mercoledì 29 agosto 2012

12 agosto a Sant'Anna di Stazzema

Forse non è stato il giorno più adatto per andare a Sant'Anna di Stazzema: troppa gente per un posto così piccolo, abbarbicato a 600 metri di altezza sul livello del mare. Meglio forse salirci in una giornata più tranquilla e solitaria che favorisca il raccoglimento e la riflessione sugli eventi atroci che vi sono accaduti.
Da tempo però avevo il desiderio di andare a visitare il luogo di uno dei più feroci eccidi nazisti e così ho colto l'occasione della sua commemorazione. Ho trovato senz'altro interessante la visita al museo realizzato nell'ex scuola elementare. Mi ha fatto piacere incrociare facce conosciute a Marzabotto. Così come mi ha colpito l'intervento del Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, che ha avuto il coraggio e l'umiltà di venire a tenere un discorso in tedesco in questo luogo.


domenica 26 agosto 2012

Dove nascono le arance della legalità


Alfio C. sprizza simpatia dai suoi occhi azzurri e scintillanti, ha la foto di Falcone e Borsellino come sfondo per il cellulare e conosce tutte le canzoni dei Pooh che canta con passione al karaoke. Giuseppe sa fare di tutto, da tutti i lavori agricoli, alla pizza, alla carbonara, ad aggiustare le macchine ed è una miniera di informazioni e di racconti sulla sua terra, il Lentinese, tra Catania e Siracusa. Anche suo figlio Alfio V. ha la foto di Falcone e Borsellino sul cellulare. Alfio, che non ha ancora diciassette anni, è bravo a scuola e tutta l'estate si alza alle cinque per lavorare in campagna. E' lui che, serio e responsabile ma anche aperto ed allegro con i suoi vispi occhi neri, ci istruisce e ci segue nei lavori da fare nei campi. A Rosario piacciono invece i Liftiba ed anche lui è instancabile su e giù con il trattore nell'agrumeto. Alessia invece, con il suo sorriso solare ma anche con la sua fermezza e praticità, si occupa della gestione di Casabianca, della spesa, della cucina, di rispondere a tutte le mille richieste dei volontari.
Queste le squisite persone della Cooperativa Beppe Montana, che gestisce i terreni confiscati alle famiglie mafiose dei Riela e dei Nardo, tra Catania e Siracusa, e produce, con mille sacrifici e mille difficoltà, arance rosse, olio, pasta ed altro.
A ciò ci aggiungerei il rilassante paesaggio della piana di Catania con la sua distesa di agrumeti, il maestoso Etna che la domina, il vento teso che ci ha refrigerato per tutta la settimana, le splendide albe, le luci dei paesi in lontananza la sera, il cielo stellato, gli ottimi compagni che ho conosciuto e con i quali ho diviso questi sette giorni (tutti giovani bravi, responsabili, collaborativi e molto simpatici), le docce nelle ex-stalle dove i Riela tenevano i cavalli per le corse clandestine, gli ulivi da ripulire dai polloni, le innumerevoli pietre da spostare sull'appezzamento da destinare ad orto.
Questo e molto altro il campo di volontariato per Libera a Belpasso. Un'ottima esperienza dalla quale ho ricavato molto di più di quello che ho dato.

Alcune foto del campo.
Articolo di Nando Dalla Chiesa sulla cooperativa Beppe Montana.

giovedì 9 agosto 2012






Consueta pausa ferragostana ma di seguito... anche altro...

