sabato 31 dicembre 2011

Quando l'Italia si trovò ad un bivio

Forse tutto cominciò da lì, probabilmente perché il risultato non era affatto scontato. Devono essere state davvero emozionanti le elezioni politiche del 18 aprile 1948 (che non furono le prime in realtà, in quanto anche il 2 giugno del 1946 si votò per le politiche anche se nessuno se lo ricorda). La carica emotiva di questo evento è rivelata anche dal brano della settimana INCOM che declama con la sua consueta enfasi:
"Per troppi anni esclusi dalla sincera espressione elettorale, gli Italiani hanno riappreso la portata politica e morale di questo diritto. Si preparano ad esercitarlo con coscienza, onestamente interrogandosi nella perplessità di troppo categorici dilemmi. Più che il senso di un dovere quasi quello di un antico privilegio."
Fa specie oggi pensare che non c'erano i talk show televisivi, non c'era internet, e i due schieramenti pricipali, la Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi e il Fronte Popolare (Socialisti e Comunisti) guidato da Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, si misuravano a colpi di manifesti per le strade (che non mostravano la faccia dei candidati come quelli di oggi) e di comizi nelle piazze.
In realtà si scontrarono due opzioni e due idee opposte sullo sviluppo dell'Italia uscita dalla guerra. Fu allora che nacquero i partiti di massa e si cominciò a fare proselitismo ovunque: nelle parrocchie, nei condominii, vendendo giornali porta a porta, nelle piazze, grazie a milioni di iscritti e centinaia di migliaia di militanti. Toni accesi durante quella campagna elettorale, con delegittimazione dell'avversario, dipinto come nemico, invasore, alieno, e aspra competizione tra partiti che fino a pochi mesi prima avevano collaborato strettamente per stilare la Carta Costituzionale. L'asprezza dello scontro ideologico rifletteva il clima internazionale di contrapposizione tra Est e Ovest e il singolo elettore italiano si sentiva parte di un conflitto più grande. Forse fu proprio la contrapposizione di quella stagione a introdurre una sorta di identità separata dettata dall'appartenenza ad un partito o ad uno schieramento che finì per mettere in secondo piano l'appartenenza di fondo all'Italia, ai valori di una cittadinanza repubblicana. Effetti che purtroppo si notano ancora oggi.
Il 2011 se ne va e con esso le celebrazioni del Centocinquantenario dell'Unità Italiana tra le quali la deliziosa serie radiofonica "Tre colori. Centocinquanta storie della storia d'Italia", serie che ho appena finito di ascoltare e della quale la puntata sulle elezioni del 18 aprile 1948 a cura di Umberto Gentiloni è stata una delle migliori (scaricabile qui).

martedì 27 dicembre 2011

Non sopporto quelli che...

Forse sto davvero invecchiando male, ma in certi giorni mi sento poco tollerante. Quando sono di buon umore (raramente di inverno) accetto con filosofia che il mondo vada come va.
Ma quando mi girano (e di inverno spesso mi girano) non sopporto...

... quelli che ti lampeggiano da dietro perché tu li faccia sorpassare in una strada trafficata in cui non si riesce ad andare a più di 20 km all'ora;
... quelli che parcheggiano proprio sull'angolo perché non possono fare due passi in più impedendoti così di vedere i mezzi che arrivano verso l'incrocio;
... quelli che vanno sparati sul viale delle Cascine senza nemmeno aver diritto di transitarvi;
... quelli che salgono sull'autobus dalla porta destinata alla discesa e neanche aspettano che tu scenda;
... quelli in bicicletta contromano e controsenso, di sera, senza fari e (perché no?) parlando al cellulare;
... quelli che in bicicletta sulla pista promiscua ciclisti-pedoni "mica posso andare a 10 all'ora, c'ho da andare a lavorare io!";
... quelli che passeggiano e chiacchierano amabilmente su una delle poche piste riservate alle bici della città e se li scampanelli ti guardano con aria interrogativa e non ci pensano nemmeno ad andare sul marciapiede loro riservato lì accanto;
... quelli che "con lo scooter passo dove voglio", comprese le passerelle pedonali e le piste ciclabili e senza nemmeno lontanamente pensare di spingerlo a motere spento (non sia mai!);
... quelli che abbandonano i rifiuti ingombranti sui marciapiedi scambiandoli per discariche (e mica possono aspettare venga il consorzio a ritirarli GRATUITAMENTE);
... quelli che il tempo degli altri non costa niente ma guai a perdere un loro prezioso minuto.
... quelli che...
... ma sto davvero invecchiando male.

sabato 24 dicembre 2011

Ma chi sarà 'sto farmacista indiano?

