lunedì 23 gennaio 2012

Alla sinistra di Rampini

Mercato come sommo regolatore che emenderà da solo i propri difetti? Federico Rampini, ospite di questa puntata de Le storie - diario italiano, ammette di fare autocritica e di prendersi la colpa di essersi innamorato di un modello di sinistra (il neolaburismo) che, per liberarsi dall'Unione Sovietica da un lato e della Cassa del Mezzogiorno (cioè dello statalismo) dall'altro, ha pensato che il mercato potesse diventare un alleato. Ammette di aver pensato che il modello californiano, fatto di battaglie per i diritti dei consumatori e per la difesa dell'ambiente, di cui oggi vede i limiti, potesse sostituire la sinistra classica tesa verso la lotta per dimininuire le diseguaglianze sociali.
Tale autocritica è contenuta nel suo ultimo libro "Alla mia sinistra" dove il giornalista ripercorre gli ultimi trenta/quarant'anni dal suo punto di osservazione di grande conoscitore sia dell'Oriente che dell'Estremo Occidente dove vive ora. Rampini indica anche alcuni esperimenti interessanti come quello del Brasile dove si è riusciti a far uscire dalla povertà venti milioni di persone con strumenti semplici ma efficaci come quello di consegnare un sussidio in mano alle madri (i padri lo avrebbe sperperato subito) con il patto che i figli vadano a scuola. Certo il Brasile ha ancora enormi problemi e non può essere un modello per noi. Tuttavia esso è l'unico esempio di crescita che ha ridotto la distanza tra i ricchi e i poveri facendoci immaginare un cambiamento possibile e dimostrandoci che non è vero che lo sviluppo deve andare per forza in direzione di società diseguali, con un'enorme concentrazione di ricchezza nell'apice della piramide.
Quello che mi è sempre piaciuto di Federico Rampini è la sua estrema chiarezza e capacità di arrivare subito al punto centrale delle questioni.
In effetti alla fine essere "di sinistra" significa "essere contro le diseguaglianze che non è solo una scelta filosofica o etica", afferma il giornalista, "ma è un fattore essenziale per aggredire la causa strutturale di questa crisi. La crisi scoppiata nel 2008 e in cui ancora navighiamo infatti è stata provocata, prima ancora che dalla finanza tossica e dalle storture e dalle malefatte dei banchieri, da un eccesso di diseguaglianza. Non ne usciremo se non riusciamo a redistribuire potere d'acquisto ad un ceto medio impoverito che non ha più prospettive."
Il declino morale invece della sinistra di questi ultimi decenni è dovuto al fatto che i suoi leader hanno importato dalla destra liberale e neoconservatrice l'idea che il denaro è la misura del talento.

6 commenti:

  1. Commento solo l'ultima frase: anche se la destra neoconservatrice è tutt'altro che liberale (almeno per quella che è la mia idea di liberalismo), non potrei essere più d'accordo, e il numero di peana a Steve Jobs provenienti da ambienti di "sinistra" ne è uno degli esempi più lampanti. La sinistra italiana, comunque, secondo me si è affossata nel momento in cui, di fronte ad un popolo che ha sempre rifiutato il modello comunista, non ha saputo proporre un modello alternativo di società; e soprattutto quando, in presenza di un modello di educazione obsoleto e classista, ha lasciato la scuola nelle mani di gente ignorante e ottusa.

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  2. Azzeccatissima la chiosa finale.

    Secondo me il problema e' stabilire se un modello di sviluppo compatibile alla riduzione delle disuguaglianze sia competitivo con modelli di sviluppo piu' aggressivi, che delle disuguaglianze se ne fottono. Perche' se cosi' non fosse (come sospetto), significherebbe che quel modello e' destinato a fallire nel mercato globale. Non credo sia il caso del Brasile, ma come hai notato tu, noi non siamo il Brasile. Il mio sospetto e' che se unilateralmente riducessimo le disparita', la nostra economia risulterebbe meno competitiva, e quindi perdente.

    Visto che siamo in un mondo globale bisognerebbe applicare questo principio a livello mondiale. Ma dubito che ci si riesca: visto che la Politica si e' arresa all'economia in ogni singolo Paese, non vedo come possa imporsi sull'intero pianeta.

    Sono troppo pessimista?

