venerdì 17 maggio 2013

Obsolescenza programmata

L'obsolescenza programmata, termine coniato dal design americano Brook Stevens, è il desiderio del consumatore di possedere qualcosa di nuovo un po' prima di quando necessario. Si tratta di un espediente che, come consumatrice critica, conoscevo da tempo ma non sapevo che l'idea risalisse a quasi cento anni fa e che fosse proprio frutto di un accordo ben preciso.
Come ho appreso infatti da un servizio all'interno della trasmissione Metropoli, nella puntata dedicata a Torino, nel Natale del 1924, i principali produttori di lampadine europei e americani istituirono il primo cartello mondiale chiamato Phoebus. Lo scopo era di controllare il mercato delle lampadine e il consumatore. I progettisti e gli ingegneri furono indotti ad abbreviare la durata delle lampadine al solo scopo di aumentare la domanda. Fino ad allora la durata pubblicizzata delle lampadine era di 2500 ore mentre con il cartello i membri del Phoebus bandirono tutte le lampadine con una durata superiore a 1000 ore. Ufficialmente il cartello non è mai esistito ma l'ideologia dell'obsolescenza programmata da allora si diffuse sempre di più. Nel 1928 un'importante rivista pubblicitaria sentenziò: "per il mondo degli affari un capo di abbigliamento che rifiuta di consumarsi è una tragedia". 
Nel 2003 la Apple venne portata in tribunale con l'accusa di aver montato sugli Ipod una batteria progettata appositamente di breve durata per costringere i consumatori a comprare un nuovo modello dopo poco tempo.
Oggi l'obsolescenza programmata è parte del programma di studio per progettisti ed ingegneri. Un ingegnere ha scoperto che la vita della sua stampante dipendeva da un chip inserito al suo interno che l'avrebbe bloccata al raggiungimento di un certo numero di copie. 
Non so perché ma questa cosa non riesco a prenderla pacificamente. Mi stimola senso di ribellione come tutto quello a cui veniamo indotti in modo subdolo e non per nostra scelta consapevole. Mi consola il fatto che più o meno istintivamente tendo a farmi durare tutto il più possibile, anche i vestiti. Talvolta, quando pervengo alla conclusione che un capo sia da buttare, provo un po' di senso di colpa. Poi mi domando da quanti anni lo sto usando e scopro che magari sono sette anni, per esempio, che uso gli stessi pantaloni per le escursioni!
Nel passato l'obsolescenza programmata è stata usata per combattere la crisi ma oggi non tutti possono permettersi di buttare un cellulare nuovo, conclude il servizio.

9 commenti:

  1. Mi! Sette anni per un paio di pantaloni da trekking? E che e', sono di ghisa? ;-)

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    1. Ovviamente li uso solo per i trekking, Dario. Però ce n'ho fatti diversi, hanno preso pioggia, fango, ecc. A me durano i vestiti. Non so da cosa dipenda.

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  2. "L'obsolescenza programmata, termine coniato dal design americano Brook Stevens, è il desiderio del consumatore di possedere qualcosa di nuovo un po' prima di quando necessario"

    Veramente, proprio come dici dopo, l'obsolescenza programmata è la scelta ***del costruttore*** di fare le cose in modo che durino solo un certo numero di anni, in genere 4-5 ma ultimamente si sta scendendo a 2-3. Si potrebbero costruire oggetti che durino 10 volte tanto, ma non lo si fa per avere maggiori guadagni.

    Noi clienti questa cosa la subiamo

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    1. Appunto quello di cui parla il post. Forse, se vuoi, mancava l'aggettivo "indotto" (desiderio indotto).

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    2. Mmh... il "desiderio [indotto] del consumatore di possedere qualcosa di nuovo un po' prima del necessario" credo che sia una strategia un po' piu' subdola della "scelta ***del costruttore*** di fare le cose in modo che durino solo un certo numero di anni".

      Se il consumatore ha la volonta' di mantenere a lungo un bene, scegliera' un prodotto che ha le capacita' di durare a lungo, e quindi la strategia di farlo durare poco e' perdente.
      Ma se si lavora sulla testa dei consumatori in modo che, indipendentemente dalla durata programmata del prodotto (o, in generale, indipendentemente dalla sua qualita'), tra un po' di tempo avranno voglia di buttarlo e acquistarne uno nuovo, allora il gioco e' fatto: il consumatore continuera' a consumare.

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    3. "Se il consumatore ha la volonta' di mantenere a lungo un bene, scegliera' un prodotto che ha le capacita' di durare a lungo, e quindi la strategia di farlo durare poco e' perdente."

      Il fatto è che fare le cose che durano ha un costo maggiore che farle che durano poco. Inoltre farle che durano poco ti fa guadagnare di meno. Siccome il produttore ha tutto l'interesse a fare le cose che durano poco, le farà solo così.
      Al caso delle lampadine fa da contrappeso quello delle calze da donna. Nel dopoguerra si iniziò a produrre, da parte di alcune fabbriche, delle calze che duravano di meno. Alcune fabbriche per scelta continuarono a produrre calze più resistenti. Il guaio è che le calze resistenti costavano molto di più delle altre. Morale: anche se tutte le donne si lamentavano della qualità, le fabbriche che producevano meglio o hanno adottato la nuova tecnica o sono fallite.

      Potendo scegliere hai ragione tu, Dario. Il problema è che NON possiamo scegliere.

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    4. Secondo il tuo ragionamento, il prodotto che dura piu' a lungo costa di piu' produrlo, e quindi il consumatore, pur sapendo che e' un prodotto vantaggioso, non lo acquistera' perche' costa di piu'.
      Come dire, preferisco spendere un euro al giorno per un paio di calze che durano un giorno che dieci euro all'anno per un paio di calze che mi durano un anno.
      Verrebbe da concludere che i consumatori non ci capiscono molto di aritmetica.

      No, il punto secondo me e' un altro: il consumatore, sapendo che tra un mese dovra' acquistare un altro paio di calze, perche' quelle che acquista oggi saranno fuori moda, allora non si preoccupera' se la qualita' delle calze che acquista oggi e' tale da garantire una durata maggiore di un mese.

      I telefonini di adesso li vendono con la batteria incollata alla motherboard, cosi' che quando, dopo un certo numero di ricariche, la batteria e' esaurita uno dovra' comprare un nuovo telefonino. Ma non mi pare che i consumatori se ne diano tanta pena, visto che la durata della batteria e' sicuramente superiore all'obsolescenza tecnica del telefonino.

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  3. Anche a me provoco' un moto di rabbia quando ne sentii parlare per la prima volta ;-) Comunque va anche detto che certi apparecchi ormai sono fatti coi piedi... basta confrontare i videoregistratori degli anni '80 con gli ultimi che sono stati prodotti prima della loro uscita dal mercato: le parti meccaniche dei primi erano spesso metalliche, pesavano una tonnellata, costavano l'ira di Dio ma duravano una vita; gli ultimi erano praticamente di plastica, ti credo che si usuravano come niente...

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  4. C'è anche da dire che hanno un po' scoperto l'acqua calda. È il business, baby.

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