Caro indian pharmacy
o best pharmacy
o xl pharmacy
o online pharmacy
o pharmacy reviews
o che_diavolo_ne_so pharmacy,

è inutile che continui a mandarmi commenti citando a vanvera pezzi dei miei post tipo "spero che valga anche per chi come me voleva snobbare facebook, ma che poi per i motivi che tu hai scritto e per un altro del tutto personale che forse tu immaginerai ".

E' inutile che fai anche finta di essere un commentatore vero infilando tra le frasi senza senso "Un abbraccio forte Giulia".

E' inutile che ingaggi stanzoni di cinesi per inserire la parolina di verifica (oddio, sarà vera 'sta cosa? Il pensiero mi inquieta).

Tanto continuerò a marcarti come spam e le pilloline che reclamizzi NON LE COMPRERO' (e neanche, spero, lo faranno i miei sporadici lettori). :-P

giovedì 22 dicembre 2011

Blobbox

Orfana di Vcast, ho provato per un breve periodo a registrare le mie trasmissioni preferite con le vecchie cassette VHS ma ho abbandonato subito l'idea: troppo scomodo. Anche la visione on demand su web (possibile per molte di esse) non è agevole perché la rete spesso è sovraccarica e la visione si blocca di continuo.
Da metà novembre con lo switchoff al digitale terrestre anche nella mia città, registro con un apparecchio che si chiama Blobbox. Si tratta di un decoder che permette di registrare su un disco esterno e quindi di immagazzinare un bel numero di video che posso rivedere con la TV oppure trasferire sul PC o sull'MP4reader. Rispetto a Vcast mi manca la possibilità di programmare registrazioni ricorrenti (tipo ripetere tutti i giorni o tutte le settimane una certa registrazione) ed anche quella di memorizzare programmi che si sovrammettono come orario. Tuttavia non ho l'angoscia dei tre giorni entro i quali scaricare i file dato che questi rimangono sul mio disco. Una buona soluzione, quindi, anche se non proprio economica.

lunedì 19 dicembre 2011

La "differenza" la fanno i ragazzi così

L'aria da nerd ce l'ha e forse anche un po' quella da "secchione", però bravo davvero Francesco Cucari, un ragazzo di diciotto anni, ultimo anno di liceo scientifico, e di Rotondella (che non è poi "l'ombelico del mondo"), il quale ha sviluppato applicazioni per SmartPhone e in particolare ne ha creata una per verificare in modo pratico e veloce come differenziare correttamente i rifiuti che si chiama "Fai la differenza!". Ne ho sentito parlare ad Ambiente Italia Rai3 ma la notizia è girata su diverse testate. E poi comunque, sotto la patina seriosa che gli conferiscono gli occhiali e la cravatta, sono sicura che c'è un ragazzo normalissimo che ama il calcio, il tennis e il Liga.
Averne di ragazzi così!

sabato 17 dicembre 2011

Mai perdere la speranza


I miei figli mi hanno preso in giro più volte perché da settembre, dall'incontro nazionale di Emergency, me ne andavo in giro con questa patacca sullo zaino. L'avevo persino assicurata con uno spaghino perché la spilla mi si era rotta quasi subito.
Un giorno un signore anziano in un bar mi guarda e improvvisamente mi fa: "E chi è Francesco?" "Un operatore di Emergency rapito in Darfur" rispondo io. "Ah!" fa questi con aria di pensare ecchisenefrega.
In questi giorni stavo meditando di togliere la patacca. Non si parlava più di Francesco e cominciavo a temere il peggio. Ed invece non bisogna mai perdere la speranza. Proprio una bella notizia.

giovedì 15 dicembre 2011

Cosa ci aspettiamo dalla democrazia?

