mercoledì 29 ottobre 2008

La scoperta dell'amore

Non sono una psicologa, ma credo che la scoperta dell'amore sia un processo fondamentale per la crescita di un individuo. Almeno per me è stato così e penso anche per tutte le donne. Nei maschi non lo so. Mi piacerebbe anche capire le differenze in questo senso.
Come succede alle bambine, ho cominciato presto a pensare al "fidanzato". Nel mio diario di quando avevo nove anni c'è tanto di classifica, aggiornata periodicamente, con accanto al nome di qualche bambino un simbolino di due labbra e in fondo alla pagina la "legenda" che spiega il suo significato: baciato.
Il mio diario di tredicenne invece è quasi monotematico. Si parla costantemente di ragazzini adocchiati, puntati, incontrati, pedinati ma sempre rigorosamente a distanza. Era il tema centrale della mia vita di quel periodo e anche quello delle mie amiche. Non si parlava d'altro. Spesso a questi ragazzini, non sapendo neppure il nome, affibbiavamo i soprannomi "loden blu", "quello con i Rayban", ecc.
Poi un giorno, durante la messa (ero nel breve periodo in cui tentavo di avere una fede) uno dei ragazzi che avevamo adocchiato approfittò dello scambio del segno di pace per darmi la mano e chiedermi come mi chiamavo. Si chiamava Alessandro, aveva 15 anni e io 13. Era un bel ragazzo, occhi verdi, riccioli neri, il fascino di quello che la sa lunga. Aveva il vespino cinquanta e mi portava per stradine secondarie sulle colline intorno a Firenze. Io ero orgogliosissima di avere finalmente un ragazzo, di piacere a qualcuno. La mia autostima aveva subito un vertiginoso rialzo. Alessandro però era troppo audace nelle sue effusioni per la mia immaturità. Non sapevo come gestire le sue richieste. Per pudore non avrei voluto che lui allungasse le mani sotto il mio maglione ma ero troppo timida per contrariarlo. Per questo dopo solo tre mesi lo lasciai. Lui non capì e forse ci rimase anche male mentre io ripiombai nella triste solitudine di sempre.
Due anni dopo mi misi con Stefano, un ragazzino della mia classe, tenero e inesperto come me, con il quale mi divertii molto. Aveva solo un difetto: era gelosissimo. Appena scherzavo un po' di più con altri compagni maschi mi metteva il muso. D'estate volli provare l'esperienza del lavoro facendo la commessa in un negozio. Poiché mi avanzava ben poco tempo libero e mio padre non mi faceva uscire da sola né la domenica pomeriggio né tanto meno dopocena (non era la Preistoria, si parla del 1978, ma mio padre aveva la mentalità dell'Ottocento), le occasioni per vedersi con Stefano erano minime e giustamente lui reclamava. Così la nostra storia dovette concludersi con mio e suo rammarico.
Tra i sedici e i diciassette anni passai la crisi più dura della mia adolescenza. Mi sentivo incompresa, infelice, una fallita, un'inetta. Ne uscii a 18 anni grazie al mio primo grande amore, Piero, anche lui un compagno di classe. Più maturo della sua età, Piero seppe essere paziente e comprensivo con i miei problemi di "autocensura", nello stesso tempo era allegro e affettuoso. Mi ricordo le telefonate fiume la sera dopo cena e le lunghe discussioni anche di politica. Mi ricordo che arrivavo a scuola sempre prima la mattina perché così potevo stare un po' con lui. Il nostro rapporto durò tre anni alla fine dei quali non ero più la stessa persona. Probabilmente sarei maturata lo stesso ma sicuramente questa esperienza ha dato un contributo importante alla mia autostima.
Scoprire l'amore è un'esperienza bellissima e fonte di emozioni indimenticabili ma anche di sofferenze indicibili che spesso gli adulti tendono ingiustamente a minimizzare.

PS nella foto: i più teneri fidanzati del mondo: i miei genitori.

domenica 26 ottobre 2008

Torna la rubrica delle buone notizie

Mi sono accota con orrore che è da luglio che non faccio un post di buone notizie. Molto male! Prima che mi passi l'impeto, elenco quelle che, senza nessun altro criterio che il mio personale parere, del tutto arbitrario, sono le buone notizie di questo periodo. In ordine rigorosamente sparso:


