giovedì 26 dicembre 2013

Da grande vorrei fare l'avvocata

Il sessismo linguistico è un atteggiamento che si rivela in abitudini  stereotipate e cristallizzate nella lingua, di cui spesso non ci si accorge, ma che, ad un'occhiata un po' più attenta, vengono fuori. La scelta delle parole non è solo forma ma rivela anche la mentalità che sta dietro al parlante o allo scrivente.
Ho preso consapevolezza di quanto sia sessista il linguaggio comunemente usato quando ho sentito un paio di interventi illuminanti in questa vecchia puntata di La Lingua Batte, un programma Radio 3 RAI molto carino ed interessante.
Per la rubrica Dice il saggio, Cecilia Robustelli, insegnante di linguistica italiana all'Università di Modena e Reggio Emilia e collaboratrice dell'Accademia della Crusca, ha illustrato le Linee guida per l'uso del genere nel linguaggio amministrativo, un lavoro pubblicato dal Comune di Firenze per unire esigenze comunicative e istituzionali ad esigenze linguistiche di rispetto dell'uso del genere.
Se usare il maschile plurale per intendere incluse anche le donne non prevede alternative praticabili, sarebbe invece auspicabile, per un uso della lingua italiana che tenga conto del rispetto delle donne ed anche del funzionamento della lingua medesima, usare il femminile ogni volta che è possibile, ma questo non viene fatto, spesso neanche dalle donne. E' una cosa a cui sto facendo caso da un po' di tempo e che mi dà assai fastidio.
Cecilia Robustelli fa alcuni esempi: così come si dice impiegata si può dire deputata, così come si dice ragioniera si può dire ingegnera, così come si dice coniglietta si può dire architetta. Le parole ci sono ma la nostra cultura ci trattiene da usarle anche a causa del fatto che certe professioni e posizioni occupate dalle donne sono considerate ancora (ancora!) una curiosa novità.
La linguista si riferisce a sua volta ad un testo che risale ben al 1987, "Il sessismo nella lingua italiana",  nel quale Alma Sabatini, una pioniera del rinnovamento linguistico in nome del genere, inserì una serie di raccomandazioni per ovviare alle discriminazioni di genere nella nostra lingua, molte delle quali però vennero ignorate, come, per esempio, quella di non usare l'articolo davanti ai cognomi di donne.
Nella rubrica Accademia di arte grammatica invece, Fabiana Fusco, che insegna Glottologia all'Università di Udine ed autrice di "La lingua e il femminile nella lessicografia della lingua italiana tra stereotipi ed invisibilità", sconsiglia di declinare il femminile con il suffisso essa che ha sempre una sfumatura negativa o per lo meno ironica, ad eccezione delle forme ormai entrate nell'uso come professoressa, studentessa e dottoressa. Per esempio, perché usare il bruttissimo il termine avvocatessa mentre esiste quello di avvocata, che ha anche l'antico significato di protettrice e rende più prestigiosa tale professione?
Alcune donne affermano di usare il maschile per la propria definizione professionale come segno di un'equità raggiunta. A me invece suona di omologazione ed al contrario penso che usare il femminile rivendichi la conquista raggiunta. Così come Fabiana Fusco ci fa riflettere sull'asimmetrica semantica, cioè la differenza di significato, tra maestra e maestro o segretaria e segretario. Perché l'ostetrico deve essere un medico mentre l'ostetrica una semplice infermiera?
Non vorrei più sentire i media che usano espressioni come "il ministro Maria Chiara Carrozza" o "il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini" che sono oltretutto forme grammaticalmente scorrette.
Mi piacerebbe invece che una bambina di oggi potesse desiderare da grande di fare l'amministratrice unica, la segretaria generale, la consigliera comunale, l'assessora, la sindaca, l’avvocata, l’architetta, la chirurga, l’arbitra, l’ingegnera, la magistrata, la prefetta, la rettrice dell’Università, la notaia, la dirigente, la giudice, la magistrata, la vigile, la ministra, la presidente, la corrispondente, la manager, la parlamentare, la deputatala, la cancelliera.