Un caro saluto a tutti quelli che passeranno di qui,

Artemisia

mercoledì 8 agosto 2012

C'è bisogno di "eroi normali"

In volo tra San Francisco e Bozeman mi sono vista la puntata di "Lucarelli racconta" dal titolo "Eroi normali". Essa trattava di persone comuni che facevano mestieri in genere tranquilli (medico, avvocato, albergatore) e semplicemente si sono trovate a dover scegliere se fare il proprio dovere oppure sottostare ad una intimidazione o diventare complici di una illegalità. Peccato però che queste storie sono finite tutte male a partire da quella più nota del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo.
Unica eccezione, e mi piace citarla proprio per trarne conforto, la storia dell'avvocato Vincenza Rando, che negli anni Novanta (anni caldi per la lotta tra mafia e Stato in Sicilia) ha fatto l'assessore alla pubblica istruzione al comune di Niscemi, città di poco meno di 30.000 abitanti in provincia di Caltanissetta.
La Rando faceva parte di quel gruppo di giovani, capitanati dal nuovo sindaco Salvatore Liardo, che presero in mano la città dopo che questa, nel 1992, aveva visto il proprio comune sciolto per infiltrazione mafiosa, nella speranza di poter imprimere una svolta. Enza Rando, come vicesindaco con delega alla Pubblica Istruzione, dovette affrontare molti problemi, primo fra tutti la mancanza di sufficienti edifici scolastici che costringeva tanti bambini niscemesi ad andare a scuola lontano.
In realtà dagli anni Ottanta a Niscemi vi erano ben quattro scuole costruite ma mai terminate, cattedrali nel deserto in quartieri abusivi senza servizi ad alta densità criminale. I soldi per terminarle c'erano ma ogni notte queste scuole venivano depredate e danneggiate, qualcuno rubava i cavi elettrici e il materiale didattico e dava fuoco alle palestre.
Non era solo l'appetibilità del materiale da rubare a causare questi attentati, quanto il fatto che la presenza di quelle scuole rappresentava "la presenza dello Stato", un qualcosa che, attraverso l'educazione e la cultura, forma la coscienza civile dei nuovi cittadini e questo la mafia non lo poteva tollerare. "Una sfida culturale" come la chiama Enza Rando.
Dopo aver chiesto inutilmente al Prefetto di farle presidiare dall'esercito, gli amministratori della cittadina pensarono di presidiare essi stessi la notte le scuole per proteggerle. La prima notte erano solo una decina ma già la mattina dopo qualcuno venne a portar loro il caffè. Col tempo le scuole occupate dall'amministrazione e poi dai cittadini e dalle mamme con i bambini divennero il luogo della comunità.
Infatti furono utilizzate anche di giorno con le riunioni del consiglio comunale, con gli anziani che ci venivano a giocare a carte, con gli scout per le loro attività. La notizia si diffuse ed arrivò la solidarietà e l'aiuto di altri sindaci anche del Nord.
Dopo cinque mesi di presidio, giorno e notte, nonostante altri danneggiamenti, venne completata e inaugurata la prima scuola alla presenza di tutta la comunità vestita a festa e poi tutte le altre.
L'avvocato Rando, donna forte e coraggiosa, è oggi responsabile dell'ufficio legale di Libera.
Conclude la puntata Carlo Lucarelli:
"Il nostro è un paese strano, in cui il male, i nemici non sono elementi eccezionali che devono essere combattuti da individui eccezionali come gli eroi della letteratura o del cinema. Da noi il male è così radicato nella vita di tutti i giorni che per combatterlo ci vogliono eroi normali che facciano il loro dovere, quello che va fatto. Gli eroi vincono le battaglie, gli eroi normali, a patto di non dimenticarli, vincono le guerre."