1) Il movimento che sta nascendo in opposizione al decreto Gelmini e alla legge 133 che taglia i fondi all'Università e alla ricerca pubblica è sicuramente una buona notizia per molti motivi: perchè è grande, coinvolge tante figure diverse, studenti, insegnanti, ricercatori, genitori, professori, perchè non si fa etichettare dai partiti (non ho nulla contro i partiti ma questa protesta è, e dovrebbe rimanere, una protesta dei cittadini) e soprattutto perchè è pacifico. E' bello che i ragazzi abbiano resistito alle provocazioni e abbiano dimostrato maturità. Spero proprio che continui così. Tutti si stupiscono della quantità di gente coinvolta in questa protesta. Altro che "piccole frange marginali"! Hai visto, caro Lupo, che alla fine siamo arrivati ad occupare le prime pagine dei giornali? Guardando la galleria di immagini che si trova sul sito di Repubblica mi colpisce il fatto che oggi la tecnologia ci consente di dare risonanza ai cortei e agli striscioni vanificando il balletto di cifre che segue sempre una manifestazione. Anche solo sfogliando quelle immagini, che vengono dai posti più impensati, ci si rende conto della proporzione della protesta.

2) Trovo che la riuscita della manifestazione del 25 ottobre al Circo Massimo sia una buona notizia. Ero un po' freddina, a dire il vero, su questa manifestazione pensata con anticipo di mesi però sono comunque contenta che abbia avuto una grande partecipazione e che i suoi contenuti siano finalmente quelli di un'opposizione chiara e decisa alle nefandezze che sta facendo questo governo. Speriamo bene.

3) Un'altra cosa che mi ha stupito positivamente in quest'epoca di arretratezza culturale creata dalla TV commerciale inseguita dalla RAI in nome dell'audience, è la grande partecipazione che riscuotono iniziative culturali anche piuttosto impegnative. Il Festival della mente di Sarzana (e Sarzana non è proprio l'ombellico del mondo) ha registrato il pienone, tanto che noi non abbiamo trovato i biglietti nemmento 20 giorni prima Ed alcuni interventi non sono per nullla facili. Una settimana fa sono andata ad una tavola rotonda per il centenario della nascita di Simone De Beauvoir. "Ci saranno quattro femministe nostalgiche", ho pensato. Macchè! Sala strapiena con donne (e uomini) di tutte le età, alcune sedute in terra, altre appoggiate al muro. Oggi infine ho partecipato alla prima lezione di storia della serie "Gli anni di Firenze" organizzata dal Comune di Firenze e dall'editore La Terza, sulla falsa riga di quelle tenute l'anno scorso all'Auditorium di Roma. C'era uno splendido Alessandro Barbero che parlava della battaglia di Campaldino. Insomma, in una domenica mattina di splendido sole, già un'ora prima si era formata una composta, civile interminabile fila. Il teatro, che conteneva circa 600 posti, era pieno e molti sono rimasti fuori. Io trovo straordinario questo interesse. Mi fa sperare che non siano riusciti ad obnubilarci il cervello con i reality show!

4) Cambiando argomento, in un periodo in cui si è persino sentito l'orrore delle classi separate per i bambini stranieri, ieri sulla cronaca di Firenze de L'Unità c'era un bell'articolo che raccontava l'esperienza dell'asilo nido La Giostra, alla periferia della città gestito dal COSPE, dove i bambini italiani e stranieri convivono perfettamente in un fantastico melting pot, tanto che i bambini italiani chiedono la mela alla maestra chiamandola "pin-hua" (dialetto cinese), festeggiano il Natale ma anche il Capodanno cinese e quello iraniano, imparano a dire buon giorno in tutte le lingue, ecc.

5) Infine una chicchina che sembra quasi una battuta. Vi ricordate il mio reportage da Aulla e l'inquietante statua di Bettino Craxi in marmo di Carrara che domina l'omonima piazza? Pare che il nuovo sindaco, Roberto Simoncini (UdC), l'abbia messa all'asta per fare cassa. Grandioso! (fonte: Il Corriere della Sera)

