, farraginosa e parcellizzata che ormai tutto è automatico e se qualcosa si inceppa non si riesce a capire il motivo e tanto meno come rimediare (temo comunque che sia così in tutte le grandi banche ormai). Sono arrivata al punto che considero già una gran fortuna se mi arriva un qualche avviso dei bonifici esteri che per qualche motivo non sono andati a buon fine (invece di doverlo scoprire da me rovistando sul portale della banca).
Come l'altro giorno quando la signora che ho di riferimento a Roma (una signora gentilissima ma veramente poco preparata professionalmente), per avvertirmi che un bonifico SEPA (cioè in area europea) era stato scartato, mi manda una schermata dove c'è scritto solo testuale: "BANCA NON RAGGIUNGILE" (N.B. i bonifici esteri li eseguono in Romania).
Che vuol dire "banca non raggiungibile"? E' sbagliato l'IBAN? Il numero di conto? Non è una banca in grado di ricevere bonifici in Euro? L'operatore ha trovato occupato e si è scocciato di riprovare? La banca ha staccato il telefono? Insomma che devo dire al beneficiario che mi ha fornito i dati? Dovrò spiegargli cos'è che non va, no?
La signora candidamente mi dice che il messaggio le è arrivato pari pari da un altro impiegato (un nome mai sentito) il quale nemmeno lui era in grado di spiegare il motivo dello scarto. Alla fine mi suggerisce di riproporre il bonifico tale e quale confessando che, per altre strutture del nostro ente, facendo così la seconda volta è andata bene. Tralascio la spiegazione tecnicistica e farneticante ("il collega ha fatto una MOC, allora io le ho fatto una CARA, si può provare a fare con il codice 69 invece che con il codice 73" ecc.).  Tradotto: si procede a tentativi!
Non mi sento di trattare male questa impiegata che è vittima quanto me di un sistema perverso e allora la butto sullo scherzo: "Eh, signora mia, siamo in mano alle macchine. Ormai fanno tutto loro e noi abbiamo completamente perso il controllo della situazione!"
"Non me ne parli, signora mia!" mi fa lei, "Non me ne parli!"
Ci lasciamo così, autocommiserandoci. Peccato che sarebbe lei, come rappresentante suo malgrado della banca, a dover fornire a noi, quali clienti, un servizio degno di questo nome. Sbaglio?

mercoledì 31 ottobre 2012

Pausa caffè al bar tra maleducazione e cortesia

Talvolta, se sono un po' nervosa e ho bisogno di gratificazione, mentre, in veste di improprio fattorino, mi reco all'agenzia delle entrate per il mio ente, mi fermo alla pasticceria che sta accanto e mi mangio una pastina bevendo un caffè. Al contrario di altri, in questo locale sono molto gentili e sorridenti, mi interessa poco se per indole o per professionalità. Per me la gentilezza e la cortesia sono elemento essenziale perchè continui a servirmi presso un esercizio (ho scoperto che la pensa allo stesso modo il mio "angelo" dell'agenzia delle entrate).
Come molti bar anche questo ha una mensolina laterale per appoggiarsi quando il bancone è pieno e come succede spesso, la gente vi lascia le tazze e i bicchieri che ha utilizzato quando, semplicemente allungando il braccio, potrebbe rimetterli sul bancone agevolando il lavoro del barista. E' una piccola cosa che però mi dà particolarmente sui nervi. Sarà che la interpreto come mancanza di rispetto del lavoro degli altri, come maleducazione di chi è abituato ad avere la mamma o la moglie che gli/le fa da servente in casa, sarà che faccio continuamente sparate ai miei figli quando fanno cose simili in casa, insomma, anche stamani, mentre aspetto il mio caffè, non resisto a sparecchiare la mensolina passando le tazze sporche al barista.
Il giovane barista bruno mi ringrazia con il suo sorriso luminoso. Io (un po' bisbetica inacidita) gli faccio: "Certo, la gente è proprio maleducata! Vorrei proprio vedere se fanno uguale a casa loro!"
"Molti sono di fretta" mi dice il ragazzo giustificandoli ma si affretta ad aggiungere anticipandomi: "Sì, certo, ci vorrebbe un attimo ma... che vuole... il cliente ha sempre ragione. Anche quando fa di peggio..."
Ma che tenero!