lunedì 6 agosto 2012

Irresistibile bisogno di accudire

Mi sto chiedendo in questi giorni perché noi donne (non tutte, certamente, e probabilmente anche alcuni uomini, ma molte e, soprattutto, io e diverse mie "compagne di genere") abbiamo un tale bisogno incontrollabile di accudimento che spesso ci capita inevitabilmente di sentirci rifiutate, incomprese e frustrate.
Questo dubbio angoscioso non mi è nuovo ma un paio di recenti episodi personali me lo hanno fatto tornare all'attenzione: un forte impulso di protezione che ho sentito verso mio marito alcuni giorni or sono e il racconto delle frustrazioni di una mia cara amica nei confronti del figlio adolescente.
Non lo so se questo bisogno è innato, stampato nelle spirali del nostro DNA, o ereditato da millenni di ruolo materno a partire dalla preistoria, o se invece ci è stato inoculato dalla società tramite il lavaggio del cervello che ci fanno da bambine, quando si succhia con il latte materno l'assioma che "prima vengono le esigenze degli altri e solo dopo le nostre".
Lo confesso pubblicamente e credo di poter parlare a nome di molte: non c'è cosa che ci dia maggiore soddisfazione che dare felicità o piacere ai nostri cari o anche solo alleviare le loro sofferenze. Non c'è cosa che ci fa sentire più realizzate e importanti. Se ciò sia giusto o sbagliato, nobile o pericoloso, non lo so, ma giuro che è così!
Razionalmente sappiamo benissimo che il troppo bene può essere nocivo, non tanto per il partner, adulto e vaccinato e fornito, si spera, delle sue difese, quanto per i figli che possono vivere questo enorme investimento di cure e di affetto come un soffocamento del loro sacrosanto diritto di volare, di scegliere liberamente chi sono, di poter sbagliare da soli (nei limiti del ragionevole ovviamente).
Se mio figlio sedicenne ha la pianta dei piedi che sembra una carta vetrata di grana 40 perché non se li cura, io non resisto: devo continuamente tormentarlo affinché faccia pediluvi emollienti e li spalmi di crema idratante. "Ma che te ne importa? I piedi sono miei!" protesta lui. Sono sicura che i miei consigli siano ragionevoli e sensati ma ha anche ragione lui rivendicando la libertà di lasciare che i SUOI piedi si deteriorino (Gustavo Pietropolli Charmet direbbe che sta "sfilando il suo corpo alla mamma").
Ho fatto apposta un esempio personale e innocuo per non farne tanti altri più delicati magari relativi scelte importanti della vita.
"Smettila di proiettare su di me i tuoi desideri frustrati!" ripete come un mantra il figlio dai piedini di fata, talvolta anche un po' fuori contesto devo dire.
Noi donne, e soprattutto noi mamme, dobbiamo fare un lavoro continuo ed immenso per controllare e possibilmente superare questo estremo bisogno di accudimento che sentiamo, dobbiamo proprio farci forza per deviare questo tipo di impulsi dagli altri, dai nostri cari, a noi stesse. Capiteci e aiutateci, per favore! Altrimenti rischiamo di diventare come la protagonista di questo memorabile spot della "TV delle ragazze":

sabato 4 agosto 2012

Il sogno di scrivere

Non ho focalizzato bene quali siano gli ingredienti di un libro che fanno scattare in me quella scintilla particolare che potrei sintetizzare nella formula "goderne della lettura". Sono rarissimi i libri che mi danno piacere nel leggerli. Molti li ritengo interessanti e istruttivi, altri invece mi irritano, altri ancora blandamente gradevoli, ma è raro che che li legga con avidità senza guardare, più o meno frequentemente, quante pagine mancano alla fine.
Per l'ultimo libro di Massimo Gramellini, "Fai bei sogni", (che per inciso ho letto in versione digitale), questa scintilla è scattata. Gli ingredienti? Scrittura immediata e scorrevole ma curata, contenuto reale ed intimo (ho sempre adorato biografie ed autobiografie e non è rilevante se può essersi inventato qualcosa), capacità di raccontarsi con ironia, leggerezza e semplicità, l'inserimento di considerazioni generali che possono anche non essere originalissime (ci sarà sicuramente chi lo ha detto prima e meglio, saranno forse "aforismi da smemoranda" come li ha definiti qualcuno su aNobii) ma possono toccare tasti sensibili dentro di noi e portarci a riflettere.
Faccio un paio di esempi:

pag. 84 "Le donne non si conquistano con le corde vocali, ma con gli orecchi. Noi maschi sprechiamo tempo a rintronarle di battute memorabili quando l'unica cosa che ci chiedono è di prestare attenzione ai loro pensieri." (E' proprio così ma credo che valga anche per gli uomini).

pag. 76 "I se sono il marchio dei falliti. Nella vita si diventa grandi nonostante." (Frase che egli attribuisce ad un educatore religioso ma che finisce per riassumere la sua evoluzione nei confronti del suo complesso di orfano.)
"I mostri del cuore si alimentano con l'inazione. Non sono le sconfitte a ingrandirli, ma le rinunce." (Dolorosaamente vero).