sabato 25 ottobre 2008

Il cibo, il pianeta e l'economia

Ci sono persone che a sentirle parlare mi si apre il cuore, mi torna la voglia di sperare. Uno di questi è Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, autore di "Buono, pulito e giusto", che molti di voi avranno sentito domenica sera ospite a Che tempo che fa.
"Il cibo rimane il bandolo per capire il mondo in cui viviamo" dice Petrini. I dati FAO parlano di 850 milioni di persone nel mondo che non hanno cibo a sufficienza. Con 30 miliardi di dollari all'anno i governi avrebbero potuto dimezzare il numero dei mal nutriti. La "finanza canaglia", come la definisce Petrini, che ha distrutto l'economia ha distrutto anche la vita di molte persone. E oggi per salvare questa finanza sono usciti come per incanto 2000 miliardi di dollari (che nemmeno basteranno).
Con l'iniziativa Terra Madre, che si tiene in questi giorni a Torino, si vuole far conoscere il percorso che porta un cibo dalla terra alla tavola. I contadini di tutto il mondo stanno cercando di accorciare il viaggio che il cibo fa dal produttore al consumatore. Secondo Petrini, occorre rilocalizzare l'agricoltura e difendere quella dei nostri territori. Non si può pensare che il bisogno alimentare sia soddisfatto con derrate che attraversano i nostri continenti. Rendendo forte la nostra agricoltura ridurremmo la filiera ed avremmo un'economia sana.
Accanto all'economa di mercato, che mai come oggi è in discussione, c'è sempre stata l'economia della natura e della sussistenza, considerate miserevoli e senza futuro per tanti anni. Ma se oggi il pianeta si è conservato e la maggior parte dell'umanità mangia ancora, lo si deve in gran parte all'economia di sussistenza e all'economia della natura, afferma Petrini. L'economia di mercato dovrebbe diventare più virtuosa smettendo di essere troppo egocentrica.
Il fulcro del pensiero di Slow Food è quello di tornare a dar valore al cibo. Il cibo è parte di noi stessi, è la garanzia della nostra salute e della nostra vita sociale.
Consumare la frutta e la verdura di stagione, oltre ad essere un atto di buon senso, è anche una cosa di maggior piacere. Se aspettiamo un cibo nella sua stagione naturale saremo più gratificati dal suo gusto piuttosto che se ce l'abbiamo a disposizione tutti i giorni, senza contare l'inquinamento che quei prodotti hanno comportato a causa del lungo viaggio e delle sostanze necessarie per conservarli.
In Italia buttiamo via ogni giorno 4.000 tonnellate di cibo edibile. Bisognerebbe essere più parsimoniosi e "non rendere i nostri frigoriferi delle ecatombe del cibo". Più buon senso per lavorare verso un'economia più sana.
Bisogna inoltre preservare la biodiversità, cioè fare in modo che sul pianeta ci siano più specie possibili di frutta, verdura, fiori e animali. In questa diversità la terra vive e l'umanità trova speranza di vita. Se un singolo frutto o un singolo animale non sono produttivamente validi di per sé, possono avere un senso nell'economie locali. Rafforzare le economie locali e tornare al senso della giusta misura è la ricetta di Petrini. La giusta misura ci consente di preservare la biodiversità mentre un'economia che si basa sul consumo sfrenato provoca la morte dei soggetti più deboli.
Colpisce apprendere che i contadini e i pescatori nel mondo sono quasi la metà dei viventi. Nel 1950 in Italia quasi il 50% era contadino mentre oggi solo il 4%.
Il problema, dice Petrini, è che non diamo più valore al cibo che un tempo aveva quasi una sua sacralità. Oggi viviamo l'aumento dei prezzi della frutta e della verdura come una paura collettiva. Ci scagliamo contro il contadino che vuole troppo ma nessuno, guarda caso, vuole più fare il contadino. Inoltre la percentuale di reddito che una famiglia media italiana spende per il cibo è diminuita moltissimo. Nel 1970 si spendeva il 32% del reddito per mangiare, oggi il 14-15%. E' giusto orientarsi anche su altri consumi ma perché tutti discutono se la pasta aumenta di 10 centesimi mentre nessuno discute sul fatto che la spesa in telefonia incide del 12% sul reddito delle famiglie?
Altro tema toccato nella trasmissione è la cementificazione del nostro paese. Dal 1990 al 2005 sono stati cementificati 3 milioni di ettari in Italia, un'area grande quanto l'Abruzzo e il Lazio messi insieme. Per tre secoli il nostro paese ha offerto ai visitatori di tutto il mondo elementi di crescita culturale e intellettuale, e ora lo stiamo abbrutendo ad una velocità incredibile con colate di cemento inaudite (200.000 ettari all'anno!).
L'uomo non si sente più responsabile per gli abitanti che verranno perché probabilmente, dice Petrini, si crede immortale. Tutti vivono prendendo il più possibile senza pensare al futuro.
"Sulla salvaguardia del pianeta e dei nuovi sistemi climatici si potrebbe invece costruire una nuova prospettiva economica, non di mortificazione, ma di rilancio forte di un'economia nuova."
Musica per le mie orecchie.