1986: io c'ero


Dopo anni di documentari di storia sul fascismo, la seconda guerra mondiale, il boom economico degli anni Sessanta, il Sessantotto, gli anni di piombo e così via, ecco finalmente, all'avvicinarsi del compimento del mio primo mezzo secolo, una puntata di "storia" che parla di eventi che mi suonano familiari: "Correva l'anno: 1986".
Il disastro Chernobyl, il maxi processo a Cosa Nostra, il governo Craxi, il mondiale vinto dall'Argentina, il goal del secolo di Maradona, la P2, Sindona, la vicenda di Enzo Tortora, l'attacco alla Libia, il vento nuovo di Michail Gorbachov, il Nobel a Rita Levi Moltalcini.
Nel 1986 lavoravo già da circa tre anni e guadagnavo poco meno di 1 milione al mese mentre lo stipendio medio di un operaio italiano, secondo il documentario, era di circa 600.000 lire al mese. L'economia italiana andava piuttosto bene e sembra che proprio in quell'anno la borsa di Milano toccò il suo record.
La cultura giovanile era figlia del benessere di cui il paese stava godendo ed era caratterizzata dal disimpegno politico e dallo stile di vita fondato sulla spensieratezza (il cosiddetto edonismo reaganiano).
Pur non aderendo affatto a questo stile di vita, mi ricordo perfettamente il look paninaro che andava per la maggiore tra i giovani:  ogni capo di abbigliamento rigorosamente firmato, secondo i suggerimenti delle TV commerciali, scarponi chiari con la para, pantaloni stretti in fondo e strizzati in vita dalla cintura, bomber, abbronzatura da lampada. Scopro adesso, grazie al documentario di Correva l'anno, che la definizione di "Paninaro" deriva dal titolo di una canzone dei Pet Shop Boys proprio scritta e registrata nel 1986.
Nello stesso anno a Roma in piazza di Spagna Mac Donald aprì il primo fast food in Italia, un tipo di locale che presto colonizzò la nostra penisola diventando luogo di ritrovo per i giovani.
Io uscivo, andavo al cinema, avevo le mie storie sentimentali ma sostanzialmente facevo la formichina tanto che nel 1986 il grande evento dell'anno per quanto riguarda la mia vita fu l'acquisto di un piccolo appartamento, grazie ai miei risparmi (i miei genitori non avevano mai voluto che passassi loro niente del mio stipendio) e grazie ad un ottimo mutuo agevolato convenzionato con l'Ente per il quale lavoravo.
Per il resto mi adeguavo anch'io al disimpegno imperante, come accenno anche in questo post, ed è forse per questo che non ho ricordi particolari sulle vicende di politica interna e internazionale.
Il disastro di Chernobyl invece mi fece grande impressione e mi rammento quando la nuvola radioattiva, a causa dei venti, cominciò a dirigersi verso l'Italia. Mi ricordo che fu vietata la vendita di latte fresco e verdura a foglie ed infatti il latte UHT divenne presto introvabile. Ricordo anche che alcuni ricercatori del mio Istituto misuravano con degli apparecchi geiger la radioattività del terreno e delle piante e ci rassicuravano.
1986. Ventitre anni. Io c'ero.

lunedì 29 ottobre 2012

A single man

Los Angeles, anni della guerra fredda. Un professore vive in solitudine il suo lutto per la perdita dell'amato compagno e cerca di continuare a recitare la sua parte nella società, accompagnato costantemente dalla sua angoscia, mentre gli altri si ostinano a non volerlo lasciare da solo a fare i conti con il proprio dolore ed il proprio male di vivere.
Davvero un bel film, molto poetico. Bravissimo il protagonista e splendide le musiche.

Incipit:
Ci si sveglia. Si comincia col dire "sono" e "ora". Negli ultimi otto mesi svegliarsi è stata una sofferenza. La consapevolezza di essere ancora qui lentamente si materializza. Il risveglio non mi è mai piaciuto. Non sono mai saltato giù dal letto per sorridere alla giornata come faceva Jim. A volte volevo prenderlo a pugni al mattino. Lui era così felice! Gli dicevo che solo gli stolti sorridono al giorno e solo gli stolti fuggono alla semplice verità: che "ora" non è semplicemente "ora". E' un freddo promemoria, un giorno più di ieri, un anno più dell'anno scorso, e che prima o poi Lei arriverà. Lui rideva di me e mi dava un bacio sulla guancia.
Ci metto tempo la mattina a diventare George. Tempo per adeguarmi a quello che ci si aspetta da George, a come deve comportarsi. Una volta vestito e data un'ultima lucidatura a quello che è il debolmente rigido ma perfetto George, so quale parte interpretare.
Dallo specchio mi fissa di rimando non tanto un volto, quanto l'espressione di una difficoltà.