Digitando la parola "democrazia" su Wikiquote otteniamo una tale paginata di citazioni che ci dà la misura di quanto l'umanità sia alla ricerca di un meccanismo ideale per far funzionare l'estrema complessità del convivere in tanti.
Nel suo piccolo anche nella trasmissione "Le storie - Diario italiano" si è cercato di dare una definizione della democrazia insieme allo storico Carlo Galli, professore ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all'Università di Bologna.
Che si aspettano le persone dalla democrazia? "Essa è l'ordinamento politico e sociale nel quale i cittadini si sentono a casa propria, riescono a capirne le dinamiche fondamentali e ad incidervi" risponde il politologo. E aggiunge che, mentre nei primi quarant'anni del Novecento vi erano movimenti e pensieri antidemocratici, oggi nessuno si dichiara "contrario" alla democrazia che sentiamo sì insufficiente, ma anche insostituibile.
Secondo Carlo Galli, la democrazia moderna non ha niente a che vedere con quella dell'antica Atene ed ha invece come presupposto il capitalismo. Nonostante l'etimologia della parola, essa infatti a poco a che fare con il "popolo" ma si basa piuttosto sugli "individui". Senza individualità e soggettività non c'è democrazia moderna. Per questo essa marcia su due pilastri fondamentali: lo stato moderno e il capitalismo.
Inevitabile in quest'ultimo periodo porsi l'interrogativo se la nostra democrazia sia sospesa o no visto che i nostri obblighi ruotano intorno ad una istituzione, la Banca Centrale Europea, che non è eletta. Il fatto è che, avendo la BCE investito soldi sui nostri titoli, di conseguenza ha diritto di venire a controllarci i conti. Per questo si può dire tranquillamente che siamo commissariati ma la domanda da porci è come sia stato possibile che sul tema centrale della nostra politica (i cosiddetti "sacrifici"), le istituzioni elette non abbiano alcuna forma di conoscenza e di controllo.
Io penso che quando non c'è indipendenza economica, della libertà te ne fai poco. Questo vale come singoli ma anche come paese. Per questo, oltre che molto spaventata e confusa, sono anche arrabbiata perchè come libera cittadina di uno stato libero mi sento sotto il classico ricatto tra il bere o l'affogare (con il timore che dopo la bevuta si affoghi comunque).

lunedì 12 dicembre 2011

Una stella per l'A.I.L.

Due pomeriggi al banchino dell'A.I.L. a vendere stelle di Natale davanti ad un centro commerciale dell'hinterland. Esperienza interessante. Anche solo osservare l'umanità che entra ed esce da questo posto allucinante. La maggior parte di essa non vi si reca per fare la spesa settimanale (a mio avviso l'unico motivo valido per metterci piede) quanto per incontrare gente, comprare pacchi dono preconfezionati in offerta speciale (risolvendo in modo veloce, asettico e conveniente il problema regali), far scorrazzare i bambini facendo inalare loro l'aria viziata dalla folla oppure passare il pomeriggio tra i banchini di paccottiglia assiepati lungo il corridoio. Mi sbaglierò, ma mi è parso che molti all'uscita avessero l'aria scoglionatissima.
Mentre la domenica la vendita delle piantine è stata più distribuita lungo l'arco del pomeriggio, il sabato è cominciato in modo piuttosto fiacco. Poche stelle vendute e solo ad acquirenti già informati e motivati. Uno di questi, un signore affabile, apprendendo della nostra scarsa raccolta, ci ha consigliato: "Ma voi dovete proporvi! Dovete suggerire!"
Io, novizia, ho guardato la mia compagna: una signora dal sorriso dolcissimo, dai modi materni e dalla lunga esperienza di volontaria ma ancora più timida di me. Così ci siamo fatte coraggio e abbiamo visto con stupore che la cosa funzionava.
"Una stella di Natale per la ricerca contro la leucemia!" Alcuni tirano dritto senza nemmeno guardarti, altri sorridono e ti rispondono con un "No, grazie", molti affermano di "averla già comprata" (vorrei vederle tutte queste case piene di stelle di Natale), ma alcuni si soffermano, si consultano con il marito o con chi li accompagna, si avvicinano titubanti e finiscono per comprarla. Ma con tanto di gazebo con la scritta dell'AIL, tanto di manifesti belli rossi appesi, tanto di spot passati per radio e TV in questi giorni, c'è bisogno di suggerirlo? Ed invece a quanto pare sì. D'altra parte ciò spiega anche perché si spendono tanti soldi in pubblicità.
Tenera una coppia con una bambina neonata che dopo aver scosso la testa fa qualche metro e torna indietro: "Mi scusi," fa la giovane donna, "abbiamo cambiato idea..."
Altri mentre comprano la stella esclamano: "Speriamo gli arrivino! Sa, ci hanno resi così diffidenti!" Una ragazza mi porge una banconota da dieci euro: "L'ho trovata in terra. Non so di chi sia ma è meglio che vada alla vostra associazione."
Esperienza quindi valida anche solo per condividere qualche ora con queste volontarie il più delle quali sono persone che hanno vissuto la perdita di un loro caro alla quale hanno reagito regalando un pezzo di se stesse, donne che basta un accenno alla malattia perchè ti raccontino il loro calvario, persone che a spese loro hanno capito cosa vale davvero più di ogni altra cosa: la vita stessa.

