domenica 22 dicembre 2013

Ne vale la pena?

"Cosa ci può interessare in quali condizioni stanno i detenuti nelle carceri italiane? Abbiamo già i nostri problemi. Se la sono cercata: è giusto che marciscano in cella. Lavoro per i detenuti? Figuriamoci, non ne abbiamo neanche per noi e soprattutto per i nostri figli!"
Io penso invece che, al di là che il rispetto dei diritti umani ci vuole sempre e comunque, senza considerare che il 40/45% dei detenuti sono in attesa di giudizio e che quindi potrebbe essere innocente e che pertanto potrebbe capitare anche a noi e ai nostri cari, senza pensare che un detenuto costa 300 Euro al giorno allo Stato, non ci convenga assolutamente reimmettere in libertà (perché comunque prima o poi questo accade) una persona divenuta più cattiva di prima. Allora sì che sarebbe un pericolo e un danno per tutti noi che ci sentiamo "dall'altra parte".
Detto questo, il problema delle carceri è enorme ed è anche strettamente collegato al funzionamento della giustizia che, come al solito, è congegnato in modo che chi ha soldi in carcere non ci andrà mai, mentre più si è poveri più è facile finirci.
Personalmente, visto che per fortuna non ho avuto mai a che fare direttamente con il mondo carcerario, mi limito a segnalare spunti interessanti che mi sono venuti indirettamente da questa realtà.

Per esempio, durante l'ultimo campo antimafia che ho fatto in Puglia ci è venuto a trovare il giornalista Danilo Lupo che è stato finalista al premio Ilaria Alpi con un bel documentario sul carcere di Lecce, il terzo carcere più grande al Sud dopo Palermo e Napoli, dal titolo Dietro le sbarre.
Progettato per 620 persone, il carcere di Lecce è arrivato a contenerne fino a 1500. In una cella di 11 mq compreso il bagno, pensata per una persona, ci vivono in tre. L’acqua, che spesso manca anche nelle giornate più calde, dovrebbe essere potabile ma esce dai rubinetti piena di ruggine. Due terzi dei detenuti fa uso di psicofarmaci (la sanità carceraria tende a sedare, a stordire i sintomi). L’assistenza ai detenuti è uno dei vincoli più forti che li tiene legati all’organizzazione criminale.

Se c'è una cosa che può contribuire al recupero dei detenuti è proprio il lavoro, non tanto come riempitivo del tempo, quanto come strumento per crescere. Il lavoro dà dignità, li responsabilizza, li fa sentire parte attiva della società. Purtroppo ciò riguarda una piccolissima parte parte dei detenuti (qualcosa come poco più di un migliaio su 65.000), come ci raccontava, durante un altro campo antimafia che ho fatto, Giuseppe Pisano, rappresentante della cooperativa L’Arcolaio che produce nel carcere di Siracusa dolci di pasta di mandorle (buonissimi!)  chiamati “Dolci evasioni”, esperienza di cui si può vedere una presentazione su RAI1.
Un'altra splendida esperienza di lavoro carcerario (che continua oggi solo in parte a causa dei tagli alle spese) è quella nell'isola di Gorgona che è stata presentata a Fahrenheit Radio 3 dal direttore Carlo Mazzerbo, coautore con Gregorio Catalano, del libro Ne valeva la pena.
L'intervista a Mazzerbo mi ha ricordato gli anni in cui frequentavo l'isola di Capraia, sede anch'essa in quel periodo di una colonia penale che io immaginavo un po' come quella del film Papillon.
Carlo Mazzerbo, direttore del carcere di Gorgona del 1989 al 2004, ha cercato di applicare la legge Gozzini del 1975 coinvolgendo i suoi 120-130 detenuti in un esperimento di lavoro come forma di rieducazione. Sull'isola si realizzavano lavori agricoli, edili, di falegnameria, panetteria, acquacoltura, ecc. Vi era ampia scelta che permetteva di trovare per ciascuno di loro l'attività giusta che li facesse acquisire consapevolezza delle proprie capacità. L'importante era coinvolgere i detenuti nella gestione dell'isola, responsabilizzarli e favorire così un processo di maturazione che rendeva loro stessi in primis attori del loro reinserimento. 
"Per la prima volta ho visto lo Stato che mi ha dato fiducia" ha detto al direttore un detenuto contabile che è voluto rimanere anche dopo aver finito di scontare la pena.
Il lavoro di queste persone era remunerato secondo tabelle del ministero di giustizia con paghe più basse di quelle consuete ed essi potevano disporre solo di una parte del compenso (mentre l'altra era vincolata per quando sarebbero uscite).
Un'esperienza esaltante ma non priva di sconfitte e soprattutto forse applicabile solo in una realtà piccola e isolata come Gorgona.
Senza dubbio però essa dimostra che, se si vuole, si può applicare l'articolo 27 della nostra Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". 

3 commenti:

  1. Sono molto d'accordo con quello che dici. Sulle carceri c'è poca informazione e pressapochismo.
    Tanti auguri anche a te e alla tua famiglia. Un abbraccio

    RispondiElimina
  2. Sono molto d'accordo con quello che dici. Sulle carceri c'è poca informazione e pressapochismo.
    Tanti auguri anche a te e alla tua famiglia. Un abbraccio

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