A lezione con gli studenti:
Una minoranza è considerata tale solo quando costituisce una minaccia per la maggioranza, reale o immaginaria. Ed è lì che si annida la paura.
La paura dopo tutto è il nostro vero nemico. La paura sta invadendo il nostro mondo. La paura viene usata per manipolare la nostra società. E' così che i politici spacciano la loro politica. Madison Avenue ci vende cose che non ci servono. La paura di essere attaccati. La paura che ci siano comunisti in agguato dietro ogni angolo. La paura che un piccolo paese dei Caraibi che non condivide il nostro stile di vita costituisca una minaccia. La paura che la cultura nera possa conquistare il mondo. La paura dei fianchi di Elvis Presley. La paura che l'alito cattivo possa rovinarci le amicizie. La paura di invecchiare, di essere soli. La paura di essere inutili, che non interessi ciò che abbiamo da dire.

Finale:
Nella vita ho avuto momenti di assoluta chiarezza, quando per pochi, brevi secondi il silenzio soffoca il rumore e provo un'emozione, invece di pensare. E le cose sembrano così nitide. E il mondo sembra così nuovo. E' come se tutto fosse appena iniziato. Non riesco a far durare quei momenti. Io mi ci aggrappo ma, come tutto, svaniscono. Ho vissuto la vita per quei momenti. Mi riportano al presente e mi rendo conto che tutto è esattamente come deve essere.

domenica 28 ottobre 2012

Due ore di attesa per un appuntamento

Tormentata da diversi mesi da un'orticaria che va e viene in punti diversi del corpo e che ha visto recentemente un'esplosione, mi viene prescritto, oltre alla cura per superare la fase acuta, una visita allergologica presso un noto ospedale fiorentino.
Telefono e mi invitano a riprovare per il giorno x dalle 14 quando "apriranno le agende per il 2013". Provo a chiamare dall'ufficio per una mezz'oretta ma, come previsto, non c'è modo di prendere la linea.
Rassegnata, inforco lo scooter, sfidando la pioggia, e mi reco all'ospedale. Qui trovo un corridoio affollato di persone in attesa. Ho il numero 134 e stanno ricevendo il numero 79. Sono le 15 passate ma qualcuno, mi dicono, è qui dalle 11 di stamani. Per fortuna, c'è posto a sedere e per fortuna mi sono portata una rivista da leggere.
Dopo due ore di attesa esco con il mio appuntamento: 27 febbraio 2013.
Una ragazza molto innervosita mi dice che nello stesso ambulatorio andando "privatamente" c'è posto tra quindici giorni.
"E quanto costerebbe?" chiedo. "120 Euro. Pensi che con il ticket ed avendo una fascia di reddito non troppo bassa si va comunque a spendere circa 70."
Capisco che la sanità pubblica e completamente gratuita ormai ce la dobbiamo scordare e mi sembra pure giusto, nonostante che abbia pagato il servizio con le tasse, che io debba contribuire al costo di esso, visto che me lo posso permettere. Sono disposta anche a pagare di più se mi garantiscono che chi è più povero di me o chi ha malattie più gravi della mia possa essere curato gratuitamente, velocemente e bene. Sono anche consapevole che in Toscana abbiamo ancora una situazione dignitosa in confronto ad altre parti d'Italia.
Tuttavia ho sempre di più il timore che stiano smantellando pezzo per pezzo, manovra per manovra, senza che noi ce ne rendiamo conto se non quando ne abbiamo bisogno, quella grande conquista sociale che è il Sistema Sanitario Nazionale.
Dobbiamo difenderlo a tutti i costi! Cominciando, per esempio, con il ricordare le grandi conquiste sociali.

giovedì 25 ottobre 2012

Donne che alzano la testa

"Dio fece le donne per piangere, parlare e filare" recitava un proverbio noto nella Francia medievale. Contro tali pregiudizi si scagliò Christine de Pizan, in realtà Cristina da Pizzano, la prima scrittrice di professione, attiva alla corte francese del XIV secolo. "Se le bambine potessero studiare si vedrebbe che non c'è nessuna differenza con i maschi" scriveva Cristina nel suo "La città delle dame". "Il vero problema che impedisce alle donne di studiare è la massa di uomini ignoranti che non sopporterebbero di vedere una donna che ne sa più di loro." Ed aggiunge: "Se le donne volessero studiare, allora vedreste che cambierebbe tutto." Questo ed altro ci racconta, con la sua consueta abilità comunicativa, lo storico Alessandro Barbero in una bella lezione tenuta al Festival della mente e riascoltabile sul relativo sito.

