sabato 5 novembre 2011

Tra l'ansia e la rabbia

Questa estate, mentre imperversavano le discussioni sulla manovra economica, ho letto un opuscolo di Altreconomia dal titolo Paradisi perduti. Mi aveva colpito (e mi riproponevo di parlarne sul blog) perché, con estrema chiarezza, esso mette in evidenza l'enorme ricchezza che viene sottratta all'economia produttiva dai flussi illeciti di capitali, dall'evasione e dalla elusione grazie ai paradisi fiscali. Si parla di centinaia di miliardi di dollari di mancate entrate per tutti i paesi, sia quelli più ricchi sia (e soprattutto) per quelli più poveri. Nell'opuscolo sono spiegati, in modo semplice, i meccanismi del tutto legali che consentono l'elusione fiscale, quanto sia facile aprire una società offshore ed evitare di pagare un bel po' di tasse con espedienti come il tranfer pricing (cioè la vendita virtuale tra filiali della stessa corporation in modo che il guadagno risulti realizzato nel paradiso fiscale). "Ai voglia a far manovre e sacrifici!" ho pensato con rammarico.
Mentre continuavo a non trovare il tempo per scrivere su questo tema un po' ostico, la crisi è andata avanti e i temi economici sono talmente all'ordine del giorno che ormai tutti noi parliamo di spread e di debito pubblico. Così alla sensazione di impotenza che mi è rimasta dopo la lettura dell'opuscoletto, si è sommata la paura di non uscirne. Questo debito pubblico che aumenta di giorno in giorno ("non siamo ancora ai livelli della Grecia ma quasi, quindi tra poco tocca a noi"), questo mantra dei sacrifici da fare, questa sensazione di pericolo immaginando gli speculatori che con un click possono gettarci tutti sul lastrico, mi mette proprio ansia e mi fa vivere il benessere quotidiano come una sorta di vigilia della catastrofe.
All'ansia si è aggiunta la rabbia dopo aver visto la puntata di Report di domenica scorsa in quanto da ciò che ho appreso ho cominciato a vedere le cose sotto un'altra luce. Le riassumo un po' grossolanamente anche se il tema è complesso:
1) La ricchezza non è sparita, anzi, non ce n'è mai stata tanta, ha solo preso un'altra strada, quella della finanza, che non per niente è venti volte il PIL del mondo. Pare che un grande banchiere affermasse che "le crisi servono a far tornare le ricchezze ai legittimi proprietari". Dal dopoguerra agli anni Settanta la crescita economica ha portato un certo benessere diffuso ma poi il capitale ha cominciato a perdere profitti e si buttato sulla finanza.
2) Un broker intervistato ha dichiarato che il mondo finanziario pensa solo a se stesso e non dà alcun contributo alle imprese e che le scommesse della finanza (cioè non il semplice guadagnare sugli interessi per il capitale investito ma il poter vendere anche quello che ancora non si ha scommettendo sul suo ribasso) sono capaci di mettere in ginocchio il mondo.
3) Oggi più del 55% del nostro debito è in mano ad investitori stranieri che guadagnano appunto dalle scommesse sull'oscillazione del suo valore. Le banche di investimento possono quindi scommettere anche sul fallimento di uno stato. La politica di un paese allora risponde al mercato e non agli elettori, quindi non è più sovrana. La BCE si permette di dirci cosa fare ma essa non è un organo eletto ma al servizio delle banche private. Se lo permette perché gli stati nazionali europei, nella paura di cedere sovranità, si fanno mettere i piedi addosso; sono occupati a farsi concorrenza (come se il Texas cercasse di far le scarpe alla California) invece di mettere in piedi una politica economica e fiscale unitaria.
4) Non è sempre stato così. Dopo la crisi del 1929 fu sancita la Glass-Steagall Act che separava le banche tra istituti commerciali (banche tradizionali la cui attività è coperta dallo stato) e banche di investimento, dedite ad attività speculative. Negli anni Novanta, su pressione dei grandi banchieri e con la scusa che "il mercato penserà a regolare tutto", questa legge fu abolita. Le stesse banche che hanno causato la crisi del 2008-2009 e che sono state salvate con soldi pubblici, hanno ricominciato a speculare aggirando i paletti posti dopo il loro salvataggio.
5) Le famose agenzie di rating non sono arbitri indipendenti ma sono in collusione con i grandi interessi bancari, non c'è trasparenza su come danno i giudizi, quasi una situazione incestuosa. Gli Italiani devono quindi tirare la cinghia nei confronti delle dieci società che dominano il mercato finanziario.
Insomma poiché non si può pretendere che gli speculatori siano dei filantropi e vista la latitanza di un governo forte europeo (men che meno italiano), io la vedo buia. Sinceramente ho davvero paura del futuro.
Si riuscirà mai a mettere in riga i paradisi fiscali? Si riuscirà mai a far pagare la crisi a coloro che l'hanno causata? Si riuscirà mai a scoraggiare la speculazione finanziaria, anche solo non permettendo che si possa vendere titoli che non si possiedono? Si riuscirà mai a mettere (a livello mondiale altrimenti non serve) anche una piccola imposta sulle transazioni finanziarie come propone la campagna 0,05.it?
Intanto per non deprimermi del tutto, mi lascio andare alla commozione ascoltando Roberto Vecchioni (una mia vecchia passione di adolescente) sul palco di Piazza San Giovanni:


6 commenti:

  1. Dubito che possano continuare a lungo così, impunemente.
    Da Repubblica : Fatta 10 la popolazione mondiale, 1 ricco ha 1000 dollari, gli ailtri 9 1 dollaro.
    Il 12% della popolazione mondiale vive con meno di 1 dollaro al giorno.
    Comprendo la tua ansia, condita dalla rabbia.
    Cristiana

    RispondiElimina
  2. Non me lo dire a me che nella mia vecchia azienda a causa di speculatori (uno aveva alle spalle ben 32 fallimenti) hanno fatto sparire parecchie decine di milioni di euro (tra cui il mio tfr)...
    Le persone che speculano sulla gente (in special modo sui poveri) dovrebbero riflettere che la vita ad un certo punto finisce.. e poi? che ci fanno con i soldi?

    RispondiElimina
  3. Bel post. Hai puntualizzato in modo chiaro le cause della crisi attuale. Secondo me il problema e' proprio la globalizzazione. Al limite, supponendo di avere un governo illuminato, magari qualche misura a livello nazionale (o europeo) si riuscira' a prendere. La vedo difficile!
    Ma che cio' si possa fare a livello globale mi pare impossibile.
    Secondo me il problema e' che questo sistema e' l'effetto del liberismo capitalista, e siccome questo sistema e' vincente su tutti gli altri (proprio perche' e' alimentato dall'egoismo, del quale abbiamo sovrabbondanza), ogni tentativo di modificare questo ordine delle cose e' destinato a fallire. Ecco, bisognerebbe che la politica governi l'economia, e non viceversa (tanto per autocitarmi)

    RispondiElimina
  4. Appunto, Dario, è proprio quelli che auspicavo (e che auspicano in tanti): "che la politica governi l'economia".
    Lo so che hai scritto un post anche tu sul tema. Ora vado a leggerlo.

    RispondiElimina
  5. :-) non ti preoccupare, la mia autocitazione non era autocelebrativa (ahah!). Volevo solo puntualizzare che anche tu, cara colibri' "stillofora", ti sei messa a parlare di massimi sistemi. Mi piace!

    Consideravo che, oltre che impresa impossibile, quella di imporre un ordine mondiale in cui l'etica venga difesa contro l'egoismo nel mondo economico, cioe' in cui il liberismo capitalista sia represso dalla politica per lasciare spazio alla crescita solidale, sia anche piuttosto inequo.
    Pensa ai Bric. La Cina, ad esempio, fino all'altro ieri andava in giro in bici anche d'inverno. Vivevano ad un livello che noi definiremmo al di sotto della soglia di poverta', semplicemente perche' la loro economia era schiacciata dalla nostra nel religioso perseguimento dell'"etica liberista". Ora che le parti si stanno ribaltando (cosa che a me fa stringere le chiappe) ci permettiamo di dirgli che devono rallentare per non affamare i piu' deboli (cioe' noi). Bene che ci vada, quelli, ci ridono in faccia. Troppo tardi.

    RispondiElimina
  6. Ma veramente, a parte l'emotività che ho espresso, io auspico provvedimenti molto concreti (esempio: costringere i paradisi fiscali a non coprire con l'anonimato i loro correntisti oppure tassare le transazioni finanziare) che potrebbero essere benissimo presi dai vari G20. Fattibilissimo, salvo resistere alle pressioni delle grandi lobby economiche (e qui hai ragione nel dire che si sconfina sull'improbabile).

    RispondiElimina