Carlo Petrini a Che tempo che fa

martedì 21 ottobre 2008

Erice, città fantasma

Due giorni ad Erice per un corso di formazione. Un posto strano, Erice, situato su un'altura rocciosa che domina la piana trapanese con vista sulle saline, sulle Egadi e sul litorale fino a S.Vito Lo Capo. Le architetture medievali delle case, delle numerose chiese e monasteri, del Castello del Balio, contrastano con quelle dei paesi della piana. Le stradine strette e lastricate di pietre sono pulitissime e tirate a lucido.
Mi dicono che negli anni Settanta il paese fosse pressoché abbandonato mentre poi è risorto grazie al Centro "Ettore Majorana", creatura ed orgoglio del Prof. Antonino Zichichi, ed alla sua attività congressuale che va avanti tutto l'anno. I partecipanti a questi convegni (come lo sono stata io in questi giorni) hanno tutto quello che possono desiderare: ottimo cibo, silenziosissime camere in ex conventi ristrutturati (qualcuno dei miei colleghi si e' perfino lamentato del "troppo silenzio", segno che ormai siamo proprio inquinati anche da questo punto di vista), possibilità di collegamento wireless dappertutto, tavernetta con marsala e dolcetti ericini a disposizione la sera. Ottima ospitalità, quindi, niente da dire.
Solo che il paese sembra che non abbia vita propria: si vedono solo bar, ristoranti, pasticcerie e negozi di souvenir. Non una scuola, non una mesticheria, niente che riveli una vita normale. La sera infatti quasi tutte le case sono deserte e sprangate (almeno in questa stagione). C'è qualche auto parcheggiata ma non si sente il minimo rumore.
"Luogo turistico colto" recita il cartello posto all'entrata di Porta Trapani.
Un tranquillo inquietante gioiellino, secondo me.

sabato 18 ottobre 2008

Cicala o formica?

In questo periodo il lavoro mi sta assorbendo più tempo e più energia del solito e non riesco a ritagliarmi momenti per navigare in rete, leggere i post e informarmi in modo un po' approfondito. Ho seguito quindi un po' superficialmente la questione della crisi finanziaria che è presentata dai media come una catastrofe. Confesso che ci capisco poco però è da tempo che rifletto sul fatto che ci sono persone che sentono talmente forte il bisogno di spendere da ricorrere disinvoltamente all'indebitamento ed altre che invece cercano la sicurezza del risparmio a costo di rinunciare a qualche voglia. Si potrebbe in questo senso sintetizzare dividendole in cicale e formiche.
Io, per carattere e anche per l'educazione che ho ricevuto, mi sento sicuramente formica. Mi tranquillizza l'idea di avere qualche risparmio da parte (cercando di investirlo tra l'altro in modo sicuro e anche etico a costo di ricavarci poco). Persino nella banca del tempo prevista dal nostro contratto di lavoro ho bisogno di avere qualche ora fatta in più da poter prendere di recupero in caso di bisogno. Sto male se nel portafoglio ho meno di 20 euro, non parliamo poi se mi capita di andare in riserva con la benzina. L'idea di avere debiti da pagare mi crea un'ansia spaventosa. Mi ritengo fortunata perché i casi della vita non mi hanno mai messo in condizioni di averli.
Sfortuna a parte, ci sono però i tipi cicala che invece queste situazioni se le vanno proprio a cercare. Un esempio classico è una mia collega che si lamenta sempre di essere in rosso sul conto corrente salvo poi, appena può, sperperare il poco che riesce a racimolare in cose frivole come trattamenti estetici per cosce e glutei o vacanze sulla neve o monili o anche spettacoli teatrali (spesa non frivola ma controindicata per chi è sempre sull'orlo del fallimento). Non riesco proprio a capire questo tipo di persone. La sua tipica risposta semiseria alle obiezioni che le vengono fatte è: "Ma non dicono che bisogna fare girare l'economia?".
A me, povera formichina sempre più orientata verso la decrescita, vengono i brividi. Talvolta mi sento antiquata ma poi quando leggo che è sempre più diffusa l'abitudine ad indebitarsi, incoraggiata dalle banche, non solo per necessità ma anche per potersi permettere il superfluo, ecco allora non mi sento più tanto fuori posto.
Per citare un interessante articolo di Zygmunt Bauman (Il mondo drogato della vita a credito)
segnalatomi dal buon Nestorburma:
"I clienti che restituiscono puntualmente il denaro preso in prestito sono l'incubo dei prestatori. Le persone che si rifiutano di spendere denaro che non abbiano già guadagnato e si astengono dal prenderlo in prestito, non sono di alcuna utilità ai prestatori - perché sono quelli che (spinti dalla prudenza o da un senso antiquato dell'onore) si affrettano a ripagare i propri debiti alle scadenze."
E voi vi sentite più cicala o più formica?