"La città delle dame" si rivolgeva anche alle donne per invitarle a farsi valere così come fece più di cinquecento anni dopo Betty Friedan con il suo memorabile "La mistica della femmilità" che uscì per la prima volta nel 1963 e che è stato di recente ripubblicato. Chiara Turozzi, la curatrice di questa nuova edizione, ne parla a Fahrenheit Radio 3 insieme alla psicanalista Manuela Fraire.
Un libro che fece scalpore perchè puntò il dito sul modello smagliante di femminilità, imposto subdolamente da educatori, psicanalisti e persuasori occulti, destinando le donne ad un'esistenza dedicata al ruolo di moglie-madre-regina della casa, con un bel marito, dei bei figli, una bella casa, tutti gli elettrodomestici che il mercato continuava a sfornare, ecc. Betty Friedan scopre che, aderendo a questo modello, le casalinghe americane vivevano una costante inquietudine indefinita, fatta di un persistente nodo alla gola, di un buco allo stomaco, di sfoghi della pelle, di abuso di alcolici e psicofarmaci, insomma di nevrosi. "Il problema senza nome", come lo chiama Betty Friedan cercando al contrario nel suo libro di darvi un nome e di dare la parola alle donne.
Intervistando un persuasore occulto, Betty Friedan gli chiede perché non suggerire alle donne di dedicare il tempo libero guadagnato grazie ai nuovi elettrodomestici a se stesse, alla propria cultura, magari a studiare astronomia. Ma i produttori vogliono che le donne rimangano in cucina magari investendo il nuovo tempo libero in maggiore creatività nel preparare i pasti o in una casa più lustra.

La stessa società patriarcale, che impediva alle contemporanee di Christine de Pizan di studiare e che imponeva alle donne americane degli anni Sessanta il modello di casalinga perfetta, oggi, che invece le donne, almeno nella società occidentale industrializzata, hanno l'opportunità di studiare e di farsi una posizione sociale fuori delle quattro mura domestiche (pur lavorando per due), suggerisce loro un modello altrettanto subdolamente repressivo e pericoloso: quello dell'immagine, l'imperativo di essere sempre belle, alte, magre, ricche, eleganti, giovani e desiderabili allo sguardo maschile.
Lo denunciano tante donne sulla rete (da Lorella ZanardoGiorgia Vezzoli di Vita da streghe, all'Associazione Donne Pensanti, alle ragazze di Frequenze di Genere, alle attentissime di Un altro genere di comunicazione e, per fortuna, tante altre) ma anche Laura Corradi, docente di Studi di Genere nell’Università della Calabria, nel suo saggio Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica delle pubblicità: genere, classe, razza, età ed eterosessismo, presentato a Fahrenheit Radio 3. Il libro si basa su una ricerca che nasce dalla didattica, frutto della collaborazione con le studentesse. Per dieci anni esse hanno raccolto le pubblicità e ne hanno fatto un'analisi semiotica, cioè dei segni, di ciò che ci viene trasmesso. Si sono divertite a decodificarle e decostruirle, a far notare l'implicito che contengono. Le pubblicità di un paese ci danno lo specchio dei rapporti di genere ed attuano, insieme a telefilm, telenovelas e simili, una sorta di propaganda di valori imposti dal mercato e quindi dal potere economico (assai più forte di quello politico). Si gioca molto sulle ansie e sulle paure di non essere all'altezza, di non essere accettate. Più si rendono insicure le donne, più facciamo in modo che esse non accettino se stesse, più si vendono merci (cosmetici, cure estetiche, ecc).
Il lavoro che le donne dovrebbero fare oggi più che mai è quindi acquisire la consapevolezza dei propri talenti, dei propri meriti e dei propri veri desideri (le "brame" al di fuori di quelle imposte dalla colonizzazione mentale della pubblicità). Consapevolezza che nel loro piccolo le studentesse calabresi della professoressa Corradi si ritrovano a fine corso quando confessano che la loro preoccupazione principale, in passato, era "abbinare lo smalto con il colore della borsetta".

