giovedì 22 febbraio 2007

Decrescita felice o infelicità della decrescita?

Sicuramente avrete sentito parlare del problema che l'economia non cresce, i consumi non crescono, il PIL non cresce, e così via. Pochi, ma sempre di più secondo me, hanno anche sentito il termine "decrescita". Si tratta di un pensiero contro corrente di chi, vedendo i danni ambientali e sociali di un economia sempre più liberista, ritiene che sia stato raggiunto il limite e che non bisogna crescere ma "decrescere" (vedi http://www.decrescita.it/).
Per farmi un'idea sulla decrescita ho seguito un intervento di Maurizio Pallante , autore del libro "La decrescita felice".
Pallante propone un ritorno il più possibile all'autoproduzione (il tipico esempio è lo yogurt fatto in casa che è più buono, non inquina, non crea rifiuti) unita alla sobrietà (lavorare meno e consumare meno per inquinare meno, produrre meno rifiuti e consumare meno risorse). Al nucleo delle cose e dei servizi autoprodotti si dovrebbe unire una serie di cose e di servizi scambiati gratuitamente come dono e solo per il resto si dovrebbe ricorrere allo scambio mercantile (acquisto). Il tutto, secondo lui, dovrebbe partire dalle nostre scelte quotidiane individuali. L'aggettivo "felice" sta indicare che questa scelta non sarebbe un sacrificio, una rinuncia, ma un mezzo per godersi la vita in un modo più autentico e naturale.
L'idea è molto affascinante e di sicuro ci sono degli aspetti che mi trovano d'accordo. Sono d'accordo che una società "usa e getta" è assurda, ingiusta e suicida. Noi che viviamo nei paesi ricchi siamo il 20% dell'umanità e non possiamo continuare a consumare le risorse del pianeta, che non sono infinite, a scapito dell'altro 80%.
L'aspetto che mi convince di più è la sobrietà. Sobrietà per me significa non lasciare le cose nel piatto, non comprare sempre nuovi capi di vestiario solo per inseguire le mode, lasciare l'auto a casa tutte le volte che ci è possibile, non cambiare auto ogni due anni solo perchè altrimenti si deprezza, non cambiare telefonino solo per inseguire l'ultimo modello, ecc. Insomma, prima di acquistare un oggetto chiedersi se ci serve veramente o se stiamo sottostando solo ad un bisogno indotto dalla pubblicità (vedi Sono una consumatrice critica).
Quello che invece non mi convince per niente è il ritorno all'autoproduzione. Per me, che sono negata per i lavori manuali, mettermi a fare il pane o lo yogurt in casa o a coltivare l'orticello sarebbe un grande sacrificio (invece che la "decrescita felice" sarebbe "l'infelicità della decrescita").
Sono inoltre convinta che "l'autoproduzione dei servizi" significherebbe che la cura della casa e dei familiari ricadrebbero come al solito sulle spalle delle donne che hanno faticosamente conquistato nel corso di questi anni l'indipendenza economica. Infine ho paura che la proposta di lavorare meno non sia alla portata di tutti. Per molti non è una scelta, non si tratta di rinunciare al superfluo ma di arrivare in fondo al mese!
Caro Pallante, è vero che il progresso non è sempre positivo ma bisogna stare attenti a non buttare via il bambino con l'acqua sporca!

Per appprofondimenti:
http://www.unmondopossibile.net/articolo/art0076.htm
http://www.beppegrillo.it/libri.php#decrescita
http://www.carta.org/campagne/globalizzazione/decrescita/
http://www.cnms.it:8080/cnms/dattidafare/suggerimenti_da_sobrieta_cap4

1 commento:

  1. ho preso spunto dal tuo post sulla decrescita per farne uno nel mio, perchè lo ritengo molto interessante.
    Spero non ti dispiaccia

    ciao
    mirco
    http://mirco3.blogspot.com/

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