domenica 8 marzo 2009

I nuovi schiavi nelle campagne del Sud

Se pensate che la schiavitù oggi non esista più oppure che sia relegata in lontani paesi non raggiunti dalla civiltà, dovete ricredervi. La schiavitù, cioè "la condizione per cui un individuo rimane privo di tutti i diritti di persona libera" (Wikipedia) o "lo stato di completa sudditanza, che non lascia alcun margine di libertà, di autonomia" (Sapere.it), c'è oggi in Italia e ce lo racconta Alessandro Leogrande nel suo libro "Uomini e caporali: viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud" frutto della sua inchiesta durata un paio di anni nel tavoliere pugliese.
Perché parlare di "schiavitù" e non semplicemente di una dura forma di lavoro salariato? Perché, oltre allo sfruttamento economico (si parla di 10/15 euro al giorno per raccogliere pomodori, patate o uva), ci sono rapporti di violenza brutale tra i caporali e questi lavoratori i quali sono tenuti in cattività in casolari con guardiania armata, fino al pestaggio e alla soppressione di chi si osa ribellarsi.
Si tratta principalmente di disoccupati dell'Est Europa, soprattutto Polacchi, che, essendo stagionali, sono disposti ad accettare condizioni di lavoro e paghe ancora più basse degli Africani che invece hanno interesse a rimanere nel nostro paese. Ciò non toglie che alla fine ci rimangano anche per anni in completa balia dei caporali loro connazionali.
Tale situazione è cominciata a venire alla luce da un allarme lanciato in Polonia su alcune persone scomparse. Una trasmissione televisiva polacca da tempo cerca di rintracciare queste persone.
Nel settembre 2006 l'ambasciata polacca in Italia denunciò la scomparsa in Italia di concittadini che avevano contattato l'ultima volta la propria famiglia dal tavoliere delle Puglie. Inoltre una decina di cadaveri non identificati furono trovati nei campi. Seguì una lunga inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia che ebbe la svolta decisiva però solo quando uno dei caporali fu disponibile a diventare collaboratore di giustizia e permise di ricostruire dall'interno come funziona il meccanismo. Recentemente il processo è arrivato a sentenza con condanna di una ventina di caporali per "riduzione in schiavitù", primo caso di una condanna del genere in Europa.
Leogrande ci spiega che quello scoperto non è l'unico caso di riduzione in schiavitù che purtroppo è diffusa in molte altre parti d'Italia e d'Europa. La sua inchiesta concentrata sul tavoliere pugliese nasce da un interesse per la propria terra che ha visto il fenomeno del caporalato anche agli inizi del Novecento. Tra esso e quello odierno ci sono drammatiche somiglianze anche se in quello precedente c'era la condivisione della stessa comunità che dava un minimo di garanzie.
Purtroppo, al di là dell'intervento della società civile (Caritas, Medici Senza Frontiere, ecc.), Leogrande ha rilevato nei Pugliesi di oggi, magari figli e nipoti dei cafoni di un tempo, una sottovalutazione della gravità del fenomeno, una indifferenza colpevole se non addirittura una strisciante forte xenofobia.

Interviste di Alessandro Leogrande:
Fahrenheit Radio3
Parla con me Rai3.

8 commenti:

  1. è una cosa mostruosa, l'idea che succeda nel mio Paese ... anche per qusto sono passata alle cassette bio della mia regione, almeno mi illudo di tirarmene un po fuori.
    ciao e buona giornata!!

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  2. Ti capisco, Manu: si fa quel che si puo'.

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  3. non so se ti è capitato di leggere Bilal di Fabrizio Gatti, che si è finto stagionale nei campi del sud... bè, una delle cose che più mi ha sconvolto è l'atteggiamento della popolazione che tappa occhi e orecchie e se deve prendersela con qualcuno se la prende con i nuovi schiavi del finto e sporco benessere italiano...

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  4. Non l'ho letto ma ho sentito diverse interviste su questo libro di Gatti.

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  5. Partiamo da un concetto base: il fatto di essere in una relativa democrazia, il fatto di essere nel 2009, il fatto di essere più o meno liberi, non significa essere socialmente evoluti in tutti gli aspetti, in tutti i campi. Siamo esseri umani in corso di formazione (sic!) e come tale dobbiamo giudicarci, analizzarci, capirci. Ciò significa che, oltre a condannare tali eventi di schiavismo, bisogna agire, bisogna indurre i governi a una maggiore attenzione, a maggiori controlli, a far rispettare le leggi, leggi che, mi sembra (correggetemi se sbaglio) esistono.
    Una buona giornata.
    Rino

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  6. In realta', caro Rino, l'autore di questo libro sottolinea proprio che non esiste il reato specifico di "caporalato" nel nostro ordinamento. Per questo le condanne sono state per "riduzione in schiavitu'".
    La precedente legislatura stava per introdurre qualcosa del genere, ma, come e' successo per tante altre cose, il progetto si e' arenato con la caduta del governo.
    Quindi non sempre le leggi esistono.

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  7. grazie di avercene parlato tu, non mi regge la pompa per leggerlo direttamente
    marina, mortificata

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  8. Grazie, Arte, preziosa segnalazione.
    Vedo che questo paese colleziona ogni giorno nuovi primati di orrore, diffonde nelle sue vene l'idea della normalità del male.
    E' dura conservare l'indispensabile equilibrio tra rabbia e speranza, tra indignazione e voglia di costruire: tra l'odio per i meschini e l'amore per l'essere umano.
    Ma resistiamo, conosciamo, leggiamo, approfondiamo l'orrore, ed insieme prepariamo gli antidoti: per non abituarci mai, mai, mai.

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