domenica 21 ottobre 2012

Fior d'autunno

    

A proposito di piante che hanno superato gelo e siccità, uno dei due gerani di cui a questo post, l'unico sopravvissuto, ci continua a stupire.

giovedì 18 ottobre 2012

Le stelle e strisce che non ti aspetti

Grande paese gli Stati Uniti. In tutti i sensi. Questa l'impressione a pelle che ho ricavato durante il mio viaggio di quest'estate. Eppure ci sarebbero diversi luoghi comuni da sfatare su di esso come ci racconta Oliviero Bergamini, storico e giornalista, intervistato a Fahrenheit Radio 3 ed autore di Da Wall Street a Big Sur. Un viaggio in America. Gli Stati Uniti sono sempre stati per noi Europei un prodigioso produttore di immaginario, straordinariamente capace di intrattenere anche se, anni e anni di fruizione di prodotti mediatici americani, ci hanno dato un'immagine che non corrisponde del tutto alla realtà.
Un paese dove lo stato è "leggero"? In USA vi sono in proporzione più dipendenti pubblici che in Italia.
Un paese ricco? La ricchezza media delle famiglie italiane è più che doppia di quella americana (gli americani lasciano in media 10.000 $ ai figli). La ricchezza è così concentrata negli strati alti che gli strati medi e bassi sono più poveri degli analoghi europei. La classe media americana non è più solida e abbiente.
Paese di grande mobilità sociale? Mito ampiamente incrinato. Secondo studi di università europee e americane, la possibiltià di salire a strati sociali superiori ed anche di perdere il proprio status è inferiore a quella che si ha in Danimarca o in Germania. Le città tendono a dividersi ormai in quartieri omogenei per reddito e ciò ha ripercussioni gravi sulla mobilità sociale.
Università eccellenti? Accanto a quelle prestigiose che in effetti occupano i primi venti posti della classifica mondiale, la media delle università americane (che sono più di 3000) è piuttosto bassa pur essendo comunque costose (chissà come risulta l'università che ho visto a Bozeman, anonima cittadina del Montana).
Un altro stereotipo duro da scalzare è che gli Stati Uniti siano un paese storicamente senza conflitti sociali o comunque dove la classe operaria è integrata, conformista, senza storia.
A sfatare questa immagine ci pensa invece il libro "Storia del Movimento operaio negli Stati Uniti" di Richard Boyer e Erber Morais di cui si è parlato invece nella puntata di Fahrenheit che ospitava Mario Maffi, docente di Cultura Anglo-americana presso l’Università di Milano.
Grazie a questo libro scopriamo infatti che gli USA dal 1861 al 1955 hanno visto una straordinaria storia di organizzazione operaia con scontri acuti e violenti come il grande sciopero delle ferrovie del 1877 che diventò poi generale e sfociò nella Comune di Saint Louis. 
Dopo il 1955 il boom economico vide ricadute di benessere per ampi settori della classe operaia, ma negli anni sessanta esplosero di nuovo le contraddizioni. Il Sessantotto fu sì movimento di studenti e minoranze razziali ma contemporaneamente a Detroit e a Chicago si creano strutture sindacali di avanguardia che si contrapposero alle grandi organizzazioni sindacali (Lega Operai Neri di Detroit, braccianti in California, ecc.). Negli anni ottanta, con lo sciopero dei controllori di volo, licenziati in tronco da Reagan, si ebbe un'ultima fiammata di conflittualità sociale.
Oggi la classe operaia in USA è in una situazione difficilissima. Le grandi organizzazioni sindacali sono fortemente integrate con lo Stato. Solo alcuni sindacati minori di categoria reagiscono e cercano di mantenere la dimensione conflittuale e antagonista. Secondo Maffi il movimento Occupy Wall Street è effimero e destinato a finire perché non riflette tanto un ceto operaio organizzato quanto la classe media che vede intaccata la propria posizione sociale. A queste parole mi è subito venuto in mente quello sparuto gruppetto di ragazzi che ho visto ripararsi dalla pioggia quando ero a New York.
La precarietà e la dispersione sul territorio fa tornare il movimento operaio agli albori della rivoluzione industriale ed ha ragione Maffi quando dice che leggere come si organizzavano gli scioperi allora è di insegnamento per l'oggi e soprattutto per il domani. Anche per noi Europei.