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  3. anch'io ho letto il libro e anche un altro. quello che mi piace di lui è una certa serenità che esprime. oltre alla chiarezza che menzioni tu.
    ho trovato anche interessante l'idea che esprime riguardo al legame fra sinistra e rapporto del cittadino con lo stato, penso che su questo la sinistra avrebbe dovuto puntare molto quando ne aveva l'occasione...
    cmq la crisi e i nostri problemi assumono un'altra ottica se visti dalla sua... in fin dei conti spesso noi vediamo solo cosa abbiamo perso, e non vediamo quanto altri che eramo poveri hanno guadagnato. che le mie prospettive siano inferiori rispetto a quelle di mia madre, lo trovo molto meno rilevante a fronte dell'idea che questo è anche il frutto di un nuovo equilibrio mondiale un pochino più equo.

    p.s. per dario: in maniera molto sintetizzata, rampini esprime l'idea che accentuando le disparità e in particolare impoverendo la grossa fascia del ceto medio, il capitalismo finisce per strozzarsi da solo... cosa che sta succedendo in occidente. da cui, aldilà degli aspetti etici, la necessità di ridurre (non eliminare, non uccidere la meritocrazia) le diseguaglianze per essere economicamente forti.

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  4. Uhm.... sostanzialmente dici che siccome l'imprenditore vede il capitalismo collassare, rinuncia ad un po' di esso per evitare il collasso. Interessante...

    Gia', ma pero' c'e' un altro scenario da prendere in considerazione, cioe' che all'imprenditore non interessi il collasso del capitalismo come sistema, ma solo il suo profitto personale. Insomma, un po' come il re dell'isola di pasqua, che non puo' far altro che sterminare tutta la civilta' (e anche se stesso) estirpando tutti gli alberi per innalzare i famosi faccioni.
    Io credo che se un capitalista si autolimitasse in parte per il bene comune, ci sarebbe subito un altro capitalista che gli ruberebbe cio' che rinuncia.
    Il punto e' che se unilateralmente uno Stato decidesse di imporre regole per limitare il capitalismo, quello stato perderebbe la competizione ben prima del suicidio dell'economia mondiale. E quindi non lo fa.
    Quindi, l'unica soluzione e' che tutti gli Stati capitalisti decidano contemporaneamente di imporre quelle regole.

    Cmq, questo e' un mio parere del tutto personale, intendiamoci.

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  5. @ dario
    no guarda hai frainteso, il capitalismo collassa perchè viene a mancare il ceto medio che è quello che crea il consumo. rampini rileva che ogni crisi economica in un paese è preceduta da una fase di crescita delle disuguaglianza con un forte impoverimento del ceto medio che diventa povero, condeguente del capitalismo spinto e del potere che spesso ha nei confronti dei governi. i paesi in crescita, quelli attualmente più competitivi, sono caratterizzati da un aumento della ricchezza diffusa. cina, india, brasile. sono paesi in cui stanno migliorando le condizioni di vita. i paesi in crisi hanno invece alle spalle un periodo in cui il ceto medio, formatosi nel periodo di crescita, si sta impoverendo, per esempio america e italia.
    non ho la cultura per giudicare la sua posizione, ma l'altro giorno un cotruttore si lamentava che i giovani non comprano case. la maggior parte dei giovani in età di comprar casa non ha accesso a un mutuo, e al max può fare un mutuo per 100mila euro, del tutto insuffciente per una costruzione nuova. quindi le sue case sono invendute. lo stesso immagino valga per altri settori di mercato.

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  6. Liber, neanch'io ho cultura per giudicare. Da ignorante, credo che quello che tu dici sia abbastanza evidente: se il consumatore si impoverisce non puo' che finire per consumare di meno, con grave danno per tutti, anche gli imprenditori.

    Ma io penso che aspettarsi che questo "regresso" sia sventato da imprenditori lungimiranti che tentano di comune accordo di regolamentare il capitalismo, imbrigliandolo con regole che mantengano alto il potere d'acquisto del ceto medio, mi sa che sia un'illusione.
    In una societa' dove nove imprenditori su dieci accettano di limitare il proprio profitto in favore del ceto medio (anche se lo fanno per salvare il meccanismo che li mantenga privilegiati), in quella societa' il decimo imprenditore fa soldi a palate. Quindi imbrigliare il capitalismo riscuoterebbe pareri negativi degli imprenditori.
    E questa e' una.

    L'altra e' che se la politica di un Paese limitasse il liberismo (ad esempio - concedimi un esempio ingenuo - sovratassasse i privilegiati distribuendo a pioggia ai consumatori, cosa che rilancerebbe i consumi), le economie degli altri Paesi riuscirebbero ad essere piu' competitive, e quindi il Paese imbrigliato soccomberebbe.
    A meno che strategie di limitazione del liberismo venissero adottate contemporaneamente da tutti i Paesi. Ma credo che questa soluzione sia di piuttosto difficile attuazione, considerato anche il cambiamento che sta avvenendo a livello mondiale.

    Gia', perche' se fino a ieri l'"Occidente" ha fatto la pacchia sfruttando il liberismo sfrenato, ora come li convinci i cinesi ad autolimitarsi per sostenere il nostro ceto medio?
    In fondo ci vedo un risvolto etico, in questo. Loro sono andati in giro in bicicletta fino a ieri e oggi noi gli chiediamo di rinunciare all'auto perche' non ci vogliamo rinunciare noi.

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