sabato 10 dicembre 2011

La scuola di Calamandrei e il "Diario di un maestro"

Nel pluricitato discorso pronunciato al III congresso dell’Associazione a Difesa della Scuola Nazionale (Roma l’11 febbraio 1950), Piero Calamandrei definisce la scuola "organo centrale della democrazia" e "complemento necessario del suffragio universale" in quanto è grazie ad una scuola pubblica forte che si attua quel meraviglioso articolo 34 della nostra Costituzione e che ogni classe, ogni categoria può avere la possibilità di "liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società."
L'idea di una scuola come strumento di emancipazione anche per chi ha la sfortuna di nascere in un ambiente di povertà e di degrado è al centro di "Diario di un maestro", una splendida miniserie televisiva del 1973, scritta e diretta dal recentemente scomparso Vittorio De Seta e rivedibile su Rai.TV.
Bruno d'Angelo (un bel Bruno Cirino dallo sguardo perennemente malinconico) è un giovane maestro a cui viene affidata una quinta elementare composta di ragazzi delle borgate romane (la storia è tratta dalla reale esperienza raccontata nel libro "Un anno a Pietralata"). Il maestro segnala subito alla vicedirettrice che metà della sua classe non frequenta:
"E con questo?" gli chiede la donna.
"Ma hanno meno di quattordici anni!"
"Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Cosa dovevamo fare? Portarceli con la forza? Non spetta a noi. La sua è una classe di risulta, di scarti, è chiaro? Abbiamo dovuto alleggerire le altre classi. Lei faccia quello che può. Già sono difficili quelli che vengono."
L'insegnante non si arrende e, con la sua camicia candida, la cravatta e gli occhiali da sole, visita le baraccopoli polverose e le modeste case popolari cercando di conoscere, con atteggiamento umile e per niente invasivo, la vita di questi ragazzi fatta di miseria, di violenza, di espedienti come il recupero dei rifiuti, e alla fine li convince tutti a frequentare. Le loro famiglie hanno un atteggiamento di imbarazzo, quasi di diffidenza: "Se riuscissi a far loro comprendere che la scuola non è soltanto un obbligo, ma qualcosa che è nell'interesse dei loro figli, sarebbe già un bel passo avanti."
Il maestro capisce presto che non ha senso fornire loro un insegnamento tradizionale perché non riuscirebbe a catturare la loro attenzione e mette in atto un metodo che a me ha ricordato tanto quello di Don Milani a Barbiana. Via la cattedra, i banchi uniti da delle tavole per lavorare in gruppo, la pedana trasformata in libreria e soprattutto partire dalle esperienze concrete degli alunni.
Così uno studio sulle lucertole, che essi sono soliti catturare e torturare, diventa una ricerca di scienze, l'episodio di un furto d'auto ad opera di uno dei ragazzini diventa una riflessione sulle conseguenze del gesto grazie ad un giovane con precedenti che, invitato in classe, risponde alle loro domande ("Quando sono uscito dal riformatorio, ho visto che del bullo che avevo costruito erano rimaste le ceneri"), la demolizione di un edificio del quartiere è lo spunto per indagare sulla loro precaria situazione abitativa, l'istituzione di una cassa comune autogestita per le spese occasione per fare aritmetica, un'indagine presso i genitori e i nonni sui ricordi legati alla guerra crea il motivo per studiare storia come mai avrebbero potuto fare basandosi solo sui libri. E poi il maestro li fa ragionare su come si possono osservare le pitture che realizzano, sull'importanza di saper parlare correttamente italiano e non solo il dialetto, sul superamento della violenza. Insomma nel vedere questi ragazzini, arruffati e vestiti miseramente, esprimersi, lavorare insieme, interessarsi, impegnarsi, entusiasmarsi e rimanere molte ore a scuola anche il pomeriggio per finire il lavoro intrapreso, pare di assistere ad una sorta di incredibile miracolo.
Il lavoro del maestro D'Angelo però suscita inevitabilmente l'invidia, il sospetto e l'avversione dei colleghi ("Tutte queste innovazioni... Crei un precedente! Questo fatto del doposcuola. Se si deve fare, si deve fare gratis? Regaliamo allo Stato? Siamo tutti dei missionari? Non sono solo fatti tuoi! Guarda che questi te la fanno pagare" lo mette in guardia un collega) e del direttore che non capisce il suo metodo e che comunque non è disposto a mettere in discussione venticinque anni di insegnamento tradizionale.
Inevitabile lo scontro con quest'ultimo che minaccia di bocciarli tutti: "La scuola deve essere formativa", dice il direttore.
"Dobbiamo formare degli uomini liberi capaci di ragionare con la propria testa e di decidere da soli oppure degli schiavi e dei robot?" chiede Bruno D'Angelo che decide allora di andarsene perché "la vera bocciatura è al mio lavoro che Lei non può comprendere perchè non ha il coraggio di mettere in discussione i suoi principi che sono superati dalla realtà."
Quando la Rai trasmise questo sceneggiato correvano gli anni Settanta (io avevo proprio l'età dei ragazzini di questo film). Da allora tanti insegnanti della scuola pubblica, anche in contesti simili a quelli del protagonista, hanno cercato (e qualcuno cerca ancora in mezzo ad ostacoli sempre più grandi) di mettere in pratica quello che Calamandrei definiva l'articolo più importante della nostra Costituzione, il numero 34: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi".