mercoledì 15 ottobre 2008

La caduta di Costantinopoli

Interessante e affascinante la serie di Alle otto della sera dal titolo "29 maggio 1453: la caduta di Costantinopoli", raccontata dalla calda voce della storica Silvia Ronchey.
Tutti sanno quanto fu simbolicamente importante quell'episodio, tanto da indicare quella data come la vera fine dell'Impero Romano e l'inizio dell'età moderna, però la Ronchey è particolarmente abile a tracciare l'atmosfera che si respirava in questa enclave bizantina in terra musulmana, a sottolineare l'atteggiamento ambiguo di Genova e Venezia con il loro protocapitalismo dei traffici ed infine a raccontarci l'avvenimento anche dall'altra parte, quella musulmana.
La caduta di quella che era chiamata "Il faro del mondo" o "La città delle città", viene descritta ovviamente come una conquista ma con tono poetico, quasi come una seduzione, dallo storico turco Tursun Bey, biografo ufficiale di Mehmet II. Per il giovane sovrano la conquista di Costantinopoli era infatti un'idea fissa. Egli provava, dice la Ronchey, per questa città un'attrazione fisica, come una giovane sposa a cui avevano aspirato molti sultani dell'Islam, come per una donna desiderata in modo incontenibile dopo un lunghissimo corteggiamento.
Sentite come la descrive Tursun Bey nel libro "La conquista di Costantinopoli"

"Quando l'ombra dei capelli arruffati della notte simile al volto di una schiava greca scese sul giorno, i guerrieri della fede traversarono il fossato e appoggiarono scudi e scale alte come il cielo alle mura delle torri. La battaglia durò fino al mattino finché i soldati del giorno non ebbero irrorato di sangue le lande dell'aurora per contendere la torre celeste del castello dello zodiaco al negro emiro della notte che l'aveva occupata."

Dall'altra parte però la conquista fu un bagno di sangue, morte e devastazione.
Un altro momento suggestivo è quando la Ronchey racconta che, alla vigilia dell'assalto definitivo, c'era una sorta di guerra di suoni: campane e cori di riti religiosi da parte dei Bizantini e tamburi sciamanici dalla parte dei Turchi, i quali, originari delle steppe, avevano nelle loro mani quest'arma psicologica potentissima.
Bello anche il confronto tra i due discorsi che, secondo le fonti, Mehmet II da una parte e Costantino XI dall'altra fecero agli ufficiali il 28 maggio, alla vigilia della battaglia.
Mehmet II tenne un discorso meraviglioso enumerando le voluttà del paradiso islamico ai credenti morti in combattimento per poi passare più prosaicamente ad elencare puntigliosamente le ricompense terrene. Descrisse tutto ciò di cui rigurgitava la città, oggetti preziosi, bei palazzi e giardini, ma soprattutto sottolineò la bellezza delle donne e anche degli adolescenti. "Oggi vi faccio dono di una città immensa, la capitale degli antichi Romani, il centro di tutta la terra".
Il discorso di Costantino XI invece fu molto semplice, come del resto era la sua personalità, poco politica e molto marziale. "Ci sono 4 ragioni per cui un Greco deve essere sempre pronto a morire: o per la sua fede, o per la sua patria, o per la sua famiglia o per il suo imperatore. Adesso che queste ragioni sono presenti tutte e quattro, quando se non adesso bisogna essere pronti a morire?"

Per chi predilige la lettura, il contenuto di queste puntate corrisponde lo può trovare nel libro omonimo mentre qui trovate un articolo su La Stampa.

lunedì 13 ottobre 2008

Rituffarsi nella mischia

1) Ieri pomeriggio sono andata alla Festa regionale dell'ANPI dal titolo esplicito: "La Resistenza continua, difendere e attuare la Costituzione". Accalorato e applauditissimo intervento finale del presidente provinciale Silvano Sarti "Pillo".

2) Ricevo per SMS da un'amica l'invito a scrivere al Presidente della Repubblica per chiedergli di non firmare il decreto Gelmini. Fatto.
Per chi fosse interessato questo e' l'indirizzo:
https://servizi.quirinale.it/webmail/
e qui un esempio di messaggio:

Esimio Presidente della Repubblica, come docente/genitore e soprattutto cittadino italiano le chiedo di fermare lo smantellamento della scuola pubblica ad opera del Decreto Legge 137.
In fede

(firma
)

e qui un altro appello fresco fresco. In rete corre voce che stiano arrivando molti messaggi. Non so se è vero pero' vedo che e' molto lento. Segno di grande traffico. Buon segno, direi.

3) E stasera andrò al Corteo in difesa della scuola pubblica che si terrà a Firenze in Piazza Santissima Annunziata alle 21.

