giovedì 3 novembre 2011

Quattro stracci lisi di millesettecento anni fa'

Forse nemmeno i Fiorentini sanno che nel Museo Archeologico di Firenze è conservata la più importante collezione egizia d'Italia dopo quella di Torino. Infatti non ci va mai nessuno tranne le scolaresche. Sabato scorso invece la brava Carlotta Ansaldi (della quale ricordo l'affascinante visita sui busti degli Imperatori Romani) ci ha guidato in un excursus sull'abbigliamento nell'Antico Egitto.
Forse a non molti interesserà sapere che è molto raro che siano arrivati fino a noi abiti e stoffe antiche a causa della loro difficile conservazione nei secoli e che, tranne per l'Antico Egitto e il Sudamerica, per capire come si vestivano nelle civiltà antiche, bisogna rifarsi esclusivamente alle raffigurazioni. Saranno state realistiche? Sì e no, ci ha spiegato l'archeologa. Sicuramente quello che rappresentavano era il meglio a cui tendevano ma non necessariamente il vero. Di qui sorge qualche dubbio sulla rappresentazione holliwoodiana dell'antica Roma. Per esempio, avete presente quegli elegantissimi vestiti a tubino delle dee egizie, stretti stretti e lunghi fino ai piedi? Beh, quando gli archeologi alla metà dell'Ottocento hanno cominciato a trovare nelle tombe egizie casse di tessuti, hanno notato che il modello era sì quello ma la larghezza era almeno il doppio. In effetti, a pensarci, non esistevano tessuti elasticizzati e con un vestito come quello della dea Hathor sull'affresco dalla tomba di Sethi I le donne egizie non avrebbero potuto assolutamente camminare.
Inoltre non bisogna dimenticare quanto la vita fosse disagevole anche in questo campo: niente bottoni o cerniere lampo, gli abiti erano tenuti su da spille e spilloni, si cuciva ovviamente tutto a mano e con aghi di osso, la filatura e la tessitura era fatta con mezzi arcaici e con ritmi massacranti. Ecco perché nel mondo antico l'abito faceva eccome il monaco: le classi meno abbienti si potevano permettere al massimo un perizoma, i sacerdoti magari un paio di bei gonnellini sovrapposti (NB solo i Celti e gli Etruschi portavano i pantaloni), e su su fino al faraone che vediamo indossare nell'affresco i suoi bei sandali, un morbido gonnellino, cinture colorate, pettorale e un elegantissimo mantello trasparente e plissettato che doveva costare un occhio della testa.
Il piatto forte della visita sono stati degli abiti e dei tessuti del periodo Greco-Copto (dal III secolo d.C. al 640, data dell'arrivo degli Arabi). Vediamo finalmente la lana (che gli Egizi non avevano mai lavorato perché considerata impura essendo di origine animale) e quindi un paio di calzini, una mantella intera con cappuccio e numerose decorazioni da applicare sulle tuniche frutto del distretto artigianale del Fayum. Vi si nota l'evoluzione dei soggetti, dapprima geometrici, poi mitologici ma con allusioni al Cristianesimo ed infine con espliciti temi Cristiani. Come sono arrivati fino a noi questi manufatti con i loro bei colori vividi? Conservati per secoli sotto l'arida terra egiziana (gli Arabi non toccavano le tombe) e poi venduti a peso dopo l'epoca napoleonica quando il saccheggio dei sepolcri andava a caccia più che altro di oro e gioielli, snobbando questi quattro straccetti che oggi invece hanno riacquistato la loro importanza storica.

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