mercoledì 7 dicembre 2011

Fari nella nebbia: Piero Calamandrei

Piero Calamandrei è stato per me a lungo solo il nome di una scuola media del mio quartiere, in quanto solo recentemente ho conosciuto questa figura straordinaria. Fiorentino, avvocato, giurista, costituente, partecipò alla Resistenza nelle fila di Giustizia e Libertà.
Giovanni De Luna, lo storico che ha scritto la prefazione all'instant book "Lo Stato siamo noi" ed ospite della puntata di Le Storie dedicata a Calamandrei, spiega che dopo l'ultima guerra il paese andava sì ricostruito dalle macerie, ma anche moralmente su un patto che unisse gli Italiani su comuni valori e non solo su comuni interessi. Fu Calamandrei quindi a proporre i valori di una "religione civile", "religione" in quanto qualcosa che unisce, "civile" perché riguarda la laicità e le nostre istituzioni.
Memorabile il "Discorso sulla Costituzione" che il giurista pronunciò il 26 gennaio 1955 a Milano rivolgendosi agli studenti universitari e delle scuole medie:



Così come indimenticabile è il testo della lapide posta nel Comune di Cuneo ad ignominia del Generale Kesselring, autore di numerosi eccidi nazisti tra i quali quello delle Fosse Ardeatine e di Marzabotto, che aveva avuto l'ardire di sostenere che gli Italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento:

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

Il linguaggio di Piero Calamandrei oggi ci suona retorico ma, come spiega il professor De Luna, quel surplus di retorica era una precisa risposta a quel fenomeno chiamato "desistenza" che c'era sin dagli anni Cinquanta e che mirava a smontare l'epica della guerra di liberazione, a ridimensionare la spinta etica e spontanea dei partigiani, la risposta allo scetticismo del "tanto non cambierà mai nulla", ad una sfiducia nella necessità ed nell'efficacia della partecipazione dal basso. Calamadrei e gli altri costituenti volevano proprio contrastare questa corrente degli apoti, coloro che "non se la bevono", oggi forte ancora più che allora. Proprio per questo c'è bisogno di tenere presenti, come fari nella nebbia, figure come quella del giurista fiorentino.

Sull'altro tema caro a Piero Calamandrei, la scuola, tornerò in un prossimo post.

domenica 4 dicembre 2011

Il deputato "bolscevico" e il partito "riprendiamoci la ricchezza"