Dopo la pausa naturalistico-meditativa, mi ributto nella mischia.

domenica 12 ottobre 2008

Boccata d'ossigeno


A un'ora di auto da Firenze c'è un posto molto bello dove si riesce a dimenticare il traffico e il cemento: la Riserva Naturale Acquerino-Cantagallo. Nella riserva, tra bei boschi di castagni, c'è un capanno, in località Cerliano, mantenuto in ordine da un gruppo di pensionati volontari.
Con mio figlio piccolo avevamo adocchiato questo capanno circa un anno fa e ci eravamo ripromessi di passarci una notte con materassini e sacchi a pelo proprio in questo periodo in cui i cervi maschi bramiscono a più non posso per mostrare tutta la loro virilità.


Non è stato facile trovare un fine settimana adatto in cui tutta la famiglia fosse libera da impegni, il tempo clemente e mio figlio grande disposto ad accontentarci (mi costerà un Fiorentina-Bayern ma fa lo stesso).
Mi ci voleva proprio. Porterò con me nel lungo inverno di freddo e di smog, il ricordo delle cerve che pascolavano nel coltivo antistante il capanno, dei maestosi castagni, della luna quasi piena che risplendeva nel cielo mentre chiacchieravamo sdraiati sull'erba dopo cena, del silenzio rotto dai possenti bramiti che ci hanno fatto compagnia tutta la notte, dei colori fantastici stagliati nel cielo azzurro soprattutto la mattina presto quando sono uscita lasciando gli altri dormire.


Sono contenta di essere riuscita a fare questa piccola cosa.

venerdì 10 ottobre 2008

+ scuola x tutti : - ingiustizia

In questo periodo di stanchezza e di demoralizzazione una preoccupazione mi assilla in particolare: la sorte della scuola pubblica. Quella scuola che, come già diceva Piero Calamandrei (nell'ormai famoso discorso del 1950 che tutti citano), "ha il difetto di essere imparziale"

Così ho sentito il bisogno di riprendere in mano quel bellissimo libro che è "Lettera ad una professoressa" della Scuola di Barbiana. La scuola di Barbiana non era certo una scuola pubblica, era lo scopo di vita di quell'uomo straordinario che fu Don Milani. Ma è proprio il suo concetto di scuola come strumento di promozione sociale e di riscatto dei più poveri che ci sarebbe bisogno di affermare oggi più che mai.
Preferisco tacere quindi far parlare lui e i suoi ragazzi.

"La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde."

"Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo."

"Voi dite d'aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E' più facile che i dispettosi siate voi."

"Quando la scuola è poca il programma va fatto badando alle urgenze. Pierino del dottore ha tempo di leggere anche le novelle. Gianni no. Vi è scappato di mano a 15 anni. E' in officina. Non ha bisogno di sapere se è stato Giove a partorire Minerva o viceversa. Nel suo programma d'italiano ci stava meglio il contratto dei metalmeccanici. Lei signora l'ha letto? Non si vergogna? E' la vita di mezzo milione di famiglie. Che siete colti ve lo dite da voi. Avete letto tutti gli stessi libri. Non c'è nessuno che vi chieda qualcosa di diverso."

"Vediamo un po' a chi giova che la scuola sia poca.
Settecentoquaranta ore l'anno son due ore al giorno. E il ragazzo tiene gli occhi aperti altre quattordici ore. Nelle famiglie privilegiate sono quattordici ore di assistenza culturale di ogni genere.
Per i contadini sono quattordici ore di solitudine e silenzio a diventare sempre più timidi. Per i figlioli degli operai sono quattordici ore alla scuola dei persuasori occulti [la pubblicità si chiama persuasione occulta quando convince i poveri che cose non necessarie siano necessarie.]
Specialmente le vacanze estive hanno l'aria di coincidere con precisi interessi. I figlioli dei ricchi vanno all'estero e imparano più che d'inverno. I poveri il primo ottobre hanno dimenticato anche quel poco che sapevano a giugno. Se son rimandati a settembre non possono pagarsi le ripetizioni. In genere rinunciano a presentarsi. Se son contadini danno una mano per le faccende grosse dell'estate senza aggravio per la fattoria."

"Sapete bene che per fare tutto il programma a tutti non bastano le due ore al giorno della scuola attuale.
Finora avete risolto il problema da classisti. Ai poveri fate ripetere l'anno. Alla piccola borghesia fate ripetizioni. Per la classe più alta non importa, tutto è ripetizione. Pierino quello che insegnate l'ha già sentito a casa."

"La più accanita [insegnante] protestava che non aveva mai cercato e mai avuto notizie sulle famiglie dei ragazzi: "Se un compito è da quattro io gli do quattro." E non capiva, poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c'è nulla che sia ingiusto quanto fare le parti eguali fra disuguali."

"Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli."

"Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia."

Dedicato a mio figlio che partecipa oggi alla sua prima manifestazione di protesta.

martedì 7 ottobre 2008

Perchè i nostri figli crescono troppo in fretta?

In una puntata di Fahrenheit Radio3 di qualche tempo fa si è parlato di un fenomeno che ha colpito molto anche me: il fatto che i bambini e i ragazzi di oggi sembrano talvolta comportarsi da adulti in miniatura, sembrano aver perso quell'ingenuità, quella naturalezza, quella freschezza che è la cosa più bella dell'infanzia. L'ospite della trasmissione era la psicologa Anna Oliviero Ferraris che sull'argomento ha scritto La sindrome di Lolita, e della quale ho letto anche un altro libro sul rapporto bambini TV che mi è piaciuto.
I bambini, dice Anna Oliviero Ferraris, imparano moltissimo attraverso l'imitazione. Assorbono come spugne tutto ciò che li circonda e che sembra bello, promettente, di successo, ecc. Mentre nel passato rischiavano di essere sottostimolati mentre oggi sono iperstimolati. C'è un gran rumore intorno a loro che non consente loro di avere momenti di silenzio e di meditazione. Spesso i bambini stanno parecchie ore davanti agli schermi a sorbirsi una gran quantità di spot. Fenomeno molto italiano perché in altri paesi europei, durante i programmi destinati ai ragazzi, gli spot o sono vietati o possono passare solo prima e dopo l'inizio del programma ma non durante. Secondo i neurofisiologi, infatti, l'emozioni create da ciò a cui si assiste sono molto importanti per la memorizzazione. Chi si occupa di pubblicità sa benissimo che perchè un messaggio sia percepito bisogna che il cervello dello spettatore sia disponibile. Le trasmissioni hanno l'obiettivo di renderlo disponibile divertendo e rilassando.
Inoltre non sempre i bambini sanno cogliere l'ironia come quella dei cartoni di Southpark o dei Simpson. L'ironia aiuta a decodificare e a far prendere le distanze ma è una cosa che si sviluppa col tempo. I programmi di solito sono molto veloci e i bambini hanno una grande capacità di immedesimarsi e poco senso critico. Questo li rende particolarmente vulnerabili. E' il senso critico, sviluppato con l'esperienza, che consente di stabilire una distanza tra sé e il messaggio.
Un'altra cosa interessante e inquietante, a mio parere, è l'iscrizione precoce dell'identità di genere. Il bambino essendo un target viene quasi sempre semplificato. Anche le differenze di genere quindi vengono semplificate. Alle bambine si propongono prodotti che si ritiene debbano essere "da bambine" e viceversa. Gli studi invece dimostrano che, se il bambino è libero, si interessa a qualsiasi tipo di giocattolo. Anche ad un maschietto può piacere truccarsi, per esempio. Grazie alla ripetizione continua di un certo messaggio si arriva così ad una omologazione deprimente. I bambini sono molto diversi tra di loro e non è giusto omologarli secondo schemi così rigidi.
Infine oggi si assiste sempre più all'anticipazione di esperienze che dovrebbero avvenire ad un'età posteriore, alla cosiddetta adultizzazzione dei bambini. Siccome devono diventare anche loro degli acquirenti, si spingono il più presto possibile verso l'adolescenza convincendoli che sono molto più maturi di quanto non siano e che possono scegliere autonomamente. Inoltre molti bambini guardano programmi per adolescenti come i reality. Anche questo induce un'accelerazione della crescita e trasforma le bambine in piccole Lolite.
L'adultizzazione in realtà è un processo indipendente dal mercato, perché sono gli adulti che a volte spingono i bambini ad assumere atteggiamenti da adulti. Li considerano degli adulti in miniatura perché si riflettono loro sul bambino. La Oliviero Ferraris ci spiega che ciò accadeva anche nel Medioevo, poi a partire dal Seicento-Settecento, da Rosseau alla Montessori e tutti i pedagogisti dell'Ottocento ci è stato spiegato che il bambino è qualitativamente diverso da un adulto, ha una sensibilità diversa, ha una sua visione del mondo, e che si cresce per stadi successivi.
Già Aristotele aveva "scoperto l'infanzia" individuando vari stati di sviluppo ma quelle conoscenze sono andate perdute. Per secoli quindi c'era l'idea che il bambino crescesse solo "quantitativamente" ma non qualitativamente. Adesso con i media che semplificano tutto sembra che si stia tornando indietro. Ci offrono l'immagine di un bambino saputello, bambini che si atteggiano da adulti e ciò si intreccia con l'esigenza del mercato. A Londra recentemente hanno aperto un centro di bellezza per bambine dai 6 anni in su. Non si tratta del gioco del truccarsi che parte spontaneamente dal bambino, ma di un condizionamento indotto dall'esterno che fa loro recitare la parte dell'adulto.

lunedì 6 ottobre 2008

Ci sono giorni che


In certi giorni mi sento sicura e piena di energia. In altri invece mi sento fragile. Talmente vulnerabile che un minimo contrattempo mi fa venire la lacrima al ciglio e il groppo in gola. Perché? Il solito scherzo degli ormoni? La menopausa lì dietro l'angolo? Non lo so. So solo che in giorni come questo mi sento i nervi a fior di pelle. Mi accorgo di scattare per un nonnulla. Mi accorgo di rispondere in modo brusco a persone che non hanno nessun'altra colpa che trovarsi sulla mia strada. In giorni come questi sento forte il bisogno di carezze, di qualcuno che mi prenda per mano e mi dica semplicemente: "Tranquilla! Va tutto bene."

L'unica è sedermi e aspettare che questi giorni passino.

venerdì 3 ottobre 2008

Persone che lasciano il segno

Quasi tutte le persone che incontriamo ci influenzano in qualche modo, ma ci sono persone che lasciano un segno dentro di noi. Capita di chiedersi da adulti del perché di certe nostre convinzioni, di certe nostre idee, di un certo modo di vedere le cose e scoprire che tutto sommato lo dobbiamo a loro: ai nostri maestri di vita. Spesso si tratta di insegnanti, ma possono essere anche preti, amici più grandi, parenti che ci hanno particolarmente affascinato quando eravamo in quell'età in cui si assorbe come spugne.

Tra le persone che sicuramente hanno lasciato un segno in me c'è la mia maestra Lia. L'ho avuta dalla terza alla quinta elementare e l'adoravo. Che fosse una brava insegnante lo dimostra un dato di fatto. Mentre le maestre che avevamo avuto in prima e in seconda spesso e volentieri buttavano fuori dalla classe i bambini indisciplinati (anch'io fui buttata fuori per motivi futili), la maestra Lia in tre anni, con la stessa identica classe, non ha mai buttato fuori nessuno, mai un urlo isterico. Ciò significa che non aveva bisogno di questi mezzi per catturare la nostra attenzione. Tutto quello che spiegava mi pareva così affascinante, soprattutto la storia. Chissà forse devo a lei la mia passione per la storia. Ecco perché nel mio diario di bambina dove stilavo la "classifica dei desideri" (sempre avuta la fissa delle classifiche!) in quarta elementare ho riportato "essere principessa nel Medioevo" ed in quinta "essere una fanciulla della Resistenza". Penso che la mia maestra Lia sarebbe contenta di sapere che finalmente mi sono iscritta all'ANPI.

Un altro grande maestro di vita e punto di riferimento della mia adolescenza è stato il mio professore di italiano, Virgilio (nomen omen). Una passione straordinaria per il suo lavoro e un'attenzione umana verso il singolo studente, verso la sua personalità, i suoi problemi di crescita o di inserimento nel gruppo classe, che raramente ho trovato negli insegnanti. Virgilio mi ha insegnato a studiare e mi ha insegnato ad analizzare la realtà con capacità critica, cercando di andare oltre l'apparenza. Il primo tema che assegnava sempre in terza ragioneria, appena presa la nuova classe, era: "La classe sociale nella quale affondano le mie radici". Era il suo modo di dimostrare come in quegl'anni (seconda metà degli anni Settanta) la coscienza di classe stesse scomparendo. I ragazzi parlavano di tutto meno del ceto delle loro famiglie. Solo io ci azzeccai, ma, lo confesso, con un suggerimento di mio padre.
Virgilio ci diceva spesso che non era un caso che filosofia non si insegnasse negli istituti tecnici ma solo al liceo, la scuola destinata a formare la classe dirigente, perché, diceva, è la materia che insegna a ragionare. E poi era fantastico quando leggeva Dante o Ariosto. Anche i compagni più allergici allo studio lo stavano ad ascoltare a bocca aperta.
Ogni tanto ci vediamo con Virgilio. E' andato in pensione qualche anno fa perché non sopportava più di vedere i ragazzi sempre più superficiali e disimpegnati. O forse era semplicemente stanco. Qualche anno fa andai alla cena per il suo settantesimo compleanno tutta organizzata da suoi ex allievi: vi avrei fatto vedere il suo orgoglio e la sua commozione nello scoprire in quanti ha lasciato il segno.

PS nella foto sopra io non sono quella smorfiosetta a sinistra bensi' quella un po' scomposta a destra.