La frase che mi ha colpito di più per il tasto che tocca dentro di me:

pag. 82 "Il sogno di scrivere si era materializzato in forma imprevedibile, quando avevo creduto di non desiderarlo più. Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti dei segnali disperati, come la noia e l'assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione."

Parlare dello scrivere come "il sogno per cui sono venuta al mondo" è sicuramente eccessivo. Tuttavia da grande ho capito quanto scrivere sia per me un bisogno irrinunciabile. Non so nemmeno alla fine se mi sarebbe piaciuto farne la mia professione, come invece ha scoperto Massimo Gramellini riguardo a se stesso, però grazie al blog ho capito quanto sia importante per me l'atto di esternalizzare i pensieri e le emozioni su un testo scritto, bello o brutto, curato o tirato via, destinato alla lettura di terzi oppure intimo e personale, non fa poi tanta differenza. Giorni fa in un particolare momento di sconforto ho pensato di non scrivere più sul blog ma un secondo dopo mi era già venuto in mente di continuare a scrivere in modo più privato (diario o lettera o qualcosa del genere).
A New York in attesa del volo che ci avrebbe riportato a Roma mi sono messa a buttar giù su un taccuino la prima bozza di quello che sarebbe stato il post sul viaggio. Mio figlio accanto a me sgranava gli occhi per la velocità con cui scrivevo (pensieri comunque elaborati nei giorni precedenti): "Ma come fai? Quando faccio un tema ci metto un secolo prima di scrivere tutte quelle righe!"
Eh, i sogni... i sogni...