Furio Colombo mi è sempre piaciuto sin dai tempi in cui era direttore de L'Unità e dava molto fastidio non solo alla destra ma anche al PD al quale non risparmiava critiche. Mi ha sempre colpito il suo modo diretto di dire le cose con il loro nome, senza giri di parole o eufemismi, che mi viene da attribuire, oltre che ad inclinazione personale, ai numerosi anni in cui è stato corrispondente ed ha insegnato negli Stati Uniti. Ad ottanta anni, ha un'energia ed una verve invidiabili.
Il libro "No" raccoglie i suoi interventi in Parlamento dal 2008 al 2011. Si tratta, salvo un paio di eccezioni, di interventi di un minuto, lasso di tempo che spetta a chi chiede di parlare a titolo personale e non come incaricato del gruppo di cui fa parte (il PD se ne guarda bene da incaricarlo!).
Anche nell'intervista rilasciata a Fahrenheit, Furio Colombo parla come un fiume in piena del movimento Occupy Wall Street e della presidenza Obama. Del primo il giornalista dice: "Questa è gente, giovane e meno giovane, che vede le cose esattamente così come stanno e cioè che la politica non nasce più da Washington, ma da Wall Street. La loro non è una minaccia, è una testimonianza per dire agli Americani (ma anche a noi) che sono coloro là dentro a decidere la politica, a monopolizzare la ricchezza, a impedire a 46 milioni di Americani di avere le cure mediche (e che non sono solo i poveri), sono coloro a far sì che i contratti di lavoro non coprino le spese mediche in modo che siano più leggeri per l'impresa."
Secondo Furio Colombo quello che sta accadendo non è colpa del Presidente degli Stati Uniti in quanto le sue radici stanno nel monopolio della ricchezza, in una sorta di movimento o di partito che egli battezza in "riprendiamoci la ricchezza". Colombo è un acceso sostenitore di Barack Obama, che definisce "il più promettente personaggio che sia diventato presidente degli Stati Uniti, un vero intellettuale, dotato di un carisma assolutamente unico". Purtroppo questi ha trovato una barriera di odio e di violenza che ormai si capisce essere anche razziale. Il potente partito "riprendiamoci la ricchezza" gli ha impedito di attuare il nucleo della sua presidenza cioè il progetto dell'assistenza sanitaria agli Americani che non sono in grado di pagarsela. La sfida al potere delle assicurazioni significava espropriare uno dei punti più famelici e aggressivi del sistema finanziario americano. Al momento, racconta Furio Colombo citando l'esperienza della figlia medico negli USA, tra la disumanità e la vita americana c'è un'unica tenue ma appassionata difesa: il fatto che i medici si rifiutano di cacciare dagli ospedali i pazienti bisognosi di cure che non possono pagare, anteponendo il giuramento di Ippocrate a quello come cittadini americani.
Anche nel nostro paese dove si chiede agli operai di rinunciare al contratto nazionale, dove si continua nelle banche salvate dallo Stato a distribuire come prima bonus astronomici e compensi fuori misura, agisce il partito "riprendiamoci la ricchezza". "Ricchezza chiama ricchezza, pretende ricchezza senza limite e spinge indietro tutti coloro che vorrebbero almeno essere curati se sono ammalati, avere una pensione decente, un lavoro rispettabile e finire le scuole". Come non essere d'accordo con il semplice pensiero del "bolscevico" deputato Furio Colombo.

giovedì 1 dicembre 2011

Lotta alla decadenza fisica

"Mi raccomando! Fate le sospensioni a casa!" Questo il refrain del mio maestro in palestra.
In effetti distendere la schiena appendendosi è un toccasana per la prevenzione e la cura della lombalgia.
E per la cervicale? Non ne ho mai sofferto ma poco tempo fa, quando mi sono ritrovata un noiosissimo torcicollo, mi sono ripromessa di curare anche quella. Per esempio, mi dicono importante, soprattutto dopo una lunga attività davanti al computer, muovere la testa dolcemente a destra e a sinistra, su e giù. Bisogna che me ne ricordi. Fa bene anche sdraiarsi sul letto e far scivolare la testa fuori dal bordo in modo che le vertebre cervicali si stirino dolcemente e respirino.
E che dire della fastidiosa periartrite alla spalla destra che mi duole da quest'estate? Ho scoperto che siamo in tanti ad averla, compreso il mio maestro e compreso il mio medico curante. Magra consolazione. Inoltre sono rimasta terrorizzata dalla prospettiva della cosiddetta "spalla congelata", cioè la perdita della capacità di articolare la spalla. Gulp! Quindi ricordarsi un paio di volte al giorno di appoggiarsi al tavolo di cucina facendo dondolare il braccio rilassandolo. E metti in conto anche questa.
Vogliamo trascurare l'articolazione delle anche che con l'età tende a perdere elasticità? Non sia mai! E allora almeno una volta al giorno appoggiare le gambe a "V" alla parete, sdraiata sul pavimento.
Ma dopo tutta questa manutenzione alla mia "vecchia carcassa", mi resterà del tempo per fare altro?