Comunicato stampa dell'Accademia della Crusca sul tema

7 commenti:

  1. Con una ragazza che scriveva su un periodico autogestito, di cui aspirava a diventare direttrice, una volta ho quasi litigato, perché secondo lei "direttrice" è solo di un asilo o del circolo di maglieria. Correva l'anno 2004.
    L'asimmetria semantica non la nego, tuttavia l'abbiamo creata noi (fino a quand'è che sono esistiti gli istituti tecnici femminili?), e fa parte di quei fenomeni che non si possono comandare con un decreto. Ci vorrà del tempo prima che la simmetria sia ristabilita, e usare il maschile in segno di equità, in realtà, non fa altro che rallentare il processo, se non confermare che le donne che hanno fatto carriera hanno preso, degli uomini, la parte peggiore ;-)

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  2. Tratti sempre degli argomenti molto interessanti, talmente esaurienti e perfetti che più che assantire, non si può fare.
    Desidero fare a te e alla tua famiglia, i miei più sentiti AUGURI di un Buon Anno 2014
    Cristiana

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  3. Mah, non lo so, forse non ho le idee molto chiare ma istintivamente a me pare più ghettizzante usare termini come ministra, assessora o avvocata. Su altri sono d'accordo e stanno entrando nel linguaggio comune (deputata, notaia, cancelliera) ma alcune femminilizzazioni francamente sono proprio delle forzature. Perché una donna non possa essere definita sindaco o ministro o rettore non riesco a capirlo: la funzione è quella, che il ruolo sia ricoperto da un uomo o da una donna. Che necessità c'è di sottolineare a tutti i costi il genere? Forse che una donna non può fare l'ingegnere o l'architetto? Io stessa non mi sono mai definita ricercatrice o professoressa, ma sempre ricercatore e professore. Sbaglio così tanto?

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    1. Scusa l'anonimato, sono biba.

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    2. Ovviamente no. Fai come credi.
      Io mi sento "ragioniera" e se mi indicassero come ragioniere mi suonerebbe assai strano.
      Lavorando in un ente di ricerca, per me le mie colleghe sono e rimangono "ricercatrici". Vuol dire ghettizzarle? Vuol dire sminuire il loro lavoro?
      Oggi ho visto un'intervista ad una legale che sotto veniva definita "avvocato". Mi sono chiesta: ma se si trattasse di un'infermiera a chi verrebbe in mente di scrivere sotto "infermiere"? Perché infermiera sì e avvocata no? Te lo sei chiesto?
      Non si tratta di sottolineare a tutti i costi il genere: se il femminile in Italiano esiste, va usato a parer mio (ed anche a parere dell'Accademia della Crusca).

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  4. L'articolo davanti al cognome mah, sara' che sono lombardo, ma a me viene da metterlo anche quando si tratta di un uomo. Anche sul nome proprio, per altro. Sara' pure sbagliato...

    D'impulso sono d'accordo con te sull'uso del femminile. C'e' pero' da dire che quando mi capita di doverlo usare mi pongo sempre il problema di chiarire se l'interlocutrice non ne possa aver male, proprio per quello che dici tu: se la nomino "avvocata" quella pensera' che do' pari dignita' linguistica al termine corrispondente maschile oppure che svilisco la dignita' professionale sottolineandola con un femminile, dato l'indiscusso sessismo linguistico?
    Quando devo fare un colloquio presso una dottoressa non ho problemi, ma se lo devo fare con una ingegnera, allora mi pongo il problema. Tanto che in genere mi limito a chiamarla "signora", anche se mi e' capitato di essere corretto con "signorina, prego".
    Io preferisco essere chiamato "Signor C." piuttosto che "Dottor C.". Certamente non voglio essere chiamato "Ingegner C.", visto che non sono ingegnere. La mia antipatia verso i titoli professionali pero' non sempre e' condivisa, quindi anche l'uso di "Signora" (o, peggio "signorina") mi pare rischioso.

    Penso che l'ambiguita' linguistica sia solo la maschera del problema di discriminazione che c'e' nel mondo professionale. Se ci fosse davvero pari opportunita', non mi porrei il problema e la mia interlocutrice non avrebbe a che fare con il mio imbarazzo nella scelta della parola adatta.

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  5. Mi viene in mente l'uso della parola "guardia", che ho sempre trovato bizzarro (perche' insolito), visto che si usa al femminile anche quando si tratta di un uomo. L'eventuale aggettivo e' accordato comunque al femminile ("guardia giurata") e cosi' pure il titolo ("signora guardia"). Eppure l'uso del femminile non sembra sminuirne il ruolo. Pero' ammetto che in tutti gli altri casi e' cosi'.
    "Soldato" per esempio: "soldatessa" mi pare ironico, e "soldata" mi pare davvero scorretto. "Donna soldato" mi sembra davvero discriminatorio, mentre l'uso di "soldato", senza specifica del genere, mi pare finisca per indicare esclusivamente un maschio. Non se ne esce.

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