mercoledì 1 agosto 2012

Se Narciso ha preso il posto di Edipo

Di Gustavo Pietropolli Charmet mi è piaciuto molto un libro che lessi qualche anno fa e che mi fece apprezzare il suo modo di psicoterapeuta, specializzato in adolescenti, di accostarsi ad essi con la curiosità di capire e senza la presunzione tipica dell'adulto che crede di sapere senza neanche aver chiesto agli interessati. Stesso approccio che ho ritrovato nel suo bellissimo intervento al festival Dialoghi sull'uomo su "Il rifiuto del corpo in adolescenza", talmente interessante che varrebbe la pena trascriverlo tutto.
In sintesi Pietropolli spiega che nella odierna società del narcisismo il modello educativo è profondamente cambiato. Dal modello della colpa e del castigo (che fortunatamente è stato abbandonato) siamo passati al modello della relazione, alla nuova rappresentazione del bambino come competente, unico e originale. Pertanto dobbiamo adeguarci a questa prospettiva e capire che sui banchi di scuola non siede più Edipo ma Narciso ed è con lui che dobbiamo fare i conti.
I ragazzi e le ragazze tra i 13 e i 16 anni oggi dovrebbero essere molto soddisfatti del processo di appropriazione della loro corporeità sessuata e generativa, cioè del corpo che capita loro in sorte in occasione della "seconda nascita", non più un corpo ipotecato dal sentimento di colpa, bensì un corpo del desiderio, del piacere, dell'agilità e della forza, un corpo "sociale" con il quale comunicano agli altri chi sono e del quale possono godere senza le paure del castigo che impegnavano gli adolescenti delle generazioni precedenti costretti a patteggiare il loro ingresso nella sessualità e nell'autonomia sociale. Infatti nella stragrande maggioranza dei ragazzi il processo di appropriazione e di "mentalizzazione" di questo nuovo corpo avviene abbastanza serenamente. Con qualche operazione di collaudo e di verifica e sempre in contatto 24 ore su 24 con quel laboratorio psico-socio-antropologico che è il gruppo dei coetanei, le femmine imparano le tecniche di seduzione e i maschi le tecniche di corteggiamento, e si arriva a quel processo di appropriazione e di ricostruzione di un'immagine corporea che piaccia veramente, che si sente propria, che traduca agli occhi dei coetanei e degli adulti quanto si è importanti ed interessanti.
C'è però una frangia di adolescenti che Pietropolli definisce "narcisisticamente fragili" per i quali questo processo diventa molto sofferto e pieno di ostacoli. Si tratta di quei ragazzini e ragazzine che già dalle elementari sono "adultizzati" e spinti dai genitori a valorizzare se stessi troppo precocemente. Il bambino non capisce bene chi è ma intuisce una cosa sicura: che è maschio o femmina ed è portato ad "avventarsi" sui suoi valori di riferimento della virilità e della femminilità ed indossarne, in modo patetico e caricaturale, i relativi abbigliamenti. Una pubertà psichica che precede quella biologica. In questo periodo i bambini possono interiorizzare dei modelli di virilità e di femminilità dalla sottocultura dei massmedia in modo che, quando il corpo puberale definitivo sopraggiunge, essi rimangano delusi da esso: troppo grasso, troppo magro, troppo piccolo, troppo peloso, senza peli, coi brufoli, troppe poche curve, ecc.
Al sentimento di colpa di un tempo, si sostituisce così un sentimento sociale più difficile da combattere: la vergogna. Ci si trova per le mani un corpo non mentalizzato, che non traduce la propria affettività profonda ma la tradisce, che diventa la fonte di esperienze vissute soggettivamente come umilianti e mortificanti. Un corpo però anche disponibile ad essere oggetto di tutti i tipi di fantasie negative, che può diventare il colpevole di tutti i propri insuccessi o la vittima di tutti i propri eccessi e può essere oggetto di un giudizio dettato dai crudeli ideali della cultura massmediale (magrezza, scultura greca, corpo affascinante in grado di conquistare lo sguardo).
L'adolescente ha bisogno dello sguardo dell'altro e se si sente umiliato cerca di "sparire" mettendosi a ruminare un progetto vendicativo che lo riscatti.
Da qui nascono i tentativi di "abbellire" il corpo con comportamenti antiistintuali inseguendone la magrezza o scolpendolo in palestra, i travestimenti, l'uso di droghe prestazionali per vincere le sue debolezze. Oppure la necessità, di fronte alle umiliazioni, di "sparire", lasciare "la passerella della scuola" e chiudersi in camera, in una realtà virtuale dove si è sfrontati perché finalmente senza quel corpo che non è "il nostro" ma che si è costretti a portare in giro come un peso.
Gli adulti sono spaventati e vivono questi comportamenti come "contro" di loro ma, secondo lo psicoterapeuta, non è così. Narciso non ha nessun "padre guerriero" da abbattere come aveva Edipo ("il padre gira per casa disarmato", dice Pietropolli). Gli interlocutori di Narciso, quelli a cui deve dimostrare di aver conquistato un IO interessante e affascinante, sono i coetanei.
E allora che fare? Secondo Gustavo Pietropolli Charmet cercare di capire queste nuove esigenze, negoziare e contrattare con le nuove istanze, recuperare l'alleanza educativa scuola-famiglia. I castighi non servono più perché questi ragazzi non hanno più paura di essi. Bisogna forse far capire loro che la scuola è al servizio del loro processo di soggettivazione, ha lo scopo proprio di costruire persone felici perché in possesso di una cultura, di una competenza che non li garantisce contro la disoccupazione ma può fornire uno sviluppo del sé che li renderà molto più contenti. Far intravedere a Narciso che la scuola è uno specchio, uno strumento al servizio del sé, che non si vuole domarlo ma abbellirlo dall'interno.
D'altro canto bisogna combattere altri adulti che sono in giro come quelli che vengono fuori dallo schermo televisivo e che sono spacciatori di illusioni. Sono loro i nostri principali avversari in questo delicato processo che, come dice Renato Zero in una vecchia canzone, "un evento poi non è" ma ti può davvero cambiare la vita.