giovedì 28 giugno 2012

Le "ciliege" e il burocrate

Una delle (tante) cose che mi piacerebbe studiare e approfondire è la linguistica. Il bello della lingua italiana (come di tutte le altre) è il fatto di essere una creatura viva, che cambia, si trasforma, si adatta. Capita così che certe regole che noi di una certà età abbiamo faticosamente imparato a scuola, oggi le troviamo, con nostro stupore e un pizzico di disappunto, non più tassative.
Il tipico esempio è contenuto nel titolo del libro "Ciliegie o ciliege?" presentato a Fahrenheit Radio 3 dall'autrice Valeria Della Valle. Dei 2046 dubbi che la linguista, insieme a Giuseppe Patota, aiuta a sciogliere intanto ho scoperto che le due forme del titolo si possono usare entrambi anche se la tradizione voleva corretta solo la prima (come io sapevo). La professoressa Della Valle non è preoccupata dall'influenza dei nuovi mezzi di comunicazione sull'Italiano (come l'affermarsi del "pò" negli SMS invece della forma con l'apostrofo) perchè comunque hanno il vantaggio di costringere a scrivere qualcosa anche chi sarebbe restìo a prendere in mano una penna ed un foglio.Se c'è invece una lingua che sembra rimanere immutabile è quella del burocratichese, oggetto di un'altra puntata di Fahrenheit con ospiti Anna Maria Testa e Angela Frati, ricercatrice che, insieme a Stefania Iannizzotto, sta scrivendo un vademecum per semplificare il linguaggio della pubblica amministrazione.
Tentativi che io trovo benemeriti in quanto usare un linguaggio comprensibile anche al cittadino di bassa cultura è una questione di democrazia. Un linguaggio incomprensibile e vessatorio impedisce di far valere i propri diritti fino in fondo o per lo meno costringe a trovare il tempo e la fatica per decodificarlo.
Perché si continua a trovare espressioni come "Atteso che allo stato non risultano circostanze ostative al prosieguo del previsto iter procedurale tendente all'accoglimento dell'istanza ...” quando si potrebbe rendere perfettamente l'idea con un “non essendoci impedimenti si può accettare la domanda”? Tanto per citare uno dei numerosi esempi portati in puntanta. Lo spiega bene Anna Maria Testa quando racconta che, durante un corso per magistrati, erano proprio i giovani procuratori a fare resistenza verso una semplificazione del linguaggio affermando che per essi, magari di umili origini, l'acquisizione di un linguaggio complesso pieno di tecnicismi giuridici era stata una tale conquista sociale che non avevano nessuna intenzione di rinunciarvi. Così come ad un corso per sindacalisti, gli interessati affermavano di averci messo anni ad imparare come dovevano esprimersi e quindi non erano affatto favorevoli ad una semplificazione. Ciò conferma la mia tesi espressa in questo vecchio post.
Senza contare che usare un linguaggio volutamente oscuro serve anche per affermare il proprio potere di burocrate ed allontanare, mediante l'incomprensione, eventuali discussioni. Per esempio, dietro la forma impersonale come "E' opportuno che venga attuato..." si nasconde facilmente la responsabilità di chi deve attuare la cosa.
E pensare che già nel 1940 Whiston Churchill aveva raccomandato: "Chiedo ai miei colleghi ed al loro personale di scrivere testi più brevi che espongano i punti principali in una sequenza di paragrafi brevi e incisivi. E' ora di mettere fine a frasi come queste: 'E' altresì di estrema importanza tenere presenti le seguenti considerazioni' oppure 'Dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità di porre in essere'. La maggior parte di queste frasi fumose non sono che vuota verbosità.“

2 commenti:

  1. “non essendoci impedimenti si può accettare la domanda”...e non è ancora meglio, semplicemente: "la sua domanda è stata accettata"? (con la pura informazione che interessa, senza oscuri e minacciosi fronzoli aggiuntivi:-))))

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  2. Bah.
    come raccontavo in questa storiella, anche io ho il dubbio su come si scrive cilieg(i)e. Ma mi pongo il problema, segno che la considero questione rilevante.
    Io poi uso sempre l'apostrofo (che' sono abituato all'uso della tastiera americanda, dove le lettere accentate non ci sono), ma pò, con l'accento, mi pare proprio impossibile da scrivere.
    Qualcuno diceva che e' l'uso che fa la grammatica e non vice versa. Ma bandire le regole per questo mi pare sbagliato. Per esempio, io i congiuntivi e i condizionali non li abolirei, non tanto per tradizionalismo, ma perche' penso che usare solo l'indicativo toglierebbe espressivita' alla lingua.

    E sono d'accordo con te, e' il mezzo di comunicazione che stimola ad un uso diverso della lingua. La chat, per esempio, e' la traslitterazione del linguaggio parlato, che e' diverso da quello scritto, per cui io allegramente uso espressioni come "ciò" in luogo dell'espressione "ci ho", che gia' sarebbe sbagliata di per se', semplicemente perche', fosse una comunicazione verbale, direi proprio cosi'.

    Il burocratese... non sono sicuro che l'idea sia quella di non far capire alle persone di cultura inferiore, perche' io, che sono pure laureato, ho davvero problemi a capire frasi come quelle che hai citato. Ci devo mettere dell'impegno eccessivo rispetto al significato che vogliono intendere.
    Penso che il problema di cambiare la forma di una frase per renderla piu' facilmente interpretabile costi il compito di analizzare in profondita' per evitare possibili interpretazioni alternative che possano giustificare, a livello formale, contravvenzioni alla regola che si